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martedì 3 gennaio 2017
Lo Stato islamico aumenterà la politica degli attentati
Gli atti terroristici dello Stato islamico, che hanno caratterizzato il 2016 ed hanno segnato l’inizio del 2017, segnalano una variazione sostanziale nell’attività del califfato, provocata dall’erosione dello spazio geografico in cui gli estremisti islamici hanno esercitato la propria sovranità. La sottrazione dell’esercizio della sovranità, rappresenta per lo Stato islamico il fallimento del proprio progetto di creare una entità statale basata sull’applicazione ferrea della legge islamica, fattore che doveva essere il fulcro centrale per catalizzare l’attenzione dei sunniti più radicali, è fortemente compromesso dall’azione militare, che, forze armate di diversi paesi hanno intrapreso contro il califfato. Il destino della parabola del califfato è intimamente legato alla vicenda siriana, dove il ruolo giocato dalla Russia di Putin ha rovesciato le sorti del conflitto, sia interno, cioè legato alla contrapposizione tra Assad ed i suoi oppositori, che tra Damasco e lo Stato islamico, che aveva occupato militarmente la parte orientale del paese siriano, unendola ai territori sottratti al governo di Bagdad. Gli sviluppi che stanno avvenendo sui campi di battaglia, ovvero gli scontri militari sul terreno tra forze contrapposte, stanno, seppure lentamente, decretando la sconfitta del califfato e la conseguente necessità di sostituire il confronto bellico classico con una strategia di guerra asimmetrica, che necessita sempre di più dell’uso dell’atto terroristico, come mezzo sempre più determinante per mantenere attiva la politica dello Stato islamico. Si ci sta spostando, cioè, da una occupazione militare ben definita, ad una serie di attentati che hanno lo scopo di gettare nel terrore le potenze identificate come nemiche. Lo scopo è quello di tenere in ostaggio intere nazioni, per accrescere il prestigio ed il messaggio del radicalismo islamico, inteso, in un senso che oltrepassa il significato religioso, per assumere quello di ideologia, strumentale alla contrapposizione tra islam sunnita e mondo occidentale e con l’islam sciita. Questo schema era già iniziato nelle parti dell’Iraq, che il califfato non era riuscito ad occupare militarmente: una serie di attentati, che continua tuttora, che hanno lo scopo di tenere in costante apprensione il governo e la popolazione. L’esportazione di questa tattica è più difficoltosa se cresce la distanza dalle regioni mediorientali, ma i recenti casi avvenuti in Europa ed in Turchia dimostrano come l’intenzione dello Stato islamico sia quella di intensificare gli atti terroristici per creare una sorta di terrore globale. Questa decisione non è determinata solo dalle sconfitte militari, ma dalla necessità di aumentare il clamore mediatico per distogliere l’attenzione da uno Stato islamico perdente, dalla volontà di vendicarsi di potenze che avevano, se non aiutato, almeno tollerato la presenza del califfato nelle regioni mediorientali, anche in funzione strumentale ai propri interessi geopolitici ed, infine, per contrastare le forze sciite ed i loro alleati. SI comprende come la platea dei possibili obiettivi sia molto vasta e di, conseguenza, diventi sempre più difficoltosa l’attività di prevenzione. In questo senso occorre anche considerare la possibilità del tentativo di atti terroristici ancora più cruenti, anche attraverso armamenti chimici, come prospettato dal governo inglese. Senza arrivare a scenari così tragici, la realtà dice chiaramente che ogni strumento costruito per la vita quotidiana può essere trasformato in arma ostile, come l’autotreno di Nizza o di Berlino, e che, quindi, siamo entrati in una dimensione che oltrepassa la consuetudine anche se riferita agli attentati. Probabilmente la prima arma da neutralizzare è però la grande capacità, rimasta pressoché intatta, di sapere mobilitare e motivare i seguaci del califfato ed anche di trovarne sempre di nuovi; ciò avviene sopratutto grazie alla propaganda compiuta in modo virtuale, grazie all’uso sapiente dei social media, che consente di raggiungere chiunque, col messaggio dell’islam radicale. Se la soluzione militare nelle zone mediorientali serve nel breve periodo, nel medio e nel lungo funziona soltanto come presidio delle zone riconquistate ed è quindi soltanto complementare ad una azione integrata di prevenzione di polizia e servizi segreti e miglioramento delle condizioni politiche ed economiche di tutti quei musulmani sunniti, spesso non osservanti, che costituiscono il facile terreno di reclutamento del terrorismo radicale. Inoltre ciò non è neppure sufficiente senza una situazione internazionale che dovrebbe essere più improntata ad un dialogo comune e non al protagonismo di alcuni uomini di stato. Ma siamo, probabilmente, nel campo dell’impossibile ed il destino sarà quello di attendere ancora a lungo la risoluzione della questione del terrorismo islamico.
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