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venerdì 10 aprile 2020
Mezzo miliardo di persone in più a rischio povertà
Gli effetti della pandemia andranno, ormai è sicuro, oltre le emergenze sanitarie, che rappresentano i bisogni più immediati; tuttavia le esigenze della salute si trovano già in concorrenza con le esigenze della pura sopravvivenza, come quelle di avere a disposizione il cibo per nutrirsi. Seppure con le debite distanze anche nei paesi occidentali si stanno verificando delle situazioni già paragonabili ad analoghe problematiche tipiche del terzo mondo. Per alcuni lavoratori che non godono dei diritti sindacali, perché impiegati in situazioni lavorative al margine dei processi produttivi, anche dal punto di vista legale, l’assenza di lavoro significa l’immediata mancanza di sostentamento, che li obbliga al ricorso alle organizzazioni di volontariato o, peggio, ad appoggiarsi ai settori della malavita che sono veloci ad occupare gli spazi che si vengono a creare anche per l’assenza dello stato. Esistono previsioni che dicono che lo stato di povertà riguarderà circa mezzo miliardo di persone, una cifra che somma soltanto coloro che vedranno il peggioramento della loro condizione ad una situazione di indigenza e che, in questa drammatica contabilità, si dovranno sommare alle circa settecentomila persone che sono già sotto la soglia della povertà. La pandemia, quindi, riporta la lotta alla miseria di almeno trenta anni e rivela l’imbarazzante impreparazione sia degli stati ricchi, che di quelli poveri, oltre, naturalmente delle organizzazioni sopranazionali: tutti impegnati nella rincorsa dell’obiettivo, quasi esclusivamente economico, a breve termine, senza una preparazione adeguata agli eventi inattesi ed una programmazione degna di affrontare eventi come quello che stiamo vivendo. Nonostante lo stato avanzato della tecnologia, mai così avanti nella storia dell’uomo, la percezione è quella di una incapacità diffusa in tutta la classe politica mondiale, in grado di mettere in pericolo equilibri già pericolosamente instabili dal punto di vista sociale. Certo il disastro viene da lontano, il neoliberismo ha prodotti molti danni, il primo di quali, la sempre maggiore disuguaglianza, è poi il responsabile della situazione attuale. Eppure questa situazione deve essere disinnescata in qualche modo: la prima questione è il debito pubblico dei paesi poveri, sul quale vanno fatti ragionamenti specifici, ma che devono andare nella direzione della cancellazione, almeno parziale. Nell’attuale contesto pandemico questi debiti non sono sostenibili per economie già provate dal sottosviluppo e negano la possibilità di creare nuovi mercati o di mantenere quelli attuali. Occorre tenere in debito conto la pericolosità della compressione del commercio mondiale, perché significa diminuzione della produzione ed aumento della disoccupazione: una spirale di recessione che può essere senza fine. Nello stesso tempo devono essere mantenuti i mercati più ricchi, riducendo al minimo il pericolo della contrazione della spesa. Soltanto piani di finanziamento diffusi in modo capillare, fino ad arrivare alle imprese, alle famiglie ed ai singoli individui, possono riuscire a raggiungere questi obiettivi; tuttavia la penetrazione dei finanziamenti non deve essere indiscriminata eliminando da queste politiche chi ha già capitali in proprio possesso in misura tale da non giustificare aiuti. Peggio ancora sarebbe indirizzare finanziamenti verso quei redditi più elevati con la giustificazione di alimentare in forma più spinta il mercato: questa teoria ha già fallito molte volte ed è responsabile della disuguaglianza attuale. Senza un finanziamento massiccio, rivolto soprattutto ai settori più poveri, non si può che andare incontro alle previsioni del Fondo Mondiale Internazionale, che parla di una situazione potenzialmente peggiore a quella della crisi del 1929 e che prevede una parziale ripresa soltanto nel 2021. Questi dati parlano di una possibile perdita di posti di lavoro a livello mondiale stimata in 1,25 miliardi si 3,3 miliardi di lavoratori totali. Si tratta di una bomba sociale che si può avere ripercussioni anche nei rapporti tra gli stati, aprendo a crisi diplomatiche che si annunciano molto pericolose.
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