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mercoledì 26 ottobre 2016

Terrorismo e profughi, possibili conseguenze della battaglia di Mosul

I pericoli incombenti delle conseguenze della battaglia di Mosul, oltre alla situazione bellica contingente, riguardano essenzialmente due elementi: il primo consiste nel pericolo dei combattenti stranieri, che rischiano di ritornare in massa nei paesi di origine, il secondo riguarda la situazione umanitaria della popolazione civile, che rischia di ingrossare di un numero notevole gli sfollati, dando vita ad un esodo che potrebbe alterare la già precaria situazione irakena, aggiungendo un nuovo problema alla situazione generale. Per quanto riguarda il possibile rientro di una grande quantità di ex combattenti presenti nelle fila dello Stato islamico, occorre analizzare i numeri stimati. Si ritiene, infatti, che all’interno di Mosul siano presenti circa 2.500 combattenti provenienti dagli stati europei, bisogna ricordare che dopo la Siria, il contingente maggiore di uomini arruolati nelle forze del califfato è proprio l’Iraq, di cui Mosul è ritenuto una sorta di capitale. Si tratterebbe di uomini, per lo più di giovane età, spesso accompagnati da donne e bambini aventi passaporto dell’Unione Europea. Il calcolo del Centro Internazionale dell’Aia per l’antiterrorismo, valuta un numero di combattenti europei  compreso tra i 3.900 ed i 4.300, di questi il 14% potrebbe essere deceduto, mentre, circa un terzo dovrebbe avere già fatto ritorno ai loro paesi di appartenenza, resterebbe, quindi, la quota consistente del 56% ancora attiva sui campi di battaglia, impegnata, non solo nelle fila dello Stato islamico, ma anche, di altre formazioni integraliste. Concentrandosi sugli sviluppi della battaglia per la riconquista di Mosul, non è ritenuto probabile che l’offensiva venga conclusa in un tempo breve, dato che l’impegno militare viene ritenuto possibile anche per diverse settimane o, nella peggiore delle ipotesi, anche diversi mesi. Questa eventualità, se negativa per la defintiva sconfitta del califfato, rappresenta una opportunità per gli stati europei al fine di organizzarsi in maniera preventiva per un controllo capillare dei possibili rientri e delle decisioni da prendere nei confronti di coloro che hanno militato nello Stato islamico in maniera sicura o probabile. Se diverse legislazioni europee, prevedono il divieto e, quindi, la sanzione per l’arruolamento in formazioni straniere, sopratutto se collegate al terrorismo, più difficile sarà dimostrare l’effettiva partecipazione militare al califfato; tuttavia questa prevenzione è indispensabile nei confronti di personale militarmente più o meno addestrato e fortemente motivato alla causa islamica: fattori che favorirebbero il reclutamento in formazioni europee. Uno dei possibili effetti della sconfitta del califfato è l’esportazione di una guerra asimmetrica su grande scala in occidente, sopratutto in Europa, ma non solo, dato che il fenomeno dei rientri dei combattenti riguarda anche la Russia e la Cina, oltre ad altri paesi. La possibile sconfitta militare dello Stato islamico sul  territorio di cui rivendicava la sovranità potrebbe non essere sufficiente alla totale eliminazione dell’idea del califfato, che potrebbe abbracciare una tattica maggiormente orientata ad azioni terroristiche contro i paesi che l’hanno contrastato. In questa ottica non vi è alcuna nazione sicura di non rientrare in questa strategia ed essere, quindi , colpita dal terrorismo. Almeno gli stati europei dovrebbero sviluppare un approccio comune al problema, in grado di prevenire gli atti terroristici e prevedere una sorta di rieducazione e controllo di quei combattenti che faranno ritorno in patria. Si comprende come il problema sia intimamente connesso con la sicurezza, sia nazionale, che sovranazionale e che interessi stati appartenenti a schieramenti opposti, come Russia ed Europa. La prevenzione, comunque non dovrà essere fatta solo sugli stati di appartenenza del terroristi, ma da subito durante la riconquista di Mosul, dove sarà necessario uno sforzo parallelo all’azione militare, consistente nell’individuazione del più alto numero possibile di combattenti stranieri, anche per ricostruire i percorsi e le modalità di ingaggio dei combattenti stranieri. La sfida, insomma, si sposta maggiormente sul versante dell’intelligence già nei territori di guerra. Il secondo problema riguarda la nuova ondata di profughi, che si sta già formando e che conseguirà dalle distruzioni che seguiranno i combattimenti. I dintorni di Mosul hanno già visto un esodo incessante di quanti sono riusciti a sfuggire allo Stato islamico, per evitare, tra l’altro, il problema di essere costretti a diventare scudi umani. Secondo le stime dello stato irakeno il numero potenziale degli sfollati sarebbe intorno alle 700.000 persone, a fronte di una capacità dei campi profughi già organizzati, prevista intorno a 130.000 unità. Questi dati rischiano di provocare un nuovo problema per Bagdad, sia dal punto di vista umanitario, che politico, essendo i profughi, nella maggioranza sunniti. Una assistenza non adeguata potrebbe comportare  per il governo irakeno, di matrice sciita, una ulteriore alterazione della situazione, favorendo sentimenti contrari alla riaffermazione della sovranità statale su Mosul ed il suo circondario. Inoltre si potrebbe assistere ad un incremento dell’emigrazione verso l’Europa, determinando una pressione ancora maggiore sul vecchio continente ed aggravando i contrasti tra gli stati. Si rende così necessario un maggiore supporto al governo irakeno per questa ulteriore emergenza da parte delle organizzazioni internazionali e dei singoli stati per fornire un aiuto adeguato alle popolazioni in fuga dal confronto militare, che possa permettere il supporto dello stato irakeno.

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