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martedì 19 luglio 2016

Le ricadute internazionali della situazione turca

I dubbi e le anomalie sul tentato colpo di stato turco continuano ad incrementarsi e segnalano la possibilità di una azione studiata a tavolino per permettere ad Erdogan di cancellare gli oppositori presenti nella macchina statale. In effetti i modi di svolgimento del colpo di stato hanno sollevato più di un dubbio sulla reale capacità organizzativa di chi lo ha condotto e le liste di proscrizione già pronte costituiscono un ulteriore fattore di sospetto. Certo la teoria del complotto è sempre quella più difficile da dimostrare, ma è inequivocabile che il tentativo del colpo di stato, sia stato portato avanti in maniera troppo dilettantesca per avere anche la minima percentuale di riuscita. Se è chiaro, che tante persone non possono essersi prestate ad interpretare un ruolo di comparsa  e le vittime stanno a testimoniare le violenze dei combattimenti, la percezione è che un tentativo di togliere il potere ad Erdogan ci sia stato, ma che non era troppo condiviso ed è sembrato quasi atteso, se non favorito, per poi sconfiggerlo meglio. Se si pensa a chi conviene questa situazione, non si può non ammettere che l’unico a trarne vantaggi è proprio il presidente turco. Intanto il suo livello di popolarità, in un paese dove l’informazione è quasi totalmente uniformata, è in grossa crescita e questo gradimento nella popolazione non potrà che essere usato per portare a compimento il suo progetto di tramutare in senso presidenziale l’impianto di governo del paese. Poi c’è la questione degli oppositori, tra cui le forze armate erano uno dei maggiori gruppi, se non il maggiore, avverso ad Erdogan, di cui non condividono l’impostazione religiosa dello stato, in questo sostenuti da ampi ambienti della magistratura: non è un caso che queste due parti dello stato sono le più colpite dalle epurazioni d Ankara. La velocità con cui sono state compiuti gli arresti  evidenzia il fatto che gli elenchi di chi non condivide la linea di Erdogan erano pronti da tempo, per cui non sono state necessarie indagini per arrivare a quelli che vengono presentati come traditori della patria. Tutto questo scenario favorisce Erdogan sul piano interno, dove si creano le condizioni definitive per una maggiore concentrazione del potere nelle sue mani, un obiettivo che il presidente turco insegue da tempo. I problemi più rilevanti, per lo scenario internazionale, sono quelli che comportano questa accelerazione verso un potere sempre maggiore di Erdogan, in relazione ai rapporti con gli altri stati, con l’Unione Europea, l’Alleanza Atlantica e verso l’evoluzione che sta prendendo lo scenario mediorientale. La Turchia di Erdogan ha fin dall’inizio tenuto un atteggiamento ambiguo verso lo Stato islamico, affiancando l’Arabia Saudita in un appoggio implicito del califfato: le attuali sorti del conflitto vedono gli integralisti islamici andare verso la perdita della sovranità del territorio che avevano conquistato, sia per l’azione congiunta di Russia e Stati Uniti, sia per le battaglie di terra condotte dall’esercito irakeno, dai curdi e dagli sciiti, sia per il venire meno dell’appoggio di Ankara costretta da Washington ad assumere un atteggiamento diverso sul problema del califfato. Tuttavia questi sviluppi stanno favorendo Assad, la cui caduta era l’obiettivo che giustificava l’appoggio allo Stato islamico e , nel contempo, l’ascesa della considerazione dei curdi, il cui intento è quello di riscuotere l’appoggio degli USA per la costituzione di un loro stato sovrano, per la loro partecipazione al conflitto sul terreno, evitando l’impiego di soldati americani nelle zone di guerra. Questi fattori sommati insieme significano la sconfitta di Erdogan di tutti i suoi obiettivi in politica internazionale e la decisione di renderei inservibile agli Stati Uniti la base turca da dove partivano le incursioni aeree contro il califfato è abbastanza eloquente; a ciò si deve aggiungere la reazione contro il tardivo pronunciamento di condanna del colpo di stato da parte di Obama e l’accusa di proteggere sul territorio americano il dissidente turco incolpato da Erdogan di essere la mente del colpo di stato. Siamo così di fronte al punto più basso delle relazioni tra Ankara e Washington, dove perfino l’appartenenza della Turchia all’Alleanza Atlantica può essere messa in dubbio. A parte tutte le considerazioni sull’importanza strategica e politica della presenza di Ankara nella più grande struttura militare occidentale, anche nella posizione di unico stato islamico, il problema, per la Casa Bianca, è se è ancora conveniente avere tra i suoi alleati un paese governato da un personaggio inaffidabile come Erdogan. Se questo scenario è abbastanza chiaro, lo è meno il riavvicinamento verso Putin. La Russia, occorre ricordarlo, ha come obiettivo primario in medioriente di mantenere Assad al potere, l’esatto contrario di quello di Erdogan, ma per il presidente turco è ancora più prioritario evitare la creazione di uno stato curdo, un’esigenza che non rientra tra quelle del Cremlino dove si può trovare punti di contatto. Per Putin l’occasione di creare una frattura all’interno dell’Alleanza Atlantica, costituisce una possibilità troppo grande per farsela sfuggire, perchè privare l'Alleanza Atlantica del presidio sul mar Nero  potrebbe dare notevoli vantaggi anche nello svolgimento del conflitto ucraino. Come si vede sia Erdogan, che Putin hanno motivi sostanziosi per trovare punti di contatto, convenienti ad entrambi. Resta per il presidente turco il problema delle relazioni con l’Unione Europea: se Ankara ha ancora l’arma di ricatto dei profughi siriani, per i quali ha ricevuto sei miliardi, o comunque, in generale, di fermare il traffico umano verso l’Europa con il blocco della via balcanica, l’atteggiamento preso da Erdogan verso i golpisti, che denota un totale disprezzo dei diritti umani, blocca virtualmente ogni possibilità di negoziato con Bruxelles. Esiste un errore di fondo dell’Europa, che non è mai stata del tutto netta nell’opporre un rifiuto alla Turchia per la mancata adesione agli standard richiesti in materia di libertà e diritti civili e ciò è imputabile all’atteggiamento tedesco troppo impegnato a considerare soltanto i benefici economici di un ingresso di Ankara nell’organizzazione sovranazionale europea. Questa può essere l’occasione per stabilire limiti netti   per avere rapporti con Bruxelles e, nello stesso tempo, rivedere, gli accordi presi con quello che di fatto è un regime dal quale bisognerebbe stare il più lontano possibile. Ma Erdogan ancora una volta dimostra di andare avanti con azzardi politici, frutto della capitalizzazione di una Unione divisa ed incapace di sapere esprimere una linea unica di condotta ed, in questo momento, anche indebolita dall’uscita del Regno Unito. Il presidente turco non ha abbandonato l’idea di un ingresso , seppure graduale in Europa, ma lo vuole compiere da vincitore di un fronte interno sbarazzato da ogni opposizione e capace di esercitare in modo ancora maggiore il suo potere di ricatto. Per l’Unione Europea è il momento di gestire da sola l’emergenza immigrazione, senza alleati scomodi che, inevitabilmente presenteranno il conto; ciò deve essere fatto anche costringendo i membri riottosi a farsi carico del problema, pena drastici tagli dei finanziamenti ed anche l'espulsione. In questo modo si potranno interrompere i rapporti con Erdogan e ritrovare la coerenza perduta.

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