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lunedì 19 dicembre 2016

Incertezza per il futuro dei lavoratori dell'Unione Europea nel Regno Unito

Uno dei rischi collaterali dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è il destino dei circa 2,9 milioni di cittadini dell’unione, che risiedono e lavorano sul suolo inglese. Gli scenari, che potrebbero diventare realtà, consistono in una gamma di possibilità, che vanno dal trattamento dei cittadini dell’unione come merce di scambio nella trattativa, che sancirà le regole per l’uscita di Londra, fino all’inquietante possibilità di una loro espulsione dal Regno Unito. Non bisogna dimenticare che una delle maggiori ragioni che hanno favorito la vittoria al referendum dei fautori della fuoriuscita da Bruxelles, è stata proprio l’ostilità verso gli stranieri e la mancanza di lavoro, conseguente, per i cittadini britannici. Senza l’adesione di Londra al regime della libertà di circolazione, che permetterebbe una uscita, per certi versi, attenuata dall’Europa, i cittadini comunitari sarebbero equiparati agli altri stranieri e verosimilmente soggetti a restrizioni circa il permesso di soggiorno e la possibilità di esercitare attività lavorativa sul suolo inglese. La possibilità che l’Inghilterra adotti un accordo che sancisca la reciproca libertà di circolazione con gli abitanti dell’Unione, appare, però, remota, per non inquinare il risultato referendario. Il problema dei cittadini dell’unione è molto sentito nella stessa Gran Bretagna, dove la commissione sui diritti umani, formata sia da membri della Camera dei Comuni, che della Camera dei Lord, ha posto la questione al governo di Londra, con il fine di evitare il mancato rispetto dei diritti di lavoratori ed abitanti provenienti dai paesi dell’Unione. Il problema è quello di dare una certezza giuridica, fornendo regole certe e sicure al loro status in Inghilterra e risolvendo l’attuale situazione incerta, che si trascina da sei mesi, un periodo ormai troppo ampio. Si tratta della  conseguenza del risultato inatteso del referendum, che non ha permesso di pensare ed attuare in anticipo una normativa per una parte così rilevante di persone, spesso con impieghi qualificati; la mancanza di previdenza delle autorità inglesi ha così creato un potenziale fattore di ricatto, che rischia di diventare un’arma puntata verso i cittadini europei. D’altro canto un atteggiamento rigido delle autorità inglesi, rischia di provocare pericolose conseguenze per la giustizia britannica, giacché si concretizzerebbe un grande numero di ricorsi, tale da portare il sistema giudiziario alla paralisi. La commissione interparlamentare inglese sembra avere dato indicazioni di buon senso per determinare i criteri attraverso i quali il governo di Londra potrebbe concedere la permanenza sul suolo inglese: si va dagli anni di residenza, alla situazione familiare ed ai diritti eventualmente acquisiti. Tuttavia la posizione della premier inglese sembra essere quella della cautela, posizione più che altro dettata dall’esigenza di non arrivare allo scontro con le forze politiche che hanno provocato l’uscita dall’Europa. La primo ministro, infatti, ha affermato di non potere garantire i diritti dei cittadini appartenenti all’Unione Europea se non ci sarà una reciprocità di trattamento valida per l’oltre milione di cittadini inglesi residenti nell’Unione. Il sospetto è anche che questo atteggiamento nasconda l’intenzione di fare pressione su Bruxelles, quando si arriverà a definire il trattato che dovrà regolare l’uscita ed i rapporti futuri tra Londra e Bruxelles. Se questa strategia fosse vera il rischio concreto è quello di creare pericolosi contrasti tra le due parti, in modo anche da rallentare i negoziati, che sembra, poi, essere la vera intenzione inglese: infatti fino alla firma di nuove regole per la Gran Bretagna valgono le attuali regole che ancora gli consentono l’effettiva permanenza all’interno dell’Unione. La percezione è che Londra cerchi di trarre il maggiore vantaggio possibile dai negoziati futuri e non esiti ad usare ogni tipo di arma a propria disposizione. Nonostante questa lettura della situazione, sembra difficile che l’Inghilterra si voglia veramente privare di personale qualificato, chiamato a svolgere compiti di elevata professionalità, proprio per assenza di disponibilità di manodopera locale.   Ciò è confermato dall’appello delle associazioni delle imprese e dei sindacati britannici al fine di regolare in maniera unilaterale e preventiva, cioè prima dell’avvio dei negoziati, la situazione dei lavoratori dell’unione: una posizione molto netta e precisa di cui il governo inglese non potrà non tenere conto.

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