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venerdì 6 ottobre 2017
Le ripercussioni dell'aumento dell'uso dei robot sui paesi poveri
Il futuro dell’industria sembra essere sempre più orientato verso un impiego più massiccio di robot; l’opinione pubblica occidentale si interroga, giustamente, sulla riduzione dei posti di lavoro, in un contesto già pesantemente segnato dalla crisi economica. Le misure proposte, per non innescare conseguenze negative sociali ed economiche, capaci di deprimere sia i mercati interni, che esterni, sono le più diverse. Si va dall’introduzione di un salario di cittadinanza, in grado di compensare la perdita dei salari, fino alla tassazione dei robot per finanziare il sostegno dei lavoratori espulsi dai processi industriali influenzati dall’automazione più elevata. Si tratta di uno scenario contraddistinto da profonda preoccupazione, sopratutto per le sue implicazioni sociali, in grado di alterare gli equilibri dei settori produttivi ed il sistema economico. Tuttavia una possibile conseguenza non ancora del tutto indagata a fondo è quella che riguarda le ricadute nei paesi dove il costo della forza lavoro è basso e non si hanno competenze elevate da rivendere sul mercato del lavoro. Si tratta di paesi del terzo e quarto mondo dove sono state esportate lavorazioni di grandi quantità ma di poco pregio. Risulta abbastanza agevole pronosticare che il lavoro robotizzato avrà un costo inferiore anche della manodopera con il costo più basso, inoltre produrre vicino alle aree di vendita, farà diminuire i costi del trasporto ed una vicinanza con i lavoratori del settore più qualificati, aumenterà le economie di scala delle industrie interessate dal processo produttivo. Questo schema si può applicare a qualsiasi settore merceologico, ma sopratutto a quelle merci destinate ai mercati più ricchi: quelli occidentali. Si capisce molto bene che le conseguenze per i paesi poveri, che non hanno altro da offrire al mercato globalizzato, che non la loro manodopera a basso costo, vedranno, molto probabilmente, diminuire i loro introiti, ed anche nel caso della presenza di uno sviluppo industriale di partenza, non si potrebbe arrivare a competere con le industrie occidentali. Se si prende in considerazione la possibile, ma non certa, introduzione di una tassa sulle macchine, in rapporto al lavoro umano diminuito, questo introito fiscale, da destinare alla redistribuzione in favore della forza lavoro espulsa dal processo produttivo, non può che essere immaginata nella nazione in cui vengono impiantati i robot; quindi non si può pensare alcun indennizzo per la forza lavoro a basso costo, presente nei paesi poveri, sostituita dai robot impiantati negli stati di appartenenza delle fabbriche interessate al fenomeno. La contrazione delle possibilità di impiego potrà avere delle ripercussioni dirette sugli assetti dei tessuti sociali dei paesi poveri, andando ad incrementare il fenomeno migratorio nella parte avente come causa i motivi economici. L’aumento potrebbe essere consistente e di difficile gestione e potrebbe interessare non solo i paesi europei, ma anche tutte quelle nazioni che hanno intrapreso un percorso che riguarda l’aumento dei propri standard produttivi, sostenuti, sia dalla presenza di un retroterra culturale capace di favorire il passaggio al lavoro automatizzato, sia dalla presenza di notevoli capacità di liquidità finanziaria, in grado di sostenere i costi e gli investimenti necessari a dotare la propria infrastruttura industriale di una automazione maggiore. Quindi non solo l’Europa, ma anche i paesi come la Cina, che hanno superato la fase di fornitori di manodopera a basso costo, dovranno pensare in quale modo affrontare l’emergenza migratoria per cause economiche. La scelta potrà andare in due direzioni: la prima, è quella di favorire la crescita di mercati in grado di assorbire le merci prodotte dalle macchine, mentre la seconda è quella di opporre un rifiuto al fenomeno migratorio, come l’Europa attuale, ma in maniera ancora più incisiva, ed aprire un duro confronto tra paesi ricchi e paesi poveri, con conseguenze pericolose facilmente prevedibili. La prima soluzione implica un impegno diretto, non solo dei governi dei paesi ricchi, ma anche delle industrie che possono individuare delle potenzialità nei nuovi possibili mercati, ma si tratta di conciliare la volontà di investire con le reali possiblità finanziarie, per questo scopo potrebbero essere creati organismi internazionali ad hoc, anche se è si tratterebbe di un processo lungo e difficile, per le condizioni di partenza delle economie dei paesi poveri, che si trovano in situazioni molto arretrate. Certamente in caso di chiusura verso i paesi poveri si verificherebbero delle emergenze molto gravi per i paesi ricchi, come il già citato aumento delle migrazioni, che, se ostacolate, potrebbero produrre fenomeni di avversione ai paesi ricchi in grado di alimentare nuove organizzazioni terroristiche. Il problema dell’incremento dell’automazione, pertanto, non deve essere sottovalutato, ma affrontato in tempo in tutte le sue variabili.
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