Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

lunedì 9 luglio 2018

L'inizio della guerra commerciale

Dopo l’introduzione dei dazi da parte degli Stati Uniti, la Cina abbandona i consueti toni diplomatici per attaccare Washington in maniera diretta, attraverso il giornale del governo “China Daily”. Il segnale è evidente: la guerra commerciale è appena iniziata. L’accusa verso gli USA è quella di ricatto e di violazione delle regole commerciali in maniera unilaterale, d’altra parte le minacce di Trump erano arrivate già da tempo e la sorpresa cinese appare sorprendente. Se Pechino credeva che le intenzioni del presidente americano non fossero vere ha commesso un errore di valutazione, tuttavia i toni del quotidiano cinese sembrano più avere lo scopo di avvertire gli Stati Uniti della ritorsione, sempre più prossima ed, insieme, di cercare di guadagnare una sorta di alleanza contro la prepotenza americana, che ha come indirizzo l’Unione Europea. Se l’obiettivo di Trump sarà quello di favorire i lavoratori e le imprese americane, il risultato sarà difficilmente raggiunto, dato che la risposta cinese, peraltro in linea con quella europea, sarà quella di rispondere con altri dazi, che aumenteranno i prezzi nel paese statunitense, peggiorando i bilanci delle aziende e riducendo il potere di acquisto dei lavoratori. In questa manovra di Washington non si può fare a meno di vedere un parallelismo con l’uscita del Regno Unito dall’Europa, che sta producendo conseguenze pesanti sull’economia inglese e notevoli ripensamenti da parte dell’opinione pubblica. Trump non sembra essere ancora arrivato ad un punto di gradimento così basso, ma se gli effetti della sua chiusura al mercato saranno così negativi le prossime elezioni di metà mandato potrebbero rivelarsi un disastro per il partito repubblicano. L’azione cinese per contrastare i dazi americani, sarà di una somma analoga, per un valore di circa 34 miliardi di dollari, a quella subita da Washington, che dovrebbe colpire maggiormente le aziende delle zone dove Trump ha riscosso un maggiore successo elettorale. Per ora la Cina ha seguito la modalità di risposta europea, cioè quella di introdurre dazi di misura simmetrica per non alzare il livello dello scontro; tuttavia la Casa Bianca ha già previsto di innalzare di ulteriori 16 miliardi di dollari i dazi sui prodotti cinesi tra due settimane. Come si vede lo scenario futuro più probabile è quello di una escalation della guerra commerciale, che non potrà non avere delle ripercussioni politiche a livello di equilibri internazionali. Infatti è impossibile non pensare al ruolo dell’Europa in una situazione che comprenda un tale sviluppo. Anche Bruxelles è stata colpita dai dazi americani e ciò ha provocato una maggiore vicinanza con la Cina per la affinità che si è sviluppata sui temi del libero commercio. Tuttavia un avvicinamento a Pechino deve essere trattato con molta cautela, visto il regime non democratico che vige nel paese cinese, con ancora troppe vittime della repressione e mancanza di diritti fondamentali. La Cina può essere un partner dal punto di vista commerciale, con ampi margini di sviluppo, se si vuole continuare a soprassedere sulle mancate garanzie ai suoi cittadini, ma non può diventare nulla di più. Dall’altra parte esiste la storica alleanza con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica, che resta un cardine della difesa europea; l’allontanamento provocato dalla guerra commerciale può anche avere ripercussioni sui legami diplomatici ma non deve incrinare il regime delle alleanze militari, nonostante le tante provocazioni di Trump, anche se appare evidente che il cambiamento della scena internazionale possa portare a variazioni inedite. Il successo delle formazioni politiche nazionaliste e populiste, che politicamente sono in accordo con il presidente statunitense potrebbe essere un ulteriore fattore di sviluppo del quadro generale: una Europa indebolita nelle sue strutture centrali potrebbe scegliere, o potrebbero sceglierlo singolarmente alcuni suoi membri, di avvicinarsi a Trump attraverso una politica di chiusura ed osteggiare la Cina ed, in ultima analisi, tutta l’impalcatura del libero mercato, in nome di un protezionismo locale, cioè un esercizio di sovranità nazionale interpretato con la chiusura verso il mondo. Si tratta di uno sviluppo possibile, che l’attuale situazione politica può favorire ma che riporterebbe il mondo ad una situazione pregressa che si credeva superata. La domanda è se il sistema economico mondiale può sopportare un tale arretramento senza considerevoli contraccolpi sociali; il tema, cioè, è se vengono previsti gli effetti di un ulteriore aumento delle diseguaglianze sociali, dovute ad un impoverimento generale causato dalla sempre maggiore ricchezza accumulata in percentuali sempre minori di popolazione; perchè questa sembra essere la direzione che la chiusura del libero mercato pare essere in grado di produrre. Un effetto ancora peggiore della globalizzazione che i populismi volevano combattere come primo nemico.

Nessun commento:

Posta un commento