Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 25 gennaio 2011
Sulla Corea
La trasformazione capitalistica, ma non democratica, della Cina ha, di fatto, causato l'inutilità del dinosauro nordcoreano. Le guerre più importanti non sono quelle militari nello scenario globalizzato ma sono quelle di natura economica; avere ai confini un burosauro comunista con l'economia bloccata al livello di sussistenza significa precludersi un potenziale mercato di notevole portata; non solo significa anche non potere disporre di una possibile manodopera a basso costo. Questo se la Corea del Nord intraprendesse da sola la strada della modernizzazione in senso capitalistico; ma questa evenienza è considerata poco probabile dalla stessa Cina: troppo ingessata la politica economica dei governanti di Pyongyang, troppo arretrata la loro visione, troppo indietro la totalità del tessuto culturale del paese tenuto di troppo basso livello dalle miopi strategie del governo. Ma esiste un'alternativa, forse meno conveniente per Pechino, ma capace di generare un indotto non certo indifferente. Si tratta di scaricare i costi di questo processo sulla Corea del Sud mediante l'unificazione in un unico paese, una sola Corea. I dirigenti sudcoreani da tempo stanno pensando a questa soluzione sia per ragioni nazionalistiche sia per ragioni economiche, anche se c'è chi all'interno del paese giudica troppo costosa l'operazione: anche per una tigre asiatica con il pil in aumento a due cifre l'esborso dello stato per la riunificazione sarebbe un salasso assai pesante (si pensi all'unificazione della Germania, dove la parte est non era certo così arretrata come la parte nord della Corea). A Pyongyang sanno di queste velleità di Seul e sono questi i veri motivi che hanno scatenato l'offensiva militare recente; quello che non si aspettavano era il progressivo sganciamento cinese, che aldilà di dichiarazioni ed operazioni di facciata con l'alleato nordcoreano, sta operando una strategia di allontanamento dalla parte nord del paese. La Corea del Nord non ha altri alleati a cui raccomandarsi e se questo isolamento si concretetizzerà con la progressiva diminuzione degli aiuti cinesi per il regime sarà la fine. Da considerare anche che la Cina non vede di buon occhio un paese, ancorchè alleato, ai suoi confini con la disponibilità della bomba atomica. La strategia Sudcoreana, invece, si gioca su due tavoli: sul primo cosciente delle esigenze cinesi di espansione commerciale punta alla riunificazione per offrire un mercato a due velocità al colosso di Pechino, parte nord in espansione e parte sud con un mercato più esigente perchè parte da condizioni economiche più floride, ma anche capace di un notevole interscambio economico. Molto interessanti anche i risvolti dell'altro lato del tavolo: gli USA. L'ambizione sudcoreana di un paese unito punta alla strategia verso l'america con maggiori implicazioni geopolitiche, giacchè vuole essere il maggiore alleato di Washington nella regione scavalcando il Giappone, senza tralasciare le aperture economiche anche in quella direzione. In conclusione la strategia sudcoreana appare spregiudicata ma con notevoli possibilità di riuscita perchè tocca interessi graditi ad entrambi gli attori più forti sulla scena, ma attenzione, il nord ha l'atomica ed il regime che non si rassegna ad abdicare potrebbe tentare qualche brutto colpo di coda; solo la diplomazia non avventata e la giusta pressione internazionale possono scongiurare pericolosi sviluppi.
lunedì 24 gennaio 2011
Commissione UE Albania per i disordini nel paese delle aquile
L'Albania, teatro recente di disordini legati ai problemi economici e politici del paese e candidato potenziale all'ingresso della UE, potrebbe essere oggetto di un inchiesta congiunta condotta da una commissione mista composta da rappresentanti del parlamento europeo e da parlamentari albanesi. La decisione non è stata accolta unanimemente dai componenti del parlamento del paese delle aquile, infatti l'opposizione ha disertato la votazione con il risultato di consegnare alla contestata maggioranza la decisione ed il merito di queto importante atto. Per la UE è un'occasione unica di potere esercitare il suo magistero con una duplice valenza: da un lato conoscere dall'interno la situazione di un paese già geograficamente e culturalmente in Europa e comunque destinato ad entrarvi ufficialmente in un futuro più o meno lontano, dall'altro lato si presenta una situazione che permette di risollevare un prestigio ultimamente un poco appannato. Una inchiesta condotta in modo imparziale che possa portare ad un risultato limpido e veloce potrebbe essere un peso da gettare sulla bilancia della diplomazia che conta, area dove ultimamente la UE non ha brillato per protagonismo. Per l'Albania aprire le porte in maniera così ufficiale ad un organismo così importante significa un modo per entrare dalla porta principale a contatto con le grandi organizzazioni internazionali e proporsi come partner accreditato per importanti sviluppi futuri. Resta sul tappeto la situazione di un paese che sfiora la povertà per una parte sempre maggiore della sua popolazione, un paese che non riesce ad attrarre in modo consistente investimenti stranieri per la difficile situazione relativa al problema della malavita e delle mafie sempre più diffuse grazie alla posizione geografica del paese vero e proprio crocevia di traffici internazionali di armi e di droga, un paese carente di infrastrutture che paga ancora lo scotto del lungo isolamento dovuto al contrasto del regime con l'URSS. Per la UE, seppure indirettamente sarebbe anche un momento da sfruttare per incrementare la cooperazione per risolvere, almeno in parte i problemi di cui sopra così che sia permesso completare il lungo processo di europeizzazione della penisola balcanica.
venerdì 21 gennaio 2011
Lo sviluppo africano ed il modello cinese
Spesso si parla, giustamente, della crescita forte di Cina, India e Brasile e li si raffronta all'immobilismo economico occidentale gravato da crisi finanziarie dovute a speculatori senza scrupoli; si tralascia, invece colpevolmente, di analizzare il grande fermento che sta vivendo il continente africano. Per fare un esempio nel 2010 il PIL dell'Angola è cresciuto più di quello cinese, ma si potrebbero portare altri esempi di incrementi consistenti di nazioni africane. La crescita economica non è stata univoca ed omogenea all'interno del continente, ci troviamo di fronte ad un gigante dalle enorme potenzialità ma con ancora troppe contraddizioni in seno, tuttavia il la è stato dato e quella a cui si assiste è una trasformazione epocale non solo in senso economico ma anche in senso sociale. Va detto che spesso dietro a questo boom economico vi è la Cina che affamata di materie prime ha sviluppato accordi commerciali vantaggiosi per entrambe le parti contribuendo alla costruzione di infrastrutture necessarie per fare da volano allo sviluppo economico. La politica estera cinese segue tradizionalmente la direttrice di non influenzare l'andamento politico dei paesi esteri, anche in quelli in cui si trova ad operare, questo tratto distintivo, ha, di fatto, permesso un approccio profondamente diverso da quello occidentale da sempre tradizionalmente inserito in trame e manovre spesso sfuggite di mano. L'approccio soft della Cina, orientato al guadagno, ha permesso un salto economico consistente grazie a trattative condotte su di piani sostanzialmente paritari, anzichè l'uso del paternalismo di convenienza occidentale. Proprio l 'occidente deve trarre insegnamento da questa vicenda, sono state molte le occasioni di sviluppo compatibile andate perse per miopia conclamata, con il risultato di rinforzare la tigre cinese e sopratutto la sua percezione al contrario di quella dell'occidente; potenzialmente questo fatto è ancora più pericoloso delle occasioni perse sul piano economicoperchè potrebbe fare apprezzare il modello cinese del capitalismo senza democrazia. In Africa si sta sviluppando un ceto sociale di media borghesia in grado di fare girare i soldi che guadagna incrementando un mercato interno in modo sostanzioso, come ogni ceto borghese acquista auto, case, beni di consumo e fa studiare i figli, gode cioè di un benessere sempre più diffuso, anche se si tratta ancora di porzioni minoritarie del totale degli africani, questo ceto emergente può essere in grado di influenzare l'opinione pubblica proprio in forza dei gradini saliti sulla scala sociale. In un continente spezzettato in tanti stati, tra cui diversi governati con tendenze autoritarie, il possibile l'affermarsi del modello cinese deve essere visto dall'occidente come una minaccia, avere alle porte tante piccole Cina, dove i diritti umani vengono negati sistematicamente porrebbe gravi problemi diplomatici. In questo gli organismi della UE dovrebbero operare meglio sia sul piano degli accordi economici che di quelli politici, è pur vero che competere con la liquidità cinese è impossibile tuttavia è obbligatorio recuperare il tempo perduto ripensando tutta la strategia di approccio con i paesi africani in un'ottica globale, che, cioè privilegi la visione d'insieme dell'intero continente, seppur tenendo conto delle tante differenze presenti sul campo. Non avendo le disponibilità economiche della Cina occorre puntare sul piano politico trovando accordi di cooperazione e sviluppo basati sul reciproco rispetto, occorre fornire conoscenza e competenze di alto livello in modo da non consentire l'affermazione del modello cinese ma sviluppare le tendenze democratiche esistenti fortificando l'autocoscienza dell'autogoverno e dell'affermazione e sviluppo del godimento dei diritti fondamentali.
giovedì 20 gennaio 2011
Hu Jintao promette attenzione ai diritti umani
La visita del premier cinese negli USA ha fatto registrare importanti dichiarazioni sul piano dei diritti umani. Hu Jintao ha pubblicamente ammesso che la Cina deve migliorare il suo approccio verso l'applicazione dei diritti umani all'interno del suo territorio, l'ammissione include in modo implicito una mancanza di quei diritti considerati elementari nel mondo occidentale. La valenza di questo proponimento è quindi duplice ed impegna pubblicamente quella che ormai è la seconda potenza mondiale in un tema fondamentale per essere riconosciuta tale non solo sul piano economico; ed è proprio questa l'intenzione del leader di Pechino uscire da quella sorta di isolamento politico con cui la Cina viene tenuta a distanza dalla scena politica più importante in quanto deficitaria sul piano dei diritti umani. In realtà la potenza economica cinese permette già un ruolo di primo piano politico che le consente di giocare su più tavoli da protagonista, quello che manca è una sorta di riconoscimento universale che non arriva perchè mancano le garanzie dei diritti umani. Associazioni importanti come Amnesty International o Human Rights Watch, solo per citarne alcune, denunciano sistematicamente la Repubblica Popolare Cinese per l'alto numero di condanne a morte e per l'uso sistematico della tortura per non parlare delle continue violazioni delle libertà di stampa e di espressione, ciò mette il paese continuamente sotto la lente dell'opinione pubblica mondiale e chiaramente in cattiva luce. La Cina ha interesse a migliorare la propria percezione sopratutto nei paesi occidentali dove punta a contare sempre di più, ad avere un più elevato peso specifico sotto il profilo politico e culturale. Il presidente cinese ha spiegato a parziale giustificazione, che la storia e la cultura cinese sono differenti da quella americana ed occidentale, ciò crea delle distorsioni sulla percezione dell'applicazione dei diritti umani, tuttavia se la Cina non si pone sul piano occidentale non avrà i risultati in cui dice di impegnarsi. In realtà senza un adeguato processo democratico è praticamente impossibile assicurare l'applicazione dei diritti umani, se si può prevedere, ed auspicare, una riduzione delle pratiche violente, appare difficile che si attenuino le restrizioni sulla libertà di espressione in regime di partito unico. Sarà interessante vedere in che modo andranno a scontrarsi con questo scoglio le buone intenzioni cinesi, sempre che siano reali.
mercoledì 19 gennaio 2011
Nella sponda sud del mediterraneo pericolo di islamizzazione
I recenti fatti tunisini, giunti alle sollevazioni popolari algerine hanno innescato una situazione di potenziale pericolo per la sponda nord del Mediterraneo. Se, da un lato la situazione potrebbe avere sviluppi positivi indirizzando questi paesi verso una democratizzazione in grado di consentirgli uno sviluppo sociale ed economico che permettesse un salto di qualità per la popolazione, dall'altro il pericolo dell'islamizzazione della società si fa ora più concreto per diversi motivi. Nel caso tunisino il dittatore che governava lo stato con metodi clientelari manteneva il tessuto sociale impermeabile ad una diffusione dell'islam radicale, seppure con metodi anche violenti. Non si vuole, con questo riabilitare una figura certamente negativa che governava con un misto di clientelarismo familiare ed una violenza diffusa, impedendo le normali regole democratiche, il punto è un altro, in casi come quello tunisino la storia ci ha insegnato che le posizioni più radicali sono quelle che meglio intepretano le pulsioni popolari e ne guadagnano i favori nei momenti immediatamente successivi alla cacciata dei dittatori; quello che la Tunisia rischia è di passare da una dittatura terribile ma laica ad una ugualmente terribile ma religiosa. Siamo in un tessuto sociale indebolito da anni di dittatura, che non contiene o non gli contiene abbastanza gli anticorpi per scongiurare e resistere ad una nuova forma dittatoriale sebbene nascosta dietro tendenze plebiscitarie come potrebbe essere l'avvento di un movimento teocratico. Occorre ripensare a casi come l'Iran dove l'iniziale entusiasmo per la caduta del tiranno ha lasciato spazio ad una delusione più profonda per il nuovo potere salito a comandare la nazione. In questi casi il ruolo dell'esercito è fondamentale, se le forze armate vengono coinvolte nel processo di democratizzazione di solito sono un baluardo contro l'estremismo religioso. Ancora più complicata la situazione algerina per la presenza di sacche importanti di estremisti islamici spesso collusi con parti dello stato non proprio propense a regole democratiche, qui ancora più che nella vicina Tunisia il rischio che i fondamentalisti islamici si insedino al potere è concreto. Cosa vorrebbe dire per l'Europa ed in special modo per i paesi che stanno sulla sponda nord del Mediterraneo avere dei vicini governati da movimenti islamici, contando anche il regime di Gheddafi e l'Egitto dove il peso politico degli islamici diventa man mano più pesante? Ci sono vari aspetti che vanno considerati, il primo e più immediato è il flusso di persone clandestine che potrebbe aumentare vertiginosamente per seguire l'esempio libico di tenere sotto ricatto i paesi europei ed in special modo la Francia data l'origine di ex colonie di quel paese di Algeria e Tunisia, la seconda fonte di preoccupazione è di ordine economico dato l'alto numero di gasdotti che transitano da quei paesi, il terzo motivo è di ordine politico: per i fondamentalisti islamici potere governare due paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo e sono ricchi di materie prime potrebbe essere un trampolino di lancio per la propaganda religiosa in tutte le sue forme da quelle pacifiche fino a quelle violente. Avere come coinquilini del Mediterraneo stati laici significa avere problemi in meno su più livelli, trattare con stati laici significa avere piani comuni di dialogo che favorirebbero la cooperazione comune ed in quest'ottica deve essere intrapresa e sviluppata l'azione della UE che deve dare sostegno ai movimenti politici e civili di origine laica per impedire di avere di fronte alle coste europee potenziali teocrazie.
martedì 18 gennaio 2011
Uno scenario possibile del teatro globale nel 2027
La previsione del superamento della Cina sugli Stati Uniti è per il 2027, tuttavia molti segnali fanno propendere per l'anticipo del sorpasso a causa dell'andamento economico molto più favorevole a Pechino. C'è da dire che la Cina non è ancora incorsa in bolle speculative essendo una economia in via di espansione, ma la velocità di marcia dell'avanzamento cinese determinerà sicuramente l'incontro con questo ostacolo. Questo per dire soltanto alcune variabili dello scenario internazionale che sta maturando da qui alla data del previsto sorpasso. Quello che interessa è ipotizzare come sarà il mondo quando la Cina sarà, se ci sarà, davanti agli USA. Lo scenario più plausibile è l'Europa sempre alleata degli USA, la Cina centro di gravità di paesi importanti come l'India e del sudest asiatico, tranne la Corea del sud, con forti alleanze in alcuni paesi africani, sempre più legati a Pechino in forza di accordi economici sempre più stringenti; questo il primo quadro d'impatto sugli schieramenti definiti (anche se l'India potrebbe giocare un ruolo proprio più rilevante). Ci sono però varie incognite nel più vasto quadro d'insieme: si pensi a paesi come il Brasile e sopratutto la Russia, senza contare il magma sempre più variegato dei paesi musulmani. Cominciamo dalla posizione dei verdeoro: la grande potenzialità economica ne fa una potenza in rampa di lancio ma condizionata da freni non irrilevanti come la situazione politica che va verso una sempre maggiore diffusione del benessere che si scontra però con le inefficienze dei sistemi democratici giovani spesso imbavagliati da procedure sempre in via di affinamento. Non pare possibile che il Brasile vada a ricadere sotto l'influenza cinese, se non altro per affinità culturale maggiore con il mondo occidentale, seppure inquadrato in questo campo con canoni differenti rispetto ai paesi europei. Più difficile ipotizzare la collocazione della Russia, dalla fine della guerra fredda e con la caduta del comunismo, Mosca ha ondeggiato tra tentazioni occidentaliste e nostalgia dello stato di superpotenza, con gli USA la rivalità continua seppur mascherata da rapporti di collaborazione segnati però da diffidenza reciproca, con la Cina l'alleanza è strumentale e si sviluppa volta per volta su singoli temi per perseguire obiettivi di corto raggio, non pare probabile un'alleanza duratura tra Pechino e Mosca con quest'ultima subalterna; molto dipenderà dal processo di democratizzazione che si potrà sviluppare nell'impero russo, se questo sarà positivo lo sfogo naturale potrà essere un ingresso nella Unione Europea ed un'alleanza con gli USA su piani praticamente paritari. Resta il nodo più difficile da sciogliere: gli stati a governo islamico o che vanno in questa direzione; ipotizzare una lega araba tanto estesa dalla sponda sud del mediterraneo ai paesi dove Al Qaeda detta legge passando per Libano, Giordania, Palestina ma anche Iran ed Iraq appare di impossibile attuazione. Una possibilità è prevedere una sorta di riedizione dei paesi non allineati, grazie al coinvolgimento di altre nazioni non necessariamente islamiche, con un nocciolo duro intorno al quale coinvolgere paesi più tiepidi di volta in volta in relazione all'argomento trattato. E' chiaro che in questo terzo gruppo prevedere un'alleanza tra paesi islamici è un dato quasi obbligato, per come sta andando la radicalizzazione religiosa sempre più stati ricadranno in questa influenza.
lunedì 17 gennaio 2011
Il pericolo inflazione contro la ripresa mondiale
Un ostacolo si erge di fronte alla possibilità di ripresa dell’economia mondiale, questa barriera si chiama inflazione, il pericolo dell’aumento dei prezzi è un avvisaglia reale che si sta già manifestando in modo più contenuto nell’area euro, anche se con valori differenti, il più preoccupante dei quali si registra in Spagna con un tre per cento in incremento, ma con valori decisamente più alti nelle economie in espansione, i cosidetti paesi emergenti. Il pericolo riguarda da vicino India e Cina, ma anche il Brasile ne può essere contaggiato. Le conseguenze dirette potrebbero andare ad influire sia sul prezzo delle merci, contraendo le esportazioni ed i loro indotti, ma anche sul costo delle materie prime, in entrambi i casi a crollare sarebbero i consumi innescando un circolo letale per le speranze della ripresa. Ciò determinerà strategie di doppia azione tendenti al controllo dei prezzi ma senza fare mancare la necessaria liquidità al sistema economico per non strangolarlo, si tratterà di agire sul rialzo dei tassi, mantenendo a disposizione una riserva liquida in grado di intervenire per raffreddare il sistema economico globale. Tecnicamente la prima mossa dovrebbe essere l’apprezzamento dello yuan che potrebbe consentire in un sol colpo un taglio consistente alla fiammata inflazionistica, ma potrebbe non bastare sopratutto si ci si troverà di fronte al previsto aumento dei generi alimentari. In questo caso sarebbe d’uopo una politica economica ancora più coordinata tra i vari organismi economici che governano l’economia mondiale, in modo di articolare una risposta univoca e decisa alla necessità del difficile momento.
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