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mercoledì 21 dicembre 2016
Russia, Turchia ed Iran collaborano per la soluzione della crisi siriana. Assenti gli USA.
Dopo l’attentato all’ambasciatore russo in Turchia, i governi di Ankara, Mosca e Teheran hanno deciso di agire come una sorta di garanti nei colloqui di pace tra il governo siriano e l’opposizione. Le tre nazioni hanno interessi comuni affinché la guerra siriana, ed anche l’eventuale e tanto auspicato dopoguerra, non possa compromettere le proprie situazioni interne ed i rispettivi interessi internazionali. Per tutti e tre gli stati è necessario che la Siria conservi la propria integrità territoriale: per la Turchia è ormai necessario che Assad resti al potere per contenere le mire dei curdi ed evitare che possano fondare un proprio stato autonomo al confine con il paese turco, per l’Iran è importante mantenere al potere nello stato siriano un governo di orientamento sciita, ragione che ne fa un alleato totalmente affidabile, per la Russia risulta altrettanto fondamentale mantenere Assad al potere, perchè è in grado di mantenere attiva l’unica base navale russa nel Mediterraneo e, sopratutto, continuare a recitare un ruolo fondamentale nella vicenda siriana, che gli consente di recitare, nuovamente un ruolo da grande potenza, come non accadeva dalla caduta dell’Unione Sovietica. Tuttavia questo coinvolgimento espone i tre paesi ad un possibile coinvolgimento nelle azioni terroristiche, delle quali l’attentato all’ambasciatore russo in Turchia, costituisce senz’altro qualcosa più di un allarme. Per evitare il più possibile di essere bersaglio di atti terroristici i tre stati devono garantire un processo di pace, che sappia tutelare sia la popolazione civile, che le parti che usciranno sconfitte dal conflitto. Tutti e tre i governi, pur non essendo famosi per il rispetto dei diritti umani, sono ben consapevoli di dovere contenere la possibile volontà di Assad di effettuare una repressione violenta delle formazioni vinte, perchè darebbe soltanto l’occasione di un prolungamento del conflitto, magari con azioni di guerriglia e terroristiche, sia sul fronte interno siriano, sia esportandolo proprio nei tre paesi alleati di Damasco. Se per la Turchia, questo pericolo sembra già essere iniziato, non solo grazie all’azione dei curdi, ma anche dello stesso Stato islamico, per gli altri due stati questo scenario è ancora evitabile. Certamente la Russia rischia maggiormente, perchè sul suo territorio sono presenti diversi combattenti islamici tornati dai teatri di guerra siriani ed irakeni e per la presenza di un fondamentalismo islamico molto radicato nei territori meridionali. L’Iran, grazie al suo apparato repressivo, sembra essere meno a rischio, ma l’esasperazione della minoranza sunnita potrebbe portare sollevazioni ed anche la possibilità di attentati. Poi per tutte e tre resta presente la possibilità di essere colpite su territori esteri, come è avvenuto per l’ambasciatore russo in Turchia. Si comprende allora come la necessità di diventare garanti di un processo di pacificazione che limiti al massimo le rappresaglie da parte dei vincitori diventi una esigenza sovranazionale, che oltrepassa, cioè, le trattative interne al paese siriano. Sono però presenti alcuni dubbi circa l’effettiva collaborazione, che si potrà sviluppare tra Mosca ed Ankara. In Turchia è avvenuta, con la morte di un ambasciatore, una violazione del diritto internazionale molto grave, come è stato sottolineato dal capo del governo russo ela tensione che si è rischiata tra i due paesi è stata pari soltanto ai momenti immediatamente successivi all’abbattimento dell’aereo militare russo da parte dell’esercito turco. Mosca ha saputo imporre la propria presenza, tramite gli investigatori russi, alle indagini delle autorità turche: un fattore quasi umiliante per Ankara, d’altro canto i sentimenti di parte della popolazione turca contro la Russia, appaiono fortemente contrari, come si è visto nelle manifestazioni avvenute nei giorni scorsi, proprio nei pressi dell’ambasciata di Mosca ad Ankara, per l’atteggiamento violento, tenuto dai militari russi ad Aleppo. Lo stesso Erdogan sembra essersi piegato alla ragion di stato, ed ai propri interessi geopolitici, nell’avvicinamento alla Russia, che sembra essere, quindi, strumentale e non di sincera alleanza. In tutta questa evoluzione dello scenario siriano vi è ancora un fattore molto importante da analizzare: l’assenza totale della presenza degli Stati Uniti. Che si tratti di una mancata partecipazione dovuta alla transizione politica, sembra essere poco veritiero,la percezione, piuttosto, è quella di una assenza voluta, perfettamente coerente con le intenzioni che Trump ha dichiarato in campagna elettorale: cioè un progressivo sganciamento dalla scena internazionale, per sottrarre sforzi economici e politici dallo scenario esterno a favore di quello interno. Un chiaro segnale della decandenza americana prossima ventura.
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