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venerdì 31 maggio 2019
Israele deve tornare al voto
Per la prima volta nella sua storia, Israele è costretto a ripetere le elezioni dopo che sono state appena disputate. Infatti il risultato uscito dalle urne lo scorso 9 aprile non ha permesso alcuna formazione di un esecutivo in grado di governare il paese. Il voto che ha determiato questa decisione è stato etrogeneo perchè ai 64 membri della maggioranza si sono aggiunti i 10 rappresentanti dei partiti arabi, che hanno intravisto in questa decisione una occasione per assumere maggiore rilevanza. Nei contrari si contano tutti i 45 deputati della minoranza, l’intero centrosinistra, che ha votato in questo modo per sottolineare l’incapacità dei vincitori di trovare un accordo e per manifestare la propria contrarietà alle spese che il paese dovrà sostenere per la nuova tornata elettorale, che hanno già visto diverse contrarietà nella società civile israeliana. Netanyahu, personalmente gode di sondaggi favorevoli, ma questi potrebbero non bastare per affrontare i magistrati chelo accusano di corruzione e, sopratutto, politicamente per gestire la frammentazione politica del campo conservatore, che rappresenta la vera ragione responsabile delle nuove elezioni. Le sei formazioni di destra, che avrebbero dovuto trovare un accordo, si sono rivelate troppe anche per un politico abituato a conduzioni spregiudicate come Netanyahu, troppi interessi particolari che hanno determinato il fallimento della causa comune, d’altro canto mettere d’accordo una coalizione di conservatori, di destra nazionalisti religiosi ed ebrei ultra-ortodossi è tutt’altro che facile ed il leader israeliano ha sottovalutato queste difficoltà. La ripetizione delle elezioni, quindi, vede Netanyahu come il principale sconfitto ed il danno alla sua immagine potrebbe costargli la rinuncia ad una leadership futura, nonostante l’apprezzamento del paese. Del resto la frammentazione dlela destra si può inquadrare in una sua tattica per meglio governare le differenze e restare il capo di una coalizione che non è riuscita a nascere. L’errore, probabilmente, è stato quello di dare troppo rilievo alla parte più estrema, credendo di saperne governare l’attivismo e, nel contempo, riuscire a conciliare gli interessi della parte più moderata della destra israeliana. Questa volta la tattica spregiudicata condotta con continui azzardi, come in politica estera e come nei confronti dei palestinesi, non ha avuto successo. Il leader israeliano adesso deve fare fronte alle inchieste per corruzione ed alla possibile aggregazione delle liste di centrosinistra con i partiti arabi, estremo tentativo dell’opposizione per fargli perdere il potere. Occorre ricordare che l’astensionismo tra gli arabi israeliani nelle ultime elezioni è stato molto alto ed una maggiore risposta alle elezioni, grazie ad una campagna che possa consentire agli arabi di non sentirsi più cittadini di minore importanza, potrebbe avere effetti capaci di rovesciare i rapporti di forza. Al contrario la campagna elettorale che si terrà in estate, le elezioni legislative sono state fissate per il 17 settembre, non sarà accolta favorevolmente dagli israeliani, contrariati dal’incapacità politica di formare l’esecutivo e dalla spesa per una nuova competizione elettorale. La minaccia di un astensionismo per evidente sfiducia rappresenta un grave pericolo per il risultato dell’elettorato conservatore. Una previsione possibile è che si possa verificare un ulteriore blocco della politica grazie ad un risultato vicino al pareggio o una ripetizione delle attuali proporzioni di forza, un destino che obbligherebbe ad una soluzione di compromesso ben più difficile da quello che non è stato trovato entro il perimetro della destra: condannando il paese ad una instabilità ed incertezza pericolosi anche negli scenari della politica estera.
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