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martedì 21 marzo 2017

La temperatura del pianeta è sempre più alta

In attesa del giorno 23 marzo, Giornata mondiale della metereologia, l’Organizzazione mondiale della Metereologia ha pubblicato un rapporto alquanto preoccupante sulla condizione della Terra. Il nostro pianeta, infatti, ha appena archiviato il 2016 come anno più caldo che sia mai stato registrato, confermando una tendenza già in atto da qualche tempo. Rispetto al 2015, che era l’anno dove erano state registrate le temperature più elevate della storia, l’incremento è stato ulteriore, mentre rispetto ai livelli pre industriali l’innalzamento è stato misurato di 1,1 grado centigrado. Il paragone con la situazione presente prima dell’industrializzazione testimonia come l’aumento della temperatura e della produzione, con il progressivo  incremento delle fabbriche sulla superficie del pianeta, siano intimamente connesse. D’altro canto l’aumento del livello di anidride carbonica presente nell’atmosfera, che registra continuamente nuovi record, non fa che confermare che l’utilizzo sempre più spinto di combustibili in grandi quantitativi a fini industriali sia in gran de parte responsabile dell’innalzamento della temperatura. Strettamente connesse a queste ragioni sono anche l’innalzamento dei mari, il riscaldamento degli oceani, l’abbassamento dei livelli di ghiaccio marino, il disgelo presente nelle catene montuose ed il continuo verificarsi di eventi estremi dal punto di vista climatico. Ormai questi fatti sono stati abbondantemente accertati e non costituiscono più soltanto una segnalazione di allarme dello stato di malessere del pianeta, ma sono essi stessi sintomi di una situazione sempre più grave a livello globale. In sostanza l’aumento di temperatura sta andando di pari passo con gli altri cambiamenti che si stanno verificando sul pianeta: tutti fenomeni intimamente legati, da non prendere in esame assolutamente in maniera singola. Nonostante queste prove tangibili vi è ancora che si ostina a negare l’evidenza, in nome di un falso progresso, che mira a guadagni settoriali di breve periodo. Come altro definire l’azione di alcuni governi che non mettono alcuna soglia alla produzione industriale ottenuta con emissione di quantitativi di anidride carbonica sempre maggiori, se non come la ricerca di un arricchimento effimero, in grado di produrre guasti sempre meno rimediabili, che richiede anche un contributo in vite umane ed una spesa sanitaria, connessa al fenomeno dell’inquinamento, sempre maggiore. Appare innegabile che l’attività umana stia causando alla salute del pianeta situazioni nuove anche per gli scienziati, che hanno difficoltà ad effettuare previsioni precise per scongiurare le catastrofi di cui l’aumento della temperatura sembra essere responsabile. Dal punto di vista politico questi dati saranno ancora snobbati in nome di teorie contrarie, che possano, però, permettere una industrializzazione ancora più spinta e senza regole. L’affermazione di Trump negli Stati Uniti sta andando in questo senso e si è arrivati al paradosso che la Cina, noto paese con emissioni di anidride carbonica molto alte, stia provando a difendere l’ambiente, mentre gli USA, dopo il cambio di presidente, stanno dall’altra pare della barricata. La realtà è che l’economia, quella che consente guadagni pressoché immediati, influenza anche la politica degli stati, specialmente quelli che hanno assunto le competenze tecniche per ridurre il divario con i paesi già industrializzati: questa rincorsa è avvenuta, avviene ed avverrà consumando sempre più combustibile fossile, quale mezzo necessario per il ciclo produttivo ed emergere così come paesi capaci di realizzare prodotti finiti da immettere sul mercato. Se da un lato la volontà di produrre è comprensibile per diminuire la povertà, ma anche per creare sempre nuove platee di consumatori, da un altro angolo visuale una riduzione globale delle emissioni permetterebbe di creare condizioni più favorevoli per l’ambiente. Per arrivare a ciò si deve tenere conto delle necessità dei paesi emergenti ed incentivarli, a livello globale, per produzioni con meno impatto inquinante, tramite l’adozione di nuovi sistemi energetici; mentre per i paesi già industrializzati si dovrebbe diminuire progressivamente la produzione inquinante con una minore propensione al consumo, affiancata da nuove metodologie di lavoro sia come svolgimento del ciclo produttivo, che come gestione delle risorse umane. Tuttavia senza un riconoscimento comune da parte di tutti i paesi, nessuno escluso, che abbia come base di partenza il protocollo di Kyoto l’impresa oltre che impossibile, appare inutile e l’umanità sembra avviata verso il disastro.    

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