La speculazione sul grano ucraino, per diminuire le carenze delle riserve dei paesi africani, nasconde una serie di problematiche che la rendono funzionale ad una serie di interessi contrastanti, non solo delle parti in causa, ma anche di attori internazionali, come la Turchia, che perseguono proprie finalità. La stampa russa dice che Mosca ed Ankara, grazie all’intervento di mediazione delle Nazioni Unite, avrebbero raggiunto un preliminare accordo per permettere l’esportazione del geno di Kiev attraverso un corridoio marittimo con partenza dal porto di Odessa. La prima condizione posta è lo sminamento del porto di Odessa, formalmente per garantire la massima sicurezza alle navi in uscita verso il Mar Nero, tuttavia l’intenzione del Cremlino appare evidente: liberare dalla minaccia degli ordigni marini il litorale di Odessa per preparare e favorire uno sbarco dei militari russi; inoltre un’altra regola imposta da Mosca è quella di ispezionare le navi mercantili per evitare eventuali trasporti di armi per le forze armate ucraine. I timori di Kiev non possono essere altro che fondati, Putin intende usare le future carestie in maniera strumentale per rimuovere le legittime difese ucraine di Odessa, si tratta di un metodo usato più volte dal Cremlino, che ormai è totalmente inattendibile sulle proprie promesse. Anche la Turchia di muove in maniera analoga: la pessima situazione economica impone strategie di distrazione verso il popolo turco, l’attivismo internazionale è funzionale a coprire la pessima amministrazione dell’economia del paese, per cercare una rilevanza diplomatica, che serve anche a coprire la sconfitta morale data dalla volontà statunitense di includere nell’Alleanza Atlantica i paesi di Svezia e Finlandia, a cui Ankara è contraria perché li ritiene rifugio di curdi. L’appoggio turco nel negoziato sul grano è fondamentale per un paese ormai isolato sulla scena internazionale come la Russia e proprio attraverso Ankara, Mosca cerca anche di addossare un eventuale fallimento del progetto all’opposizione dell’Ucraina, certamente non convinta dall’eventualità di sguarnire Odessa dalle difese marittime, in questo caso per il Cremlino sarebbe una naturale conseguenza addebitare la responsabilità a Kiev del mancato rifornimento di cereali verso i paesi africani; anche se l’evidenza dei fatti è sotto gli occhi di tutti occorre ricordare che gran parte dei paesi africani ed asiatici non hanno preso una posizione ufficiale contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina e probabilmente non riconoscerebbero la responsabilità russa delle mancate forniture di grano. Insieme a questa tattica, Putin sostiene che non può ricadere sull’operazione militare speciale la colpa del deficit alimentare, ma che ciò, oltre ad essere iniziato con l’epidemia del corona virus, è da addebitare alle sanzioni occidentali a carico della Russia. I numeri delle mancate esportazioni dicono, però, tutt’altro: l’Ucraina, prima del conflitto, deteneva una quota di mercato pari al dieci per cento del totale mondiale di grano e mais, una quota molto rilevante in una congiuntura alimentare globale già difficile a causa di scarsità delle acque per irrigazione e carestie. Attualmente sono 22,5 milioni di tonnellate di cereali, che sono bloccate da quando è cominciato il conflitto. I mezzi che consentono di fare uscire dal paese le derrate alimentari sono soltanto quelli su rotaia, specialmente attraverso la Polonia, ma esistono difficoltà oggettive che ne limitano i quantitativi di trasporto, tra cui la ridotta capienza dei treni e lo scartamento ridotto delle ferrovie ucraine, che costringe ad effettuare il trasbordo dei cereali, una volta arrivati in Europa. Il presidente ucraino ha previsto che, in caso di continuazione del conflitto, la quantità di cereali bloccati, potrebbe salire in autunno a circa 75 milioni di tonnellate ed ha ammesso che sono necessari corridoi marittimi per l’esportazione: al momento i colloqui di Kiev sull’argomento sono in corso non solo con la Turchia e Nazioni Unite, ma anche con Regno Unito, Polonia e nazioni baltiche, proprio per ridurre il trasporto su rotaia. Resta, comunque, l’assenza di un dialogo con la Russia, che, nemmeno, la gravità del problema della fame nel mondo, riesce a sbloccare. Al contrario, proprio questo argomento poteva costituire una base di partenza per sviluppare un discorso comune per avviarsi sulla strada, se non della pace, almeno del cessate il fuoco, ma la tracotanza russa ancora una volta ha mostrato la sua vera intenzione di non fermarsi di fronte a nulla per raggiungere i propri obiettivi illegali, secondo i principi del diritto internazionale.
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