Come prologo al G20, che si terrà il prossimo novembre a Bali in Indonesia, in questi giorni, nella stessa località si tiene il G20 che riguarda i ministri degli esteri delle prime venti economie del mondo. Si tratta di una occasione notevole, soprattutto per la Russia, che può ottenere una visibilità che gli sta mancando con il progredire del conflitto ucraino. Il ministro degli esteri di Mosca, dopo l’inizio dell’invasione chiamata operazione militare speciale, avvenuta il 24 febbraio, ha compiuto diverse missioni diplomatiche che, però, sono stati quasi esclusivamente vertici bilaterali, senza avere mai l’occasione di potere frequentare un evento multilaterale di portata mondiale. Essere presente per la Russia rappresenta un’occasione imperdibile, anche se ha sollevato parecchie critiche da parte dei paesi occidentali, che hanno boicottato i colloqui con il massimo rappresentante di politica estera di Mosca, sottolineando la necessità di non firmare alcuna dichiarazione congiunta ed arrivando ad esprimere pareri favorevoli all’esclusione della Russia da tutte le riunioni del G20. La ragione è quella di non fornire una platea così importante e che fornisce ampia risonanza internazionale ad un paese che, invadendone un altro, ha violato ogni regola del diritto internazionale. Questa opinione, largamente condivisa dai paesi occidentali non è condivisa da nazioni come Cina, Indonesia, India e Sud Africa, che hanno assunto atteggiamenti più concilianti verso Mosca, soprattutto sul tema delle sanzioni. La Russia in questo è affiancata in maniera esplicita dalla Cina nel negare la legittimità delle sanzioni economiche e politiche contro Mosca, adottate dall’occidente, perché decise al di fuori delle Nazioni Unite. Questa obiezione non pare degna di un possibile accoglimento, anche aldilà della palese violazione russa e per avere compiuto crimini di guerra contro la popolazione civile, proprio perché il meccanismo di funzionamento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prevede che i membri permanenti, tra i quali ci sono Cina e Russia, possano esercitare diritto di veto sulle risoluzioni, in questo caso in aperto contrasto sull’obiettività del giudizio e sul conflitto di interessi di Mosca. Malgrado le resistenze dei colleghi occidentali il ministro russo è stato capace di attirare l’attenzione, non solo per la sua presenza, ma per l’incontro con il suo omologo cinese, dove sono stati trovati diversi punti di convergenza, soprattutto contro gli Stati Uniti, accusati di praticare una politica espressamente diretta al contenimento di Mosca e Pechino, anche mediante il sovvertimento dell’ordine mondiale. Il ministro cinese ha sottolineato come, nonostante le difficoltà, rappresentate dal peso delle rispettive sanzioni, i due paesi restino uniti in una prospettiva strategica comune, Questa dichiarazione, aldilà dell’obiettivo rappresentato dagli Stati Uniti e, quindi, di riflesso da tutto l’occidente, pone seri interrogativi sull’atteggiamento cinese circa il proseguimento del conflitto e sulla posizione di Pechino. La Cina, pur contraria, per tutelare i propri interessi commerciali, allo stato di guerra non gradisce l’invadenza di Washington circa Taiwan, un caso molto analogo ai territori dell’Ucraina orientale o della Crimea ed inoltre l’avversione è aumentata dopo gli USA hanno nuovamente accusato in modo esplicito i cinesi di praticare spionaggio industriale. Il problema, peraltro, è concreto ed ha costretto gli Stati Uniti a contrastare anche quelle aziende occidentali che collaborano con Pechino. La Cina vede in questo atteggiamento un comportamento americano analogo a quello praticato contro la Russia con l’espansione dell’Alleanza Atlantica e quindi dell’influenza USA nei paesi ex sovietici, che Mosca considerava aree di propria influenza: l’arrivo potenziale americano sui confini russi, giustifica, almeno in parte, la reazione russa. L’analogia con l’attività americana in Russia, per la Cina ha una doppia valenza e riguarda sia Taiwan che l’espansione commerciale che permette la crescita del prodotto interno lordo, ritenuta una necessità irrinunciabile per il governo della Repubblica Popolare. Se si comprendono le ragioni statunitensi per una analoga crescita dell’economia nel contesto globale, in evidente competizione proprio con la Cina, alcune ragioni potrebbero essere mitigate in ragione di togliere un sostegno, che sembra in incremento, da parte di Pechino verso Mosca. Togliere, almeno in parte, l’appoggio cinese, costringerebbe Putin a rivedere le sue posizioni nella guerra ucraina e potrebbe essere la via più veloce verso una tregua e la conseguente fine del conflitto.
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