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martedì 1 ottobre 2019

Il pericolo del ritorno dello Stato islamico

La guerra contro lo Stato islamico, seppure vinta in apparenza, non ha annientato del tutto il fenomeno dell’integralismo sunnita a causa del perdurare delle cause che ne avevano favorito l’espansione. Esiste una zona al confine tra Siria ed Irak, nella valle del fiume Eufrate, dove le condizioni negative nelle quali vivono le popolazioni arabe locali, starebbe favorendo la riorganizzazione delle forze del califfato. La zona, inoltre è ricca di giacimenti e risorse energetiche, che causano la presenza di ingenti contingenti di truppe straniere. Le forze militari che controllano la parte siriana, sono truppe russe e siriane fedeli ad Assad, mentre nel territorio irakeno si registra la presenza di effettivi statunitensi, curdi ed iraniani. Le modalità di occupazione del territorio sono simili in entrambi i lati del confine: le operazioni militari sono frequenti e repressive, anche a causa della ripresa degli attentati terroristici, e sono compiuti spesso arresti condotti in maniera arbitraria della popolazione maschile presente nelle zone delle operazioni. Queste modalità di occupazione del territorio hanno generato una forte ostilità verso la presenza armata, comunque considerata straniera, che sta spostando le simpatie, in maniera quasi obbligata, verso la propaganda dello Stato islamico. Occorre ricordare, che una delle cause di successo della rapida espansione del califfato nella regione, fu proprio l’invadenza sciita, anche sul piano politico, oltre che in quello religioso, in territori ha maggioranza sunnita; ora quell’errore sembra ripetersi, aggravato della presenza militare straniera, che mantiene una impostazione punitiva contro le popolazioni locali, alle quali non vengono forniti i più elementari servizi di sussistenza, come l’acqua potabile nei quantitativi necessari, l’approvigionamento dell’energia elettrica e dei medicinali. Lo Stato islamico sfrutta questo malcontento operando dalle zone di campagna, dove il reclutamento sta iniziando a riscuotere un successo che costituisce un indice di preoccupazione, mentre nelle città e negli agglomerati urbani è stata intrapresa una strategia del terrore basata su attentati e ritorsioni contro chi viene individuato come collaboratore delle forze di occupazione. Terminata la fase militare, con il califfato sconfitto, le forze vincitrici dovevano intraprendere una pacificazione con le popolazioni presenti, anche se queste, avevano appoggiato l’azione del califfato; tale azione avrebbe dovuto essere incentrata sul miglioramento degli standardi qualitativi della vita delle persone, provate da anni di guerra, mediante la costruzione di infrastrutture per assicurare i servizi primari. La situazione che si è verificata, al contrario, è stata contraddistinta da una fase troppo lunga di repressione, favorita da da una mancanza di sfiducia reciproca tra le forze militari presenti, a cui devono essere aggiunti i motivi di forte contrasto ed avversione derivante dal fatto di essere su campi contrapposti. L’assenza di un progetto concreto seguito alla fine dei combattimenti ha favorito una sorta di vuoto di potere, che si è manifestato proprio con l’incapacità di fornire alle popolazioni locali strumenti pratici tali da generare una fiducia nelle isituzioni che hanno sostituito il califfato. La presenza nel tessuto sociale locale dell’aspetto tribale, come principale fattore di controllo sociale non sembra essere stata compresa in modo completo e da questa carenza è derivata la mancanza di un dialogo con le comunità locali, che hanno riscontrato un’assenza del potere centrale, sia siriano, che irakeno. Bisogna ricordare l’importanza dell’aspetto religioso in un territorio dove i sunniti sono la maggioranza e diffidano delle credenze alternative, sopratutto se rappresentate dagli sciiti. In questo quadro, dove, occore sempre tenere presente l’avversione al potere costituito, l’occupazione straniera è stata percepita come una ulteriore aggravante contro l’autodeterminazione delle tribù locali, chehanno creato un ambiente favorevole alla ripresa del consenso verso lo Stato islamico. Il pericolo di un ritorno del califfato sulla scena regionale deve essere attentamente tenuto sotto controllo ed assolutamente non sottovalutato, anche perchè gli stati arabi, che già hanno finanziato in passato il califfato in funzione anti sciita, potrebbero essere tentati di ripetere l’operazione per limitare l’azione iraniana o contro le ambizioni curde. Si tratta di un’arma che è già sfuggita al controllo dei suoi utilizzatori già una volta e le condizioni di instabilità attuali, potrebbero essere favorevoli per una ripetizione, con tutte le conseguenze internazionali del caso.     

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