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venerdì 30 aprile 2021

La presidenza di Biden non sarà di transizione

 Già durante la campagna elettorale una eventuale elezione di Joe Biden era stata classificata come un mandato di transizione, sia per l’età del candidato, sia per la figura, ritenuta di compromesso tra le varie correnti del partito democratico, inserita nella competizione elettorale con lo scopo di togliere Trump dalla Casa Bianca. Questa interpretazione rivelava una sottovalutazione del candidato democratico, che, dopo l’elezione ed i primi cento giorni nella carica presidenziale ha evidenziato una azione che vuole essere incisiva e lasciare il segno nella politica americana, cioè, tutt’altro che un mandato di transizione. La volontà di lanciare un piano molto ambizioso per riformare gli Stati Uniti e realizzare una politica molto forte sul Welfare, mettono in risalto l’intenzione di esercitare una azione intenzionata a realizzare un cambiamento epocale. La riforma del paese americano, tuttavia, non è il solo strumento caratterizzante che Biden intende usare per connotare la sua presidenza; parallelamente all’attenzione alla politica interna, il presidente statunitense ha posto l’accento anche sulla politica estera, riportando al centro dell’attenzione discorsi da guerra fredda, questa volta non rivolti contro l’Unione Sovietica ma contro la Cina. Contro Pechino sono state rivolte parole che nessuno dei predecessori di Biden ha mai usato e gli attacchi sono stati portati direttamente contro il presidente cinese ed i principali dirigenti cinesi. Il punto centrale è che la classe dirigente cinese sostenga il mancato funzionamento della democrazia e porti avanti, in modi subdoli, che vanno dall’impiego di grandi risorse finanziarie all’estero e da un uso del soft power, una sorta di convincimento sulla bontà del sistema cinese all’estero. Una delle ragioni che Biden ha evidenziato è la necessità del troppo tempo per raggiungere il potere attraverso mezzi democratici, un ostacolo per arrivare ai troppo ambiziosi obiettivi dei progetti cinesi. Dal punto di vista politico la critica appare corretta, anche se si deve evidenziare che per la Cina la questione di uno sviluppo in senso democratico del proprio sistema politico non è mai stata all’ordine del giorno, proprio per una avversione naturale della forza politica egemone: il Partito Comunista cinese, che ha scelto la via autoritaria proprio come sistema centrale, attraverso il quale perseguire gli obiettivi di crescita nazionale, favorito da un sistema senza regole a tutela dei diritti e del lavoro. Questa modalità ha favorito la crescita economica in un sistema di competizione sbilanciato a favore di Pechino, ma che è piaciuto a molti imprenditori occidentali, quindi anche americani. La critica di Biden, quindi è indirettamente rivolta a quegli industriali, che, per il loro guadagno hanno permesso la crescita della Cina anche a discapito degli USA e rappresenta la volontà di riportare nel campo occidentale larghe fette di produzione e ciò è sicuramente la peggiore minaccia per Pechino, perché l’attacca dal punto di vista economico; proprio per questo bisogna attendersi il proseguimento della diatriba commerciale su livelli sempre maggiori. La volontà di impedire che la Cina diventi la nazione più importante del mondo, proprio a discapito degli USA, ma anche imponendo il proprio sistema politico, diventa così una parte rilevante del programma politico di Biden e funzionale a questo scopo è anche il mantenimento di una presenza forte nell’Oceano Pacifico, oltre che in Europa, proprio per presidiare obiettivi cinesi come Taiwan, sia che per tutelare le rotte commerciali marittime, in una parte del mondo che la Cina ritiene la propria zona di influenza esclusiva. Biden attua una strategia complessiva, che va in senso contrario alla politica di Trump: grandi piani di sviluppo sul suolo americano, estremizzazione della dialettica con la Cina, individuata come avversario numero uno in campo geopolitico ed economico, tattica funzionale ad aggregare la popolazione americana in senso nazionalistico ed a contenere il principale competitore ed, infine, rimettere la centro della politica estera l’alleanza con l’Europa e le altre potenze occidentali in un quadro di unione basata su interessi comuni, dove prevalgono gli obiettivi generali, ma funzionali anche a quelli singoli. Si tratta di un progetto ambizioso, tutt’altro che di transizione, che se portato a compimento, anche parziale, potrà fornire molte possibilità a Biden per una nuova elezione, presumibilmente in un rinnovato duello con Trump.

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