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lunedì 24 aprile 2017
Turchia ed Europa sempre più distanti
Molti commentatori hano visto il risultato del referendum turco e sopratutto come è avvenuta l’affermazione del presidenzialismo, come il definitivo blocco di un processo di avvicinamento tra Ankara e Bruxelles. In realtà volere affermare che questa possibilità fosse ancora concreta era semplicemente una mera illusione politica o forse uno strumento per continuare a delegare, da parte dell’Europa, il governo turco a svolgere il lavoro di fermare gli immigrati, per conto dell’Unione. La progressiva limitazione dei diritti politici e sociali, che Erdogan ha percorso di pari passo con una attenuazione sempre più forte della laicità della società turca, in favore di una islamizzazione sempre più invadente, sono stati i veri motivi dell’allontanamento rispettivo tra le due parti, che il risultato del referendum non fa che sancire, quale logico sviluppo della politica del presidente turco. Erdogan ha fatto di tutto per non volere soddisfare i requisiti chiesti da Bruxelles, tanto che è legittimo chiedersi se questa condotta non sia stata voluta in modo esplicito proprio per non entrare in Europa. Manca soltanto che in Turchia venga ripristinata la pena di morte, cosa che probabilmente potrà accadere tra qualche tempo, per rendere del tutto incolmabile la distanza tra le due parti. Il cambio di una forma di governo è un atto legittimo di un paese, che, di per sè, non implica una svolta autoritaria, a condizione che non siano già presenti concreti segnali preoccupanti, come la censura sulla stampa e l’incarcerazione di tutta una serie di funzionari statali contrari alla politica del governo in carica. Anche sulle modalità con cui si è arrivati ad approvare il presidenzialismo non possono che esserci dei dubbi: dalle modalità di esercizio della propaganda contraria, a cui non è stato dato lo spazio necessario su televisioni e giornali, fattore strettamente collegato con la censura imposta al paese, fino al quorum del referendum, che ha previsto la vittoria con la sola maggioranza semplice, anziché una maggioranza qualificata. La distanza notevolmente ridotta tra fautori dell’approvazione del presidenzialismo e contrari, ha restituito l’immagine di un paese diviso praticamente in due parti uguali, dove la differenza dell’uno virgola tre per cento appare significativa soltanto per attribuire la vittoria finale, ma non per giustificare un cambio così profondo della forma di governo. Se poi si aggiungono i dubbi più che leciti, riguardanti le modalità ed il conteggio dei voti, con l’ammissione tra le schede valide anche di quelle non timbrate, si comprende come i dubbi della legittimità del risultato e di tutto il processo che si è concluso con l’adozione del sistema presidenziale, susciti sospetti molto consistenti sull’operato di Erdogan. Il presidente turco raggiunto il risultato desiderato, ha affermato che la democrazia non è cancellata e che la sua persona è soltanto di passaggio, tuttavia ci sono concrete possibilità che Erdogan resti al potere per altri dieci anni: una situazione anomala in un paese che si vuole definire democratico. Resta il problema dei rapporti tra Unione Europea e Turchia, che rischiano di diventare di puro antagonismo; se nel breve periodo Ankara serva a Bruxelles per la questione dei migranti, che, comunque, dovrà essere risolta in un modo o nell’altro, a causa delle modalità di trattamento dei profughi sul territorio turco, nel medio e nel lungo periodo la Turchia e rischia di pagare un tributo molto alto alle ambizioni del vincitore del referendum. La scarsità di investimenti esteri rischia di diventare pressoché totale e l’involuzione economica del paese non potrà che riflettersi sulla stabilità politica. La Turchia, è vero, può guardare ad oriente ed entrare nell’associazione di paesi che comprende, tra gli altri Russia e Cina, ma lo potrà fares olo in modo subalterno e senza le garanzie che l’ingresso in Europa avrebbe potuto offrire. Il destino di un paese, qualsiasi paese, non soltanto di quello turco, che subisce una involuzione politica è quello di entrare in un clima di profonda instabilità, che rischia di influenzare la regione ed anche equilibri sovranazionali, come l’Alleanza Atlantica, nel caso della Turchia. Se, come sembra, Ankara, si allontana dall’Europa si allontanerà anche dal mondo occidentale e verranno così a cadere quelle salvaguardie, anche minime, capaci di mantenere una certa modernità nel paese, che sembra, di conseguenza, avviato ad un oscurantismo sempre più pronunciato.
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