La fine delle elezioni americane non è coincisa con la proclamazione del vincitore e ciò rischia di precipitare il paese in una crisi istituzionale peggiore anche di quella del 1974, culminata nelle dimissioni del presidente Nixon. Il primo rischio concreto è la paralisi istituzionale del paese fino al 14 dicembre, giorno in cui si riunirà il collegio elettorale per la ratifica del vincitore delle elezioni; fino ad ora questa riunione è stata una prassi formale, un passaggio istituzionale per la nomina del presidente, ma con la situazione attuale caratterizzata dalla strategia di Trump di esercitare ricorsi legali contro i risultati di alcuni stati. Questo comportamento è coerente con la storia del presidente americano, che, durante la sua vita professionale, ha intentato circa 1.600 cause legali, ricorrendo alla giustizia una volta ogni undici giorni; il ricorso alla giustizia, di solito procede parallelamente con una tattica di logoramento e rinvii, un vero e proprio insieme di tecniche per ritardare la definizione della causa, che hanno lo scopo di rimandare l’accadimento di situazioni potenzialmente sfavorevoli ai suoi obiettivi. Se questa è stata la condotta che ha contraddistinto la sua attività professionale, appare ragionevole credere che ciò sarà applicato anche per mantenere quella che è considerata la carica più importante del paese. Appare ovvio che Trump non voglia rendere un buon servizio al proprio paese, ma soltanto a se stesso; ciò rappresenta l’apice di una presidenza di pessimo valore e il punto peggiore, se possibile, di un anno già segnato dai più gravi disordini razziali dal 1968 e dalla pessima gestione della pandemia, che ha provocato ben 233.000 deceduti, un valore in netto contrasto con l’immagine degli USA, che lo stesso Trump vuole presentare; del resto anche la dichiarazione in cui si è proclamato vincitore della contesa elettorale e la definizione data al conteggio dei voti postali, possibilità riconosciuta ampiamente dalla legge in vigore, come una frode e la volontà di richiedere alla Corte Suprema, da lui precedentemente modellata a sua misura, non fa che confermare la pochezza del personaggio e la sua inadeguatezza a ricoprire il ruolo di presidente americano. Tuttavia, pur se attualmente in svantaggio, la sua sconfitta non è ancora sicura e l’esito del voto è effettivamente ancora in bilico, malgrado sconfitte in stati importanti dove Trump aveva costruito la propria vittoria nelle scorse elezioni. La partita si gioca tutta sui numeri dei grandi elettori visto che Biden con i suoi 69,5 milioni di voti è diventato il candidato presidente più votato in assoluto nella storia degli Stati Uniti, ma questa supremazia potrebbe non bastare e Trump potrebbe ripetere la performance delle scorse elezioni, quando diventò prevalse, nonostante i due milioni di voti in più della Clinton. Il clima di radicalizzazione della politica americana, con la divisione che da politica è diventata sociale, sta provocando una pericolosa deriva nel paese statunitense, che si presenta alla conclusione delle elezioni sempre più diviso e con il concreto pericolo che il confronto si sposti nelle vie e nelle piazze. I rispettivi sostenitori hanno già dato il via a manifestazioni di sostegno al proprio candidato e già alcuni scontri si sono verificati, sedati dalle forze dell’ordine. La condotta di Trump, che non sembra rassegnarsi alla possibile sconfitta, rischia di coinvolgere nel confronto i tanti gruppi autonomi dotati di armi, che lo sostengono e che si sentono defraudati della vittoria del proprio candidato. Lo scenario è quello di un paese spaccato dove potrebbe crearsi una spirale di violenza; se non fosse per la complessità delle strutture democratiche americane si potrebbero concretizzare tutti gli elementi per una sorta di guerra civile. Sul piano politico il Partito Repubblicano ha ottenuto un buon successo, che non permetterebbe a Biden di avere la maggioranza nei due rami del parlamento e questo dato politico, in contrasto con la possibile sconfitta di Trump, apre un solco tra la struttura dei repubblicani ed il loro candidato, che in questi anni è stato subito da buona parte del partito, talvolta in completo disaccordo con la politica ed i comportamenti del Presidente. Per i repubblicani, che in diversi casi hanno condannato la tattica usata da Trump per contestare il conteggio dei voti, potrebbe finalmente essere l’occasione per riorganizzare il partito secondo una politica più tradizionale e consona dei valori del partito, accantonando gli estremismi del Tea party, che hanno portato Trump fino alla Casa Bianca. Sarebbe un primo passo per la riconciliazione del paese e per permettere agli Stati Uniti una politica più consona al suo ruolo di prima potenza mondiale.
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