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mercoledì 5 settembre 2018
Siria: verso l'attacco dell'ultima zona dei ribelli
Mentre l’aviazione russa avrebbe già iniziato il bombardamento della zona nord occidentale della Siria, l’ultima ancora presidiata da ribelli contrari ad Assad, la diplomazia cerca ancora di scongiurare l’ennesima catastrofe dovuta al conflitto siriano. La presenza di 70.000 combattenti, tra cui diversi componenti di Al Qaeda, pronti a tutto annuncia una possibile strage che sarebbe la naturale conseguenza dei combattimenti, nella quale il bilancio delle vittime civili sarebbe senz’altro molto alto. Nella zona sono presenti circa tre milioni di civili, molti dei quali hanno raggiunto questa area in fuga da altre zone della Siria e, dunque, sono già nella condizione di profughi. Dal punto di vista diplomatico, il paese che ha più interesse che la battaglia non si svolga è la Turchia, perché sarebbero ben 800.000 le persone che stanno già cercando rifugio nel territorio di Ankara, situato sul confine con questa regione siriana. Ma anche dal punto di vista diplomatico la Turchia è in una situazione non facile: la contiguità con i gruppi ribelli presenti nella zona ha provocato la richiesta di Russia, Iran e del regime di Damasco di una sorta di trattativa preventiva per evitare una battaglia già deplorata dalle Nazioni Unite e dagli USA. Ankara deve fare i conti con la sua tattica oscillante tra l’uso dei ribelli contro Assad ed il successivo dialogo con il regime siriano: un comportamento tenuto per tutelare i propri interessi particolari, in modo speciale contro i curdi, anziché guardare agli equilibri regionali. La prima conseguenza potrebbe essere, appunto, un ingente afflusso di profughi verso il suo territorio, un problema di difficile gestione, se unito alla già grande quantità di profughi che deve gestire. Gli interessi di Mosca, Teheran e Damasco vanno, però, in direzione contraria e mirano a risolvere al più presto la questione di Idlib. Per i Russi si tratta di porre fine al più presto all'impegno diretto nel teatro di guerra, che è stato giustificato dagli obiettivi geopolitici di Mosca, ma che non viene più visto benevolmente dalla società russa ed incomincia a provocare dissidio sull’operato di Putin in medio oriente. Teheran ha necessità di dare il colpo finale ai ribelli sunniti e di dare, attraverso questa operazione, un segnale chiaro ed inequivocabile alle monarchie del Golfo, che, con questa eventuale sconfitta, uscirebbero definitivamente perdenti dal conflitto siriano. Damasco, direttamente coinvolta, ha l’obiettivo di finire il conflitto e ristabilire la propria sovranità anche su questa regione, anche se si tratterà, verosimilmente, di una sovranità limitata a favore di Russia ed Iran. Se l’avvio delle operazioni sembra, quindi, impossibile da evitare, Iran, Russia e la stessa Siria auspicano di risolvere la situazione con il più basso costo umano possibile. Queste parole di circostanza sono in conflitto con i primi morti civili cuasati dai bombardieri russi. Mentre di delinea la catastrofe umanitaria ancora una volta non si può non registrare com gli Stati Uniti abbiano abdicato al loro ruolo di principale potenza internazionale, giacché il piano di Trump per il disimpegno dalla Siria andrà comunque avanti. Il presidente americano ha solo fatto un appello ai tre paesi impegnati nel conflitto per evitare la battaglia di Idlib, ma è parso soltanto un atto formale senza alcun vincolo o conseguenza. D’altra parte anche le Nazioni Unite si sono limitate ad appelli di circostanza ed a confermare una riunione del Consiglio di sicurezza che finirà in un nulla di fatto per il veto russo. Al resto del mondo, Europa inclusa, non resta che stare a guardare impotente quella che si annuncia l’ennesima strage di civili a cui seguirà una grave situazione umanitaria e le ovvie persecuzioni del sanguinario regime di Assad, rimasto comunque a ricoprire la massima carica politica del paese siriano.
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