Dal 1979 gli Stati Uniti non inviano un funzionario di rango elevato a Taiwan, con cui non intrattengono relazioni diplomatiche ufficiali, ma la decisione di Trump di inviare il Segretario alla salute degli USA, crea un nuovo punto di attrito nel già difficile rapporto con la Cina. L’atteggiamento ufficiale americano è molto cauto con Taiwan, tuttavia esistono sull’isola uffici di istituzioni americane che operano formalmente come vere e proprie rappresentanze diplomatiche. Per ora la volontà di Washington, che è stata una costante nelle varie amministrazioni succedute, anche di segno politico diverso, è stata improntata alla cautela per non urtare la Cina, con la quale si voleva comunque intrattenere un rapporto cordiale. La svolta nazionalista della Cina e la volontà di affermarsi come potenza mondiale, ma soprattutto avendo come obiettivo la riunificazione territoriale per esercitare la sua influenza nelle vie marittime, sta cambiando forzatamente le intenzioni statunitensi. Al programma americano di supremazia economica e commerciale, che ha anche portato alle sanzioni verso Pechino, si aggiungono le esigenze elettorali di Trump, in questo momento dato sfavorito dai sondaggi. Per l’inquilino della Casa Bianca è importante mettere Biden in una sorta di posizione di debolezza nei confronti della Cina, come fattore pericoloso per gli USA in caso di vittoria del candidato democratico. Risulta anche vero che dopo l’atteggiamento cinese verso Hong Kong, le minacce già fatte verso Taiwan, assumono una valenza particolare. Ad una eventuale invasione militare cinese dell’isola di Formosa gli Stati Uniti non potrebbero restare inerti; tenendo presente questa riflessione l’invio di un membro di alto rango del governo americano, rientrerebbe in una azione diplomatica preventiva: una sorta di avvertimento alla Cina ed alle sue eventuali intenzioni circa azioni militari. Un’altra causa della decisione americana, certamente non in contrasto con le precedenti, è quella di sottolineare l’atteggiamento di Taiwan e le differenze con la Cina riguardo alla pandemia, così da sotto intendere la cattiva gestione, ed anche oltre, della diffusione del virus. Questo aspetto è funzionale a Trump per cercare di allontanare la sua cattiva gestione della pandemia negli Stati Uniti, facendo ricadere sulla Cina la responsabilità iniziale della crisi medica. Ora la pessima gestione del presidente americano sulla diffusione del virus è più che un dato di fatto a prescindere da dove è venuto il virus e pur essendo presenti molti dubbi sui silenzi cinesi all’inizio della pandemia. Una volontà di tutelare Taiwan è certamente condivisibile, sia per il mantenimento dei diritti democratici, soprattutto dopo che sono cancellati da Hong Kong, sia per limitare l’azione cinese in campo internazionale e sia per preservare la possibilità della percorrenza delle vie marittime commerciali, però sono i tempi di questa azione ad essere sospetti, perché coincidono con uno dei momenti di massima difficoltà di Trump in patria: sia dal punto dell’immagine interna, sia per le difficoltà elettorali. Quanto all’obiezione di una possibile debolezza di Biden nei confronti della Cina, questa non sembra possibile perché la strada dei rapporti con la Cina sembra segnata a prescindere da quale sarà il prossimo presidente americano ed a quale partito apparterrà. Certamente potranno esserci modalità differenti circa il rapporto con la Cina, ma ormai la contrapposizione è troppo elevata e gli interessi troppo contrastanti per arrivare, almeno nel medio periodo, a rapporti più distesi. Per altro i rapporti distesi sono rimasti tali finché la Cina non ha espresso la volontà di aumentare le proprie ambizioni da grande potenza, quindi la possibilità di un atteggiamento differente da parte degli USA, semplicemente non può essere contemplata. Una delle riflessioni che si impone ancora una volta su questa vicenda è la conferma della inadeguatezza di Trump a ricoprire la carica politica più importante del mondo, perché la sua visione è troppo limitata agli interessi interni americani, senza contemplare i benefici indiretti di una corretta gestione della diplomazia della prima potenza mondiale, ma non solo, oltre ad una visione politica così limitata c’è anche un chiaro elemento di interesse personale che sembra essere in grado di essere messo in primo piano rispetto alla sua stessa politica governativa: una pessima qualità per chi è il presidente degli Stati Uniti.
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