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Politica Internazionale
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giovedì 17 ottobre 2019
L'evoluzione della crisi siriana
L’evoluzione della crisi dei territori curdi in Siria, causata dalla Turchia, mette in rilievo, come è stato previsto, la crescita del ruolo della Russia nell’area. La nuova alleanza tra curdi e siriani ha portato le truppe di Assad sul terreno, pericolosamente vicino ai soldati turchi; formalmente le forze armate di Damasco stanno operando sul proprio territorio, mentre l’esercito di Ankara ha invaso un territorio straniero, senza, tuttavia, dichiarare guerra. Il presidente turco ha presentato l’operazione come una battaglia contro il terrorismo e con la necessità di ricollocare i profughi siriani, presenti in gran numero in Turchia e male sopportati dai cittadini turchi. Il crescente nazionalismo nel paese turco e, proprio la volontà di riportare i profughi siriani in patria, ha determinato il gradimento della popolazione e delle forze politche della Turchia, che appoggiano il presidente turco con una percentuale del 75% dei cittadini. Questo successo favorisce una ancora maggiore intransigenza del governo di Ankara a perseguire i suoi obiettivi, incurante delle sanzioni americane e degli ammonimenti europei. In questo scenario pericoloso Mosca gioca un ruolo determinante per evitare la possibilità dell’allargamento del conflitto su scala regionale. Le truppe russe hanno occupato le basi lasciate libere dai soldati americani e, di fatto, sono tra i militare turchi e quelli siriani; non bisogna dimenticare però che la presenza russa non è neutrale, ma va inquadrata nell’alleanza con Damasco, alleanza che ha permesso la permanenza al potere di Assad. Il dittatore siriano, tuttavia, non sembra più un soggetto autonomo, come prima delle rivolte siriane, ma un capo di stato ormai troppo dipendente da Mosca. Putin, oltre al prestigio internazionale, continua così a perseguire la sua strategia per la presenza sul Mediterraneo e nel medioriente, con la possibilità sempre crescente di aumentare il suo peso specifico nell’arena internazionale. I curdi, pur di evitare una strage, hanno accettato di allearsi con la Siria, sapendo che Damasco non è un alleato affidabile, che quasi certamente ridurrà l’autonomia della regione curdo siriana. D’altra parte i morti tra i civili sono già numerosi ed il numero delle persone costrette a lasciare i propri luoghi di residenza viene stimato in circa 190.000 persone di cui si crede che 70.000 siano minorenni. La Turchia, quindi, sta provocando in queste zone un nuovo disastro umanitario, che segue quelli provocati dallo Stato islamico e di cui Ankara è stata probabilmente complice. Di fronte a questi soprusi la comunità internazionale appare divisa ed incerta sulle risposte da dare ed ancora una volta l’inettitudine di Trump risalta nel teatro internazionale. Anche l’Europa offre una immagine penosa, immobile nella sua divsione ed incertezza, mentre le Nazioni Unite presentano le solite iniziative senza risultati, evidenziando per l’ennesima volta la loro inadeguatezza ed inutilità. Per contrastare Ankara bastava lasciare i soldati americani al proprio posto in Siria, ma anche senza questa presenza sarebbe sufficente sottoporre la Turchia ad un regime di sanzioni come quello applicato alla Corea del Nord o all’Iran; se non vengono adottate queste soluzioni è soltanto perchè siamo di fronte ai soliti interessi particolari contrastanti degli attori politici coinvolti nella regione ed anche su scala globale. Oltre queste considerazioni esiste il pericolo concreto della fuga dei terroristi del califfato, fino ad ora custoditi nelle prigioni curde: tra loro vi sono anche numerosi combattenti stranieri pronti a rientrare nei loro paesi d’origine, tra cui molti europei, con un bagaglio di conoscenze militari apprese sul campo e facilmente impiegabili in potenziali attentati. Questo deve essere inquadrato in un discorso più ampio che comprende la rinascita dello Stato islamico, impossibilitato, per ora ad azioni militari su grande scala e, proprio per questo obbligato a dimostrare la sua forza con azioni fuori dai territori mediorientali. Le responsabilità turche sono evidenti e, se la comunità internazionale non saprà andare oltre le dichiarazioni di facciata, altri dittatori saranno pronti a difendere i loro interessi senza alcun timore: questa crisi può essere l’occasione per ristabilire il diritto attraverso la pressione diplomatica, ma soltanto se almeno la gran parte delle nazioni riusciranno a superare loro differenze: requisito difficile da concretizzarsi.
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