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mercoledì 7 agosto 2024

La nomina del nuovo capo di Hamas preclude la pace

 La decisione, probabilmente israeliana, di eliminare il capo politico e negoziatore di Hamas, Ismail Haniye, ha provocato la sua sostituzione con Yahya Sinuar, capo militare dell’organizzazione e considerato come colui che ideato l’attacco del 7 ottobre e, per questo, maggiore ricercato dalle forze di difesa di Israele. Questo avvicendamento forzato al vertice di Hamas rappresenta una risposta verso Israele, che appare una sorta di ritorsione contro Tel Aviv e che vuole significare un netto allontanamento dalle trattative di pace ed una virata verso un atteggiamento ancora più violento nella guerra di Gaza in particolare, e comunque contro ogni possibile intesa con gli israeliani. Si allontana anche la soluzione dei due stati, perché entrambi i capi delle due parti, Sinuar e Netanyahu, ora sono concordi proprio sulla contrarietà a questa soluzione. La scelta di Hamas, può essere compresa ma non condivisa, perché significherà una pressione ancora maggiore sulla popolazione civile di Gaza, con maggiori vittime e situazioni igienico sanitarie, se possibile, ancora peggiori di quelle attuali. L’impressione è che Hamas sia caduta nella trappola israeliana, il cui intento dell’eliminazione di Haniye era proprio quello di sostituirlo con Sinuar. La svolta, con la nomina del capo militare di Hamas incrementerà ancora di più l’attività repressiva di Israele, sia a Gaza, che in Cisgiordania, dando una sorta di giustificazione ad azioni preventive militari, che potrebbero permettere la conquista si altre zone; appare chiaro, infatti, come la strage del 7 ottobre, sia ormai un pretesto per cancellare la popolazione palestinese dai territori ancora abitati dall’etnia araba, che il governo israeliano, composto in maniera consistente dai nazionalisti religiosi, considera di propria pertinenza. Netanyahu, del resto, ha sempre condotto una tattica attendista, fin dal suo insediamento del primo governo, avvenuto nel 1996. Il premier israeliano ha più volte illuso la politica internazionale, circa la possibilità della creazione di uno stato palestinese; in realtà non ha mai previsto realmente una tale soluzione ed ora approfitta di una errata, dal punto di vista politico, e soprattutto scellerata azione da parte di Hamas, per mettere la parola fine al progetto dei due stati, malgrado sia la soluzione più caldeggiata dalla maggior parte dei paesi del mondo. Questo può succedere perché gli USA continuano ad appoggiare Tel Aviv, anche malgrado i massacri insensati di civili a Gaza e l’attività portata avanti sul territorio di altri stati in dispregio di ogni norma del diritto internazionale e l’Europa, aldilà delle dichiarazioni di facciata, non ha mai intrapreso una politica concreta di sanzioni, per fermare la violenza. I palestinesi non possono certo contare sull’appoggio, portato in maniera inutile di Iran, Hezbollah ed Houti, che, anzi, rischiano con il loro atteggiamento, di provocare vittime collaterali delle loro iniziative. Gli stati arabi sunniti mantengono un atteggiamento distaccato, a causa del loro interesse di nuove relazioni con Tel Aviv e non si spingono aldilà di mere dichiarazioni di prammatica. La vicenda della nomina del capo militare di Hamas a capo politico della stessa organizzazione, peraltro, non è il risultato di una consultazione elettorale, ma di una manovra autoreferenziale della quale i palestinesi sono vittime e che, per loro e forse per il mondo, non appare una scelta conveniente. Deve essere anche valutata la possibilità di una influenza, su questa decisione, da parte degli attori più avversi ad Israele e ritenuti da Hamas, ormai gli unici alleati affidabili: Iran ed Hezbollah; nel quadro di una ritorsione, orami ritenuta sempre più probabile per l’assassinio del capo politico di Hamas, avvenuta a Teheran, la nomina del capo militare a capo politico di Hamas, potrebbe significare un maggiore impegno per Israele a Gaza, coincidente proprio con l’avvio della ritorsione iraniana. Gli israeliani potrebbero essere impegnati in modo più consistente a Gaza, attaccati a Nord da Hezbollah e colpiti dagli iraniani e dall’azioni dei droni degli Houti. Il risultato sarebbe una pressione militare, forse mai vista, a cui Israele sarebbe sottoposto. Nel mentre i mezzi navali americani sono già schierati ed il pericolo di un allargamento del conflitto è sempre più probabile e la nomina di Hamas non fa che aumentare ancora di più questa possibilità.

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