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lunedì 10 luglio 2017

La conquista di Mosul non evita il pericolo del terrorismo



Con la caduta di Mosul, i territori che sono ancora sotto la sovranità dello Stato islamico, si sono notevolmente ridotti: si calcola, infatti, che, sotto al dominio del califfato, resterebbe l’equivalente di circa un terzo rispetto alla sua massima espansione. La notizia della riconquista di osul, da parte delle forze irakene è sicuramente positiva, ma non costituisce un punto di arrivo, perchè resta sotto il dominio del califfato una fascia lunga circa 400 chilometri, situata la confine tra l’Iraq e  la Siria. Da questa porzione di territorio è parita l’offensiva dello Stato islamico contro l’occupazione militare, in questi territori il califfato può godere ancora di appoggi consistenti ed è verosimile pensare che la strategia dei superstiti dello Stato islamico sia quella di ritirarsi in queste zone, per poi cercare di riprendere le azioni militari. Ci potrebbero essere delle analogie con la tattica usata dai talebani in Afghanistan, che usano le valli al confine con il Pakistan, per portare a compimento i loro attacchi. D’altro canto la situazione in Irak, dal punto di vista dei rapporti tra sciiti, ora al comando del paese, e sunniti non è ancora pacificata e, terminata l’euforia della riconquista, non pare azzardato temere che il problema possa ripresentarsi con tutte le sue conseguenze destabilizzanti già sperimentate. Occorre cercare di prevedere quale sarà la strategia che lo Stato islamico vorrà portare avanti per non scomparire del tutto o comunque subire un ridimensionamento del tipo di quello che ha colpito Al Qaeda. Probabilmente il califfato vorrà giocare contemporaneamente su due piani diversi: il mantenimento dei territori dove è ancora insediato e l’incremento delle azioni terroristiche, che prima erano una modalità secondaria. Con la perdita di sovranità, al contrario, l’azione terroristica diventa almeno di eguale peso strategico, alla condotta militare portata avanti fino ad ora ed all’assoggettamento alla legge islamica dei territori conquistati. La riconquista di questi territori, sia sul versante siriano, che su quello irakeno, deve diventare essenziale per la sconfitta finale dello Stato islamico, anche in ottica preventiva delle possibili azioni terroristiche. Bisogna ricordare che gli attentati compiuti in occidente sono quelli che hanno un maggiore risalto mediatico e, seppure molto gravi, sono stati di gran lunga inferiori a quelli compiuti nel paese irakeno. La capacità di mobilitazione del califfato in Iraq è unita ad una presenza sul territorio che è ancora elevata e più che sufficiente per condurre una campagna di attentati capace di destabilizzare uno stato dove il potere, dopo la caduta di Saddam Hussein, non è stato ancora sufficientemente diviso tra sciiti e sunniti. Quindi, aldilà della importante vittoria militare, che ha portato alla riconquista di Mosul, l’azione per sconfiggere lo Stato islamico deve riguardare altre sfere della gestione dello scenario; la preponderanza sciita e l’appoggio iraniano, determinanti per la vittoria militare, potrebbero, se non attutiti, costituire un fattore di debolezza del sistema, che potrebbe dare modo al califfato, espressione essenzialmente sunnita, di tornare molto pericoloso. Tuttavia limitarsi ad una analisi della situazione interna, senza considerare gli interessi internazionali in gioco, non è sufficiente. Se con Obama c’era una tacita collaborazione con Teheran, l’avvento di Trump ha scompaginato l’azione americana, che è tornata ad essere incentrata sulle monarchie sunnite del Golfo Persico; ora l’atteggiamento dei regni sauditi e della Turchia, nei confronti dello Stato islamico è stato non molto chiaro, sopratutto per la valenza che queti stati davano al califfato in funzione anti siriana ed anti sciita. D’altra parte intorno agli sciiti si è concretizzata una coalizione, seppure non ufficiale, tra russi ed iraniani, che sembra essere fatta apposta per andare contro gli interessi statunitensi. Per la sconfitta del califfato molto dipenderà anche da come sarà risolta la vicenda siriana, la cui fine sembra essere molto lontana. Gli interessi sulla Siria potrebbero alterare gli equilibri molto fragili, che hanno permesso una sorta di coalizione internazionale contro il califfato, e creare una frattura capace di andare aldilà dello Stato islamico, evidenziando una contrapposizione sempre su base religiosa, ma integrata ed alimentata da interessi relativi a potenze esterne all’area. All’interno di questo dualismo potrebbe trovare nuovo vigore il terrorismo, come esecutore di compiti non possibili per gli stati nazionali, ma funzionali ai loro interessi. L’ipotesi non è lontana, perchè ha già contribuito in passato alla nascita di movimenti che sono poi confluiti nel califfato. Quindi occorre guardare molto oltre le vicende militari dello Stato islamico, perchè la possibilità di minacce peggiori, nel solco dell’integralismo sono, purtroppo ben presenti e concrete nello scenario irakeno.

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