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martedì 8 gennaio 2019
I dubbi sul ritiro americano dalla Siria
Mentre il governo di Assad, grazie all’appoggio di Iran e Russia, ha riconquistato circa il 75% del paese siriano, la parte che comprende i giacimenti più preziosi, oltre ad avere mantenuto sempre lo sbocco al mare, la parte della Siria rimasta sotto il controllo americano comprende territori desertici ed i giacimenti petroliferi che contengono il greggio con qualità inferiore; questa motivazione, unita la fatto che il programma di rovesciare Assad è fallito, hanno determinato in Trump la decisione di ritirare i circa 2000 soldati americani ancora presenti sul territorio siriano. La questione, però ha sollevato obiezioni interne ed esterne, che potrebbero creare ripensamenti alla Casa Bianca. La ragione ufficiale sostenuta dal presidente statunitense è che la lotta allo Stato islamico è terminata con la sconfitta del califfato, tuttavia la presenza, seppure ridotta ed in alcune zone più remote, di alcuni gruppi non permette di affermare con la certezza di Trump, il completo annientamento dei miliziani dal territorio dove operano i militari americani. Dal punto di vista interno,le valutazioni dei vertici militari americani ritengono questa mossa un errore, analogo a quello, per ora scongiurato, del ritiro delle truppe dall’Iran, sia per ragioni contingenti, come la presenza residuale dello Stato islamico, sia per le ripercussioni sulle alleanze militari con i curdi, che per l’azione di contrasto all’Iran, sopratutto in ottica di difesa di Israele. La questione curda non permette un atteggiamento improntato soltanto alle valutazioni dell’esclusiva convenienza, sopratutto finanziaria, che stanno alla base della decisione di Trump (che ancora una volta si rivela come un politico miope sul lungo periodo ed anche scarso conoscitore delle dinamiche di politica internazionale). L’impegno dei combattenti curdi direttamente sul terreno ha permesso agli Stati Uniti di evitare lo schieramento diretto di soldati americani nel teatro di combattimento siriano, i curdi si sono rivelati, così come nell’occasione dell’invasione dell’Iraq di Saddam, i principali e più efficienti alleati degli USA, molto al di sopra dei combattenti appartenenti alle forze democratiche siriane, che non sono mai riusciti a fornire un aiuto adeguato ai militari del pentagono. La questione curda, però, prevede la profonda contrarietà di Ankara alla possibilità di una entità autonoma curda sui propri confini. La Turchia ha accolto con favore la possibile ritirata americana, intravvedendo la possibilità di una azione militare diretta contro i curdi siriani. Erdogan ha anche richiesto lo smantellamento delle basi militare allestite dagli Usa per i curdi per endere più deboli i combattenti curdi. L’azione turca sarebbe giustificata con la solita scusa di conbattere il terrorismo curdo. La strategia curda è stata allora quella di allacciare nuovamente i rapporti con Assad, con il quale i curdi avevano, comunque, una certa autonomia. I militari di Damasco si sono avvicinati alle zone curde, sulle quali è stata fatta sventolare la bandiera siriana, creando così i presupposti di un confronto con la Turchia, che, alla fine, ha minacciato una azione in territorio della Siria. Non occorre ricordare che ciò potrebbe implicare una risposta anche da Russia ed Iran, che sono presenti in forze sul territorio di Damasco. La decisione di Trump, quindi, potrebbe riaprire un nuovo capitolo della guerra siriana, interrompendo l’attuale fase di stallo. A poco sembrano valere le richieste americane verso la Turchia, per evitare una aggressione da parte di Ankara del territorio curdo: il governo turco ha già respinto queste richieste creando un evidente ed ulteriore problema al prestigio internazionale americano. Non meno importante è la questione posta da Israele sulla propria sicurezza, perchè la ritirata americana lascerebbe spazio all’Iran in Siria, sopratutto dal punto di vista logistico per rifornire le milizie sciite in Libano. A questo punto gli interrogativi sulla reale convenienza del ritiro delle truppe americane dalla Siria paiono essere troppi e ciò potrebbe costringere all’ennesimo cambiamento di programma il presidente Trump, che vedrebbe un altro impegno pronunciato in campagna elettorale, impossibile da mantenere.
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