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giovedì 18 maggio 2017
L'Iran alle elezioni
Le imminenti elezioni politiche iraniane possono portare il paese a continuare sul proprio percorso di normalizzazione o, viceversa, riportare indietro il paese ad un nuovo periodo oscurantista. Il Presidente uscente, Rohani, può vantare l’accordo sul nucleare ed una crescita economica per l’Iraniana, che, però, non appare ancora compiuta. Pur potendo aprire il mercato all’estero, ciò non è avvenuto in maniera completa, per il mantenimento di alcune sanzioni, che hanno impedito la crescita finanziaria del paese. Non a caso i detrattori del presidente uscente, imputano a Rohani l’avere firmato troppo presto il trattato sul nucleare, senza avere avuto la certezza completa di tutte le contropartite. La parte avversa al presidente uscente fa discendere da questa mancata attuazione dei trattati la disoccupazione ancora alta e la corruzione che flagellano il paese. Ma non solo questi i motivi di contrarietà tra le due principali liste concorrenti: se Rohani, pur da una posizione centrale della politica iraniana, intende comunque percorrere una strada di modernizzazione, i conservatori vogliono togliere di nuovo quelle poche concessioni fatte dal governo in materia di liberalizzazione sociale, per riportare il paese ad essere nuovamente una repubblica islamica nel senso completo del termine. Pur essendo favorito Rohani deve fare i conti con questa linea, che tende ad identificarsi con le problematiche che interessano maggiormente la parte più povera della popolazione, quella che non sente ancora come propria l’esigenza di una maggiore libertà sociale. Non per niente i settori del tessuto sociale iraniano, dove il presidente uscente sembra riscuotere i maggiori consensi, sono quelli dei giovani, specialmente gli universitari, le elité e la classe media, più agiata economicamente. Sembra, cioè, che lo stato economico che fornisce una certa tranquillità, possa consentire di ambire anche ad una maggiore apertura culturale, necessaria per sentire un maggiore bisogno di un allentamento nei costumi. Risulta chiaro che è l’esatto opposto di chi auspica un nuovo rigore nella società iraniana, individuato anche come mezzo per una maggiore diffusione del benessere. Questo orientamento appare in contraddizione con la necessità di una maggiore libertà di movimento degli investitori stranieri, che si sono subito interessati alle prospettive che l’economia iraniana può offrire, grazie alla ricchezza delle proprie materie prime. Ma operare nel settore privato è ancora troppo difficoltoso per l’eccessiva burocrazia, ancora in mano ai settori clericali del paese e quindi meno illuminati. Per crescere, l’economia ha bisogno di procedure più snelle ed accessi a finanziamenti esteri, che devono potere arrivare in modo sicuro e veloce. Per tutti questi motivi appare difficile credere che con una vittoria dei conservatori si possano creare questi necessari presupposti per la crescita. Con il divieto dei sondaggi appare difficile fare dell e previsioni sull’esito del voto, anche se da più parti Rohani viene dato come favorito, proprio per la necessità del paese di avere garanzie sulla propria crescita economica. Il presidente uscente non è certo un progressista come intendiamo in occidente, ma in questo momento, è l’opzione migliore che il paese consente a se stesso per una ulteriore apertura sul tema dei diritti e quindi una facilitazione per i rapporti con l’estero. Non che ci si possa aspettare stravolgimenti: la politica estera di Rohani, pur vantando il successo del negoziato sul nucleare, è sempre caratterizzata dal dualismo con l’Arabia Saudita, nel campo religioso, dall’appoggio incondizionato al regime di Assad, per quanto riguarda la questione siriana e l’eccessiva, per quanto nascosta, attività contro lo stato israeliano. Con Trump nella veste di presidente statunitense, i rapporti tra i due stati sono tornati ad essere tesi, ma con un presidente di chiaro stampo conservatore la tensione potrebbe arrivare a livelli molto pericolosi. Se l’aspetto economico è quello su cui fare leva per consentire una maggiore apertura del paese iraniano verso l’esterno, cosa che è necessaria anche all’Europa per incrementare, anch’essa, la propria economia e trovare dei canali privilegiati nei rapporti con Teheran, funzionali al recupero del prestigio di Bruxelles in campo internazionale, il migliore candidato possibile appare senz’altro Rohani; occorre anche non dimenticare l’apporto che i combattenti iraniani hanno dato sul terreno, contro le forze dello Stato islamico, fattore, che, se pure da inquadrare nel dualismo tra sciiti e sunniti, non è da trascurare e che è venuto su impulso del presidente iraniano uscente. L’importanza del voto iraniano appare quindi fondamentale, sia per gli equlibri regionali, che per quelli mondiali, perchè una regressione del più grande paese sciita porterebbe a nuovi scenari di instabilità, dei quali il panorama internazionale, già travagliato, non ha certo bisogno.
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