Con la caduta di Mosul, i territori che sono
ancora sotto la sovranità dello Stato islamico, si sono notevolmente ridotti:
si calcola, infatti, che, sotto al dominio del califfato, resterebbe l’equivalente
di circa un terzo rispetto alla sua massima espansione. La notizia della
riconquista di osul, da parte delle forze irakene è sicuramente positiva, ma
non costituisce un punto di arrivo, perchè resta sotto il dominio del califfato
una fascia lunga circa 400 chilometri, situata la confine tra l’Iraq e la Siria. Da questa porzione di territorio è
parita l’offensiva dello Stato islamico contro l’occupazione militare, in
questi territori il califfato può godere ancora di appoggi consistenti ed è
verosimile pensare che la strategia dei superstiti dello Stato islamico sia
quella di ritirarsi in queste zone, per poi cercare di riprendere le azioni
militari. Ci potrebbero essere delle analogie con la tattica usata dai talebani
in Afghanistan, che usano le valli al confine con il Pakistan, per portare a
compimento i loro attacchi. D’altro canto la situazione in Irak, dal punto di
vista dei rapporti tra sciiti, ora al comando del paese, e sunniti non è ancora
pacificata e, terminata l’euforia della riconquista, non pare azzardato temere
che il problema possa ripresentarsi con tutte le sue conseguenze destabilizzanti
già sperimentate. Occorre cercare di prevedere quale sarà la strategia che lo
Stato islamico vorrà portare avanti per non scomparire del tutto o comunque
subire un ridimensionamento del tipo di quello che ha colpito Al Qaeda.
Probabilmente il califfato vorrà giocare contemporaneamente su due piani
diversi: il mantenimento dei territori dove è ancora insediato e l’incremento
delle azioni terroristiche, che prima erano una modalità secondaria. Con la perdita
di sovranità, al contrario, l’azione terroristica diventa almeno di eguale peso
strategico, alla condotta militare portata avanti fino ad ora ed all’assoggettamento
alla legge islamica dei territori conquistati. La riconquista di questi
territori, sia sul versante siriano, che su quello irakeno, deve diventare
essenziale per la sconfitta finale dello Stato islamico, anche in ottica
preventiva delle possibili azioni terroristiche. Bisogna ricordare che gli
attentati compiuti in occidente sono quelli che hanno un maggiore risalto
mediatico e, seppure molto gravi, sono stati di gran lunga inferiori a quelli
compiuti nel paese irakeno. La capacità di mobilitazione del califfato in Iraq
è unita ad una presenza sul territorio che è ancora elevata e più che
sufficiente per condurre una campagna di attentati capace di destabilizzare uno
stato dove il potere, dopo la caduta di Saddam Hussein, non è stato ancora
sufficientemente diviso tra sciiti e sunniti. Quindi, aldilà della importante
vittoria militare, che ha portato alla riconquista di Mosul, l’azione per
sconfiggere lo Stato islamico deve riguardare altre sfere della gestione dello
scenario; la preponderanza sciita e l’appoggio iraniano, determinanti per la
vittoria militare, potrebbero, se non attutiti, costituire un fattore di
debolezza del sistema, che potrebbe dare modo al califfato, espressione
essenzialmente sunnita, di tornare molto pericoloso. Tuttavia limitarsi ad una
analisi della situazione interna, senza considerare gli interessi
internazionali in gioco, non è sufficiente. Se con Obama c’era una tacita
collaborazione con Teheran, l’avvento di Trump ha scompaginato l’azione americana,
che è tornata ad essere incentrata sulle monarchie sunnite del Golfo Persico;
ora l’atteggiamento dei regni sauditi e della Turchia, nei confronti dello
Stato islamico è stato non molto chiaro, sopratutto per la valenza che queti
stati davano al califfato in funzione anti siriana ed anti sciita. D’altra
parte intorno agli sciiti si è concretizzata una coalizione, seppure non
ufficiale, tra russi ed iraniani, che sembra essere fatta apposta per andare
contro gli interessi statunitensi. Per la sconfitta del califfato molto
dipenderà anche da come sarà risolta la vicenda siriana, la cui fine sembra
essere molto lontana. Gli interessi sulla Siria potrebbero alterare gli
equilibri molto fragili, che hanno permesso una sorta di coalizione
internazionale contro il califfato, e creare una frattura capace di andare
aldilà dello Stato islamico, evidenziando una contrapposizione sempre su base religiosa,
ma integrata ed alimentata da interessi relativi a potenze esterne all’area.
All’interno di questo dualismo potrebbe trovare nuovo vigore il terrorismo, come
esecutore di compiti non possibili per gli stati nazionali, ma funzionali ai
loro interessi. L’ipotesi non è lontana, perchè ha già contribuito in passato
alla nascita di movimenti che sono poi confluiti nel califfato. Quindi occorre
guardare molto oltre le vicende militari dello Stato islamico, perchè la
possibilità di minacce peggiori, nel solco dell’integralismo sono, purtroppo
ben presenti e concrete nello scenario irakeno.
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