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mercoledì 2 gennaio 2019

La questione di Taiwan diventerà centrale nella politica estera

La questione di Taiwan rischia di diventare uno degli argomenti centrali per la politica estera dell’anno che è appena iniziato. Pechino non ha mai rinunciato alla prospettiva di riunificare l’isola di Formosa all’interno dell’amministrazione della Cina, senza alcun requisito di indipendenza, ma come una semplice provincia. Per tutti i governati cinesi, che si sono succeduti nel tempo,  la questione si può riassumere nella impossibilità di rinunciare alla visione di una Cina unica ed indivisibile, che non può contemplare porzioni di territorio al di fuori della giurisdizione e dell’amministrazione di Pechino, senza tolleranza alcuna. In questa ottica è rientrata anche Hong Kong, che, aldilà, delle condizioni esteriori, sta vedendo erodere in maniera progressiva le concessioni democratiche che il passaggio dal Regno Unito alla Cina dovevano essere garantite. Per Taiwan il discorso è però differente: l’isola nazione mantiene una propria autonomia guadagnata grazie agli esiti del  conflitto del 1949, quando i comunisti persero il potere sull’isola. La questione di Formosa è centrale nella politica interna cinese, perchè non può essere oggetto di una repressione, come accaduto per il Tibet o per le terre dei musulmani cinesi, dove è stato usato il doppio mezzo dela violenza e dell’invasione delle etnie più fedeli a Pechino, per cancellare il dissenso e reprimere qualsiasi ribellione; Taiwan, grazie anche alla sua posizione geografica, dispone di istituzioni totalmente indipendenti da Pechino ed anche del riconoscimento internazionale di alcuni paesi, come nazione indipendente. Questo stato di cose è vissuto come una ferita profonda dall’attuale presidente cinese, tale da diventare un punto fermo nel suo programma politico. Xi Jinping non può però minacciare direttamente Taiwan ed infatti si limita a blandire quella, che comunque considera una provincia cinese, con argomenti pratici e di natura anche economica, restando nei confini dell’utilizzo della grande disponibilità finanziaria cinese. In realtà essere entrati in modo così palese nella questione, appare un fatto insolito per la cautela cinese, nonostante il fatto che Taiwan venga considerata parte della Cina, resta pur vero che il suo comportamento sia in tutto e per tutto assimilabile ad una nazione indipendente. Taiwan non ha mai dichiarato formalmente la sua indipendenza dalla Cina, ma il governo in carica ha manifestato più volte di volere procedere in questa direzione e ciò rappresenta il vero pericolo per il prestigio cinese, sia verso l’esterno, ma sopratutto verso l’interno. Se il presidente cinese ha parlato di mezzi pacifici per favorire la riunificazione, ha anche parlato di come la dichiarazione di indipendenza porterebbe  evidenti svantaggi economici ai traffici di Taiwan, minacciando, neppure in maniera troppo nascosta,  di fare crescere la tensione lungo i due lati del canale che separa l’isola dalla Cina. Xi Jinping è arrivato a minacciare l’uso della forza per difendere quella che considera la sfera di azione esclusiva per Pechino. Questo messaggio risulta chiaramente rivolto agli Stati Uniti, che sono il maggiore alleato militare di Taiwan e che intendono usare ogni mezzo possibile per contrastare la crescita politica della Cina a livello internazionale, sopratutto nell’ottica della competizione economica. Trump, che vuole smarcarsi a alcuni teatri di guerra mondiale per concentrare gli sforzi del paese su questioni considerate più importanti, ha compreso bene, come, del resto già Obama, che l’area del Pacifico orientale ha assunto sempre maggiore importanza, sia per la quantità e la qualità dei traffici delle merci, sia per le ragioni funzionali essenziali per contendere alla Cina la supremazia nell’area; oltre che di valore simbolico, operare direttamente in quella che Pechino considera la sua zona di influenza esclusiva, esiste anche un valore pratico molto considerato dagli strateghi della Casa Bianca, che è rappresentato dalla possibilità di andare direttamente a contrastare gli interessi cinesi sui confini di Pechino. In questo quadro rientra anche il tentativo che prenderà sempre più forma di cercare di portare via dall’influenza cinese la Corea del Nord, tramite concessioni economiche e la tolleranza del possesso degli arsenali atomici. Ecco quindi l’importanza della questione di Taiwan, che costringe la Cina a giocare d’anticipo e non affidarsi più alla solita tattica di attesa; su quali saranno gli sviluppi non è possibile  fare delle previsioni sicure, se non che Formosa sarà sicuramente uno dei centri nevralgici della politica estera prossima a venire. 

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