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venerdì 18 novembre 2016

I primi segnali della politica estera di Trump

Il primo appuntamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, con la diplomazia, ha messo in evidenza una approssimazione ed un dilettantismo preoccupanti. L’occasione è stata l’incontro con il premier giapponese, Shinzo Abe, che è stato, di fatto, il primo vertice con un capo di stato straniero. Tokyo è stato ritenuto, fino ad ora, un partner strategico degli USA, dalla fine della seconda guerra mondiale e questa importanza è cresciuta con il maggiore rilievo che l’area orientale sta rivestendo, sia dal punto di vista degli equilibri geopolitici, che economici. Per l’amministrazione Obama questa parte del mondo doveva rivestire una centralità ancora maggiore del medio oriente, per la contemporanea presenza del maggiore competitore mondiale di Washington, la Cina, e dello stato ritenuto più pericoloso per gli equilibri nucleari, la Corea del Nord. Ma anche alla questione economica, con il presidio delle vie di comunicazione marine, essenziali per le merci, era dato particolare risalto, sopratutto se connessa con i tanti problemi di sovranità delle isole dei mari orientali e quindi dalle relative zone economiche esclusive, che presupponevano per gli Stati Uniti un impegno diretto e costante, attraverso la presenza di uomini e mezzi militari. In questo scenario il ruolo del paese giapponese ha sempre rivestito il ruolo di principale alleato della potenza statunitense, aspetto più volte contestato in campagna elettorale dal nuovo presidente. Nella visione di Trump, malgrado la volontà espressa di consolidare il paese americano a rivestire il ruolo di prima potenza mondiale, la politica estera sembra essere diventata meno centrale, in favore di un maggiore impegno interno, percorribile soltanto con una contrazione delle risorse destinate verso gli alleati da potere impiegare nelle politiche per favorire una politica espansiva negli Stati Uniti. Rientrano in questi progetti l’ammonimento generalizzato a tutti quei paesi, che finora hanno approfittato, secondo Trump, della protezione americana e che non hanno investito somme adeguate per la loro difesa; così come il ruolo dell’Alleanza Atlantica, dove l’impegno americano risulta troppo sbilanciato, rispetto a quello degli altri alleati. Nonostante l’importanza del Giappone nel quadro degli alleati americani, l’incontro tra Trump ed Abe non è stato concordato con il Dipartimento di stato e non si è svolto in alcuna sede istituzionale, ma in un palazzo di proprietà del nuovo inquilino della Casa Bianca. Il mancato supporto del Dipartimento di stato segnala una volontà di Trump a non volere lavorare con gli organi preposti, forse perchè i posti di responsabilità sono ancora occupati da personale fedele all’amministrazione precedente, ed un rifiuto di fondo al rispetto dei tempi e dei modi della politica. D’altro canto ciò non può costituire un fattore di sorpresa, proprio per il carattere del personaggio e della campagna elettorale condotta, ma deve, però, diventare un elemento costante, da considerare in maniera imprescindibile, da qui in avanti, come caratterizzazione della nuova diplomazia americana. Scordare il politicamente corretto è una cosa in ambito interno ed un’altra in politica estera, perchè la diplomazia è da sempre contraddistinta da toni misurati e significati, spesso non in rilievo, ma che permettono di dare una lettura attraverso le sfumature dei contatti diplomatici e che, spesso, generano, delle reazioni ben precise. Con Trump ciò non sembra più essere possibile perchè si entra in una era nuova, dove viene preferito l’approccio diretto ed anche al di fuori dei normali canali diplomatici. Vi è anche una percezione che Trump non si sia reso conto dell’importanza della politica estera, necessaria anche allo sviluppo dell’economia in un mondo sempre più globalizzato. Se si può comprendere l’esigenza di richiedere un maggiore impegno ai paesi alleati, nel quadro della politica difensiva, devono essere anche considerate le conseguenze, che porteranno, inevitabilmente ad una riduzione dell’importanza americana sullo scacchiere internazionale. Il risultato di una politica meno propensa ad un ruolo di primaria importanza degli USA, peraltro già iniziata con Obama, anche se in dimensioni decisamente differenti, sarà obbligato allontanamento da Washington, che diventerà sempre più isolata. Soggetti come l’Europa o lo stesso Giappone insieme alla Corea del Sud, dovranno trovare nuove forme di collaborazione ed integrazione militari, sempre più indipendenti dagli Stati Uniti, che, se riuscite, diminuiranno l’influenza americana. Ciò potrà consentire a Trump di torvare risorse per i problemi interni, ma le dichiarazioni elettorali di un accresciuto potere internazionale americano, non potranno che essere smentite.

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