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Politica Internazionale
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mercoledì 12 aprile 2017
I cambiamenti della politica estera di Trump
Dunque gli Stati Uniti danno seguito a quanto annunciato e dirottano la squadra navale americana diretta verso l’Australia e la Nuova Zelanda, verso le coste della Corea del Nord. In questo momento Trump giudica Pyongyang il pericolo principale per il paese statunitense, anche più della Siria e della situazione siriana, dove, peraltro è già passato alle vie di fatto con il bombardamento della base da cui sarebbero partiti i raid di Damasco condotti con le armi chimiche. Questo attivismo di Trump, che non coincide con quanto detto in campagna elettorale, ma, anzi, lo contraddice in modo netto, sembra volere essere un ritorno al ruolo di protagonista internazionale del paese americano, un ruolo, che con la presidenza di Obama, era stato ridimensionato. Trump ha voluto fare capire in modo chiaro di volere agire anche da solo contro i paesi che non rispettano le regole del diritto internazionale. Se l’intenzione, condivisibile o meno, sembra avere qualche giustificazione, occorre dire che anche la condotta di Washington sembra violare qualche regola, perchè non è sostenuta dalle Nazioni Unite. Tuttavia siamo entrati in un periodo storico dove il diritto internazionale sembra valere sempre meno e le azioni di Trump seguono e forse vogliono bilanciare quanto fatto dalla Russia, dalla Siria, dalla Turchia e da altri paesi che vanno ad iscriversi in un elenco, purtroppo molto lungo. La dimostrazione è che chi ha violato le regole internazionali, poi si appella ad esse quando successive violazioni da parte di altri paesi vanno contro i loro interessi internazionali. Siamo in una fase storica che contraddice quella appena passata, dove le violazioni del diritto internazionale erano più limitate e gli stessi stati si facevano scrupoli consistenti quando dovevano infrangerle. La posizione di Trump, come già detto in netta contraddizione con quelli che sembravano i suoi principi ispiratori enunciati durante la campagna elettorale, si colloca in questa direzione, che sembra, ormai obbligata, per quelli stati che vogliono recitare un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale. La controprova è costituita dall’Unione Europea che continua imperterrita a svolgere un ruolo marginale e di scarsa influenza sugli avvenimenti mondiali. Il cambio di direzione di Trump può essere stato dettato da molti fattori, il primo dei quali i cambiamenti di indirizzo del suo staff, che, probabilmente, hanno giudicato essenziale il ritorno sulla scena mondiale degli USA in un ruolo di primo piano. Del resto l’intraprendenza della Russia costituiva ormai un fattore troppo ingombrante per gli equilibri internazionali, che non poteva permettere anche il conseguimento principale della campagna elettorale enunciato dalla frase: l’America prima di tutto. Certamente il programma racchiuso in questa frase sembrava riguardare la politica interna e l’economia, lasciando sottointesa una posizione isolazionista per quanto poteva riguardare lo scenario internazionale. Tuttavia si trattava di una contraddizione in termini, che è durata ancora meno di quanto si poteva prevedere. Lo scenario internazionale non può essere slegato da quello interno, ma sopratutto da quello economico, sopratutto se si è la potenza mondiale numero uno. D’altro canto focalizzare l’attenzione sulle problematiche esterne, permette di alleggerire l’attenzione da quelle interne: un vecchio trucco usato sempre quando le promesse elettorali non possono essere mantenute. Un fattore ulteriore è che la potenza americana non poteva essere mortificata in un isolamento che significava anche ridimensionamento del proprio apparato militare. Quando Trump aveva annunciato l’aumento del budget per la difesa, ciò costituiva già il chiaro segnale che l’intento isolazionista non poteva essere mantenuto. Presa questa strada ora occorre verificare quanto abbia intenzione Trump di usare il mezzo militare per esercitare la sua influenza. Se la presidenza Obama si era contraddistinta per una approccio più morbido, con l’uso più accentuato delle sanzioni, Trump è entrato sulla scena in maniera più muscolare con il bombardamento siriano e lo schieramento navale di fronte alla Corea del Nord. La tattica sembra essere quella di effettuare delle dimostrazioni di forza per raggiungere l’obiettivo con una azione diplomatica; la via scelta non è però di così agevole praticabilità: le tensioni con Mosca sembrano essere ritornate al livello della presidenza Obama, i rapporti con Teheran sono di nuovo pessimi, quelli con la Cina non sembrano godere di ottima salute, proprio per l’eccessiva irruenza di Trump e con Pyongyang potremmo essere alla vigilia di un conflitto. Quello che più preoccupa è che dietro le mosse della Casa Bianca non sembra esistere un piano organico caratterizzato da una visuale di lungo periodo, ma soltanto approcci estemporanei capaci di favorire situazioni potenzialmente molto pericolose.
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