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giovedì 4 maggio 2017
L'Inghilterra alle elezioni anticipate per trattare con l'Europa
Con lo scioglimento del parlamento di Londra è iniziata la campagna elettorale che la premier inglese ha espressamente voluto per ottenere un mandato forte dagli elettori con lo scopo di trattare, da posizioni interne molto forti, con Bruxelles l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. In questa fase iniziale della campagna elettorale i sondaggi sembrano essere tutti a favore della premier uscente, tuttavia la data delle elezioni è ancora lontana ed occorre ricordare che il tema predominante, se non l’unico, della stessa campagna sarà come concordare le condizioni per l’uscita dall’Europa. Se si ricorda le percentuali ravvicinate che hanno determinato l’esito del referendum, non è escluso che qualche forza elettorale possa cercare il consenso basando espressamente il proprio programma elettorale proprio sulle ragioni chi è stato ed è ancora contrario all’abbandono di Bruxelles. Un programma che, però, non può rientrare in quello dei conservatori, che si sono eretti a rappresentanti dei fautori dell’uscita dall’Europa, anche se non tutto il partito appare compatto sull’argomento. Più incerta e sfumata la posizione dei Laburisti, a causa anche del travaglio interno dovuto allo scarso consenso di chi ricopre la carica principale del partito. Jeremy Corbin è esponente dell’ala della sinistra estrema del partito, ma durante la campagna referendaria ha tenuto un atteggiamento ambiguo, che, a tratti, è sembrato coincidere con i fautori dell’uscita dall’unione, probabilmente per una visione che raffigura l’Europa come espressione della finanza. Questa visione, però è fortemente avversata dagli avversari interni di Corbin, ma la percezione fornita dall’insieme del partito Laburista non appare del tutto affidabile sul tema di come contrastare l’uscita, nonostante quanto affermato da Tony Blair, che spera nel ritorno inglese all’interno dell’Unione Europea. Forse potrebbe avere maggiori possibilità il Partito Liberale presentandosi come alternativa a quello conservatore sul tema europeo. Non è neppure da escludere delle novità, come la nascita di nuove formazioni politiche, proprio per l’esigenza di avere un forte seguito per contrastare la premier uscente e cercare di ribaltare l’esito referendario. Nonostante la sicurezza ostentata dalla May, Londra sarà costretta a pagare quanto dovuto all’Europa, un conto di circa sessanta miliardi di euro, e sopratutto come aspetto preventivo per potere iniziare le trattative su come verrano definiti i rapporti tra le due parti; al contrario di quanto preferirebbe Londra. Il pensiero che un governo forte, sempre che l’esito delle elezioni lo consenta, possa ottenere condizioni più favorevoli, non sembra potere avere una effettiva corrispondenza: l’Europa dei ventisette paesi rimasti nell’unione ha trovato un accordo unanime, come rare volte è accaduto, sulla condotta da tenere nei confronti di Londra e difficilmente potrà arretrare di fronte all’atteggiamento che si è proposta di mantenere con l’Inghilterra. La May deve avere percepito, che difficilmente i propositi europei cambieranno ed ha immediatamente accusato Bruxelles di volere influenzare la campagna elettorale inglese con quelle che ha definito minacce. Questo espediente potrà ottenere soltanto una maggiore rigidità da parte di Bruxelles, che non potrà derogare da quanto gli spetta in virtù dei trattati vigenti. In realtà la mancanza di margini di trattativa sembra avere colto di sorpresa la premier britannica, allo stesso modo di quei cittadini che non avevano ben compreso cosa sarebbe successo con la vittoria della soluzione per l’uscita dall’Europa e, malgrado tutto, l’avevano appoggiata dentro la cabina elettorale. Qualunque sarà l’esecutivo che uscirà dal risultato delle urne il paese britannico dovrà prepararsi ad un cambiamento dettato dall’uscita dall’Europa, che, probabilmente, cambierà il modo di vivere e la sua qualità in peggio, con una situazione interna che diventerà difficile per le questioni scozzese ed irlandese la ricostruzione di un tessuto produttivo che non potrà più beneficiare del mercato comune. L’Inghilterra ha tralasciato il proprio settore manifatturiero a favore di quello finanziario, che è prosperato in modo drogato proprio per le facilitazioni europee: il futuro sarà quello di reinventare una economia senza più salvaguardie: allora si che servirà un governo forte di un consenso popolare esteso, che, per le trattative con Bruxelles, al contrario, non sembra essere utile.
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