Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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mercoledì 9 febbraio 2011
Al Qaeda si esprime sull'Egitto
La tanto temuta entrata in campo di Al Qaeda sulla questione egiziana è è avvenuta tramite la dichiarazione della sezione iraqena che ha formalmente incitato alla guerra santa i rivoltosi egiziani. Al Qaeda è tradizionalmente nemica delle nazioni arabe che intrattengono relazioni con i paesi occidentali ed in special modo gli USA, il giudizio qaeddistas verte sulla leva del paganesimo dei governi arabi e creca di sfruttare le motivazioni sociali dei rivoltosi tentando di incanalare la protesta verso la sharia. Al Qaeda offre ai dimostranti aiuti di tipo militare ed ideologico per fomentare la piazza a favore della teocrazia. L'appello pare, però quasi di prammatica, Al Qaeda è consapevole di non avere grosso seguito nella terra dei faraoni, il paese è molto occidentalizzato nonostante sia un paese musulmano, la parte religiosa estrema non è preponderante ed anche il partito dei Fratelli Musulmanicomprende una parte, seppur minoritaria, che propende per una visione che riesca ad accomunare Islam e democrazia. Tuttavia l'appello non è da sottovalutare perchè segna l'interesse ufficiale del movimento terrorista ai moti egiziani; ciò potrebbe creare situazioni di pericolo create anche da singoli, la portata e gli effetti di una strage nella folla dei dimostranti potrebbero avere conseguenze difficilmente prevedibili. Al Qaeda non può permettersi di lasciare scoperto, anche solo formalmente, il proprio spazio, deve comunque fare atto di presenza, speriamo si limiti alle sole dichiarazioni.
martedì 8 febbraio 2011
I Fratelli Musulmani: incognita egiziana
Uno dei protagonisti della rivoluzione egiziana è il partito dei "Fratelli Musulmani" ed è quello su cui sono puntate maggiormente le attenzioni del mondo. Messi fuori legge da Nasser la fratellanza musulmana non gode di una predominanza numerica nel panorama della rivolta ma ricopre, grazie alla propria organizzazione, una funzione determinante nella logistica dei moti di piazza fornendo medicinali e concreti aiuti ai manifestanti. Politicamente il ruolo dei Fratelli Musulmani non è volutamente di primo piano, non tentano di capeggiare la rivolta e mantengono un basso profilo, tuttavia non intendono rinunciare ad essere parte del processo di transizione portando il loro contributo. L'atteggiamento non è frutto di un'esplicita rinuncia ad un ruolo di primo piano, ma pare una mossa calcolata per non permettere all'opinione pubblica interna ed esterna di connotare come islamica la rivolta; mantenendo un atteggiamento di retrovia l'azione della fratellanza, al momento può godere di maggiore libertà d'azione senza essere sotto la luce dei riflettori internazionali. Il tutto rientra in un piano a lungo termine per la presa del potere. Nell'immediato ed anche in periodi successivi un governo a monocolore o almeno a guida della fratellanza non può essere concepito, e di ciò i Fratelli Musulmani sono perfettamente consci, ma facendo una politica adeguata e preparando il terreno l'obiettivo può essere inquadrabile. Ma la ragione della scelta di una politica prudente proviene anche dalla divisione al suo interno della fratellanza che al momento risulta divisa in tre grandi tronconi: il primo persegue l'instaurazione della teocrazia, il secondo il ristabilire le comunità musulmane tramite l'interpretazione fedele del corano e la terza, per ora minoritaria, che vuole coniugare uno stato democratico con la religione islamica. L'evolversi della situazione dirà con quale peso la fratellanza influenzerà il futuro dell'Egitto.
Egitto: l'assenza di Al Qaeda
Nella rivoluzione egiziana spicca, oltre all’impreparazione americana, anche il silenzio assordante di Al Qaeda. L’Egitto non e’ solo un paese chiave per gli USA, specularmente lo e’ anche per l’organizzazione terroristica piu’ integralista e piu’ temuta. Il paese delle piramidi e’ la porta per arrivare ad Israele, e; la chiave di volta del processo di pace mediorientale, se cade questa chiave il fragile equilibrio si accartoccia su se stesso. L’ultimo attentato Qaeddista sul suolo egiziano e’ stato il tragico raid contro una chiesa cattolica di Alessandria, poi piu’ nulla, nessuna dichiarazione, nessuna presa di posizione. Il sospetto e’ che come i nemici americani anche Al Qaeda sia rimasta sorpresa dagli eventi, che i fatti si siano svolti ad una velocita’ inaspettata. Se questo fosse vero si dimostrerebbe come anche Al Qaeda abbia sottovalutato le tendenze che covavano sotto la cenere nella terra dei faraoni. E’ possibile che anche Al Qaeda, si sia concentrata troppo sulla guerra afghana tralasciando le altre aree di crisi, tralasciando opportunita’ importanti per guadagnare alla sua causa territori cosi’ decisivi e determinanti? Se non fosse fantapolitica sembrerebbe che dietro i due nemici ci sia la stessa testa; ma lasciando le ipotesi da romanzo pare piu’ verosimile una identica limitazione di visuale che non ha previsto e contemplato che Mubarak fosse messo cos’ in difficolta’ da una piazza sottovalutata. Ci puo’ essere un’altra soluzione che non e’ in definitiva in contrasto con quella precedente: Al Qaeda e’ meno forte di quello che si crede specialmente in Egitto e la situazione che si e’ venuta a creare ha generato difficolta’ alla manovra integralista, a cui probabilmente riusciva piu’ facile muoversi all’interno del regime di Mubarak, dove, contrariamente alle apparenze, poteva godere di uno spazio di manovra limitato ma certo. Se questo e’ vero si spiega la difficolta’ il silenzio attuale: Al Qaeda non riesce ad occupare in qualche modo, anche solo parzialmente, il vuoto di potere perche’ i canali che gli garantivano il movimento non ci sono piu’. In questo scenario l’esercito gioca sicuramente un ruolo fondamentale perche’ di tradizione laicista e quindi certamente non disposto bene verso integralisti religiosi. Se questa ipotesi e’ almeno verosimile la transizione verso un nuovo tipo di stato e di governo della situazione egiziana non puo’ che essere visto con speranza.
lunedì 7 febbraio 2011
La debacle occidentale
Occorre fare una riflessione sul ruolo dell'occidente alla luce degli sviluppi dei recenti e meno recenti avanzamenti della situazione mondiale. Appare ormai chiaro che il ruolo centrale della parte occidentale del pianeta, fino ad ora nel suo insieme, USA ed alleati, non è più al centro della scena globale. Una serie di fatti e di fattori hanno decretato che non vi è più un solo centro politico ed economico su cui gravita il resto del mondo. Ciò implica che l'occidente, e con ciò si deve intendere USA e UE, non sono più da soli sul gradino più alto come potere d'influenza e di indirizzo. Quella che appare è una situazione dove si stanno sviluppando più centri capaci di indicare la direzione agli altri paesi, quello che si viene a creare, si passi il paragone, è un insieme di forze vettoriali che spingono in direzioni differenti con angolature differenti e le risultanti si ottengono incrociando molte variabili. Ritornando alla difficoltà occidentale occorre specificare che le cause del declino sono frutto di previsioni e politiche poco lungimiranti. La costante afgana è una di queste, il teatro della lotta ad AlQaeda ha di fatto perdere la visone d'insieme agli USA che concentrandosi con sforzi immani in questo conflitto ha perduto la visuale d'insieme della politica internazionale dando per scontate ed assodate situazioni che non erano più tali. E' certo che le rivolte nella sponda sud del Mediterraneo non sono state previste dalla diplomazia occidentale ed ancora adesso la direzione degli esperti di politica estera USA e UE è traballante tra dichiarazioni di principio ed attesa di come andrà a finire per omaggiare il vincitore di turno sperando che il nuovo status quo non differisca di molto dallo status quo ante. L'Egitto è molto più importante dell'Afghanistan per la pace mondiale, è l'unico stato arabo che è riuscito a dialogare con Israele ed a mettere l'uno di fronte all'altro leader isreaeliani con leader arabi. Le istanze democratiche del popolo egiziano sono da supportare in maniera che la transizione avvenga in modalità non contagiate da impulsi estremisti. L'occidente dovrebbe prodigarsi con aiuti e supporti affinchè ciò avvenga, ma quello che si nota è una statica immobilità degli USA ed un atteggiamento pilatesco della UE. Non intervenire gettando sul piatto tutto il peso diplomatico possibile non è accettabile, l'occidente non è la Cina che può permettersi un atteggiamento distaccato, il Mediterraneo è praticamente Europa e non può essere abbandonato all'integralismo religioso o all'instabilità politica. E' interesse di tutto il mondo occidentale che la regione goda della massima stabilità, le rivolte possono essere un'opportunità di sviluppo comune a patto che non prendano direzioni pericolose. Passa anche da qui la riscossa della diplomazia occidentale che ultimamente non pare al passo con la storia.
domenica 6 febbraio 2011
L'evoluzione della crisi egiziana.
La situazione egiziana continua a mantenersi fluida ed aperta ad ogni soluzione, il clima di incertezza è il vero padrone della scena e la soluzione decisiva appare ancora lontana. La vicenda pare, per ora vivere un momento di stallo, non si presentano occasioni decisiva per risolvere l'impasse. Il problema di fondo appare la spaccatura della popolazione egiziana, chi risalta maggiormente è chi fa più rumore ed occupa le piazze ma esistono settori della società che paiono restii al cambiamento. La transizione non è vista in egual modo da tutti, c'è una gran parte della società egiziana che teme che il nuovo sistema non garantisca la stabilità attuale e porti il paese ad una deriva pericolosa. Tra questi settori ancora favorevoli a Mubarak ci sono i copti, circa il 10% della popolazione, che temono di perdere quel poco di protezione che il vecchio regime assicurava e guardano con paura alla possibile ascesa dei Fratelli Mussumani. Tuttavia la situazione attuale non può durare a lungo, il blocco dell'attività economica in un paese già in difficoltà non è ulteriormente sopportabile, inoltre la pressione degli USA per una risoluzione pacifica, ma che non contrasti con gli equlibri della situazione internazionale, pone la soluzione non più procrstinabile. Al momento sono due gli scenari più probabili: governo di unità nazionale con elezioni liber e democratiche in un tempo ragionevolmente breve o titolarità solo nominale di Mubarak fino a Settembre con elezioni subito dopo. In ogni caso il vecchio dittatore non è più compreso nel governo del paese, il pericolo di una sorta di balcanizzazione in salsa egizia è uno dei problemi che paiono di più spaventare l'opinione pubblica interna ed esterna. Il grna merito di Mubarak fino ad ora è aver saputo governare e tenere unito un paese con forti tendenze opposte, un paese contraddistinto da differenze anche rilevanti che lasciate senza freni potrebbero lacerare la nazione. Il ruolo chiave dell'Egitto nella regione per la pace è stato finora di grande stabilizzazione se dovesse invertirsi questa tendenza sarebbe da ridiscutere tutto la situazione in un'area della più calde del pianeta.
venerdì 4 febbraio 2011
L a chiesa cattolica immobile sulla scena internazionale
Oltre un centinaio di teologi cattolici di Germania, Austria e Svizzera hanno emesso una dichiarazione congiunta che chiede la fine del celibato obbligatorio per i sacerdoti e la possibilità di ordinazione anche per le donne. Si stima che circa un terzo dei teologi di Germania, Austria e Svizzera facciano parte della corrente cattolica favorevole a questi cambiamenti in seno alla chiesa di Roma. I tre paesi sono quelli da cui spesso provengono critiche alla dottrina della chiesa ed il tema in questione è già stato sollevato altre volte. Il fatto risulta ancora più importante se si pensa che questa proposta viene dal paese del Papa (il quale, peraltro, aveva firmato una proposta analoga negli anni sessanta). La proposta è destinata a suscitare accesi dibattiti all'interno dell'ortodossia vaticana. La chiesa cattolica non sta passando un buon momento: il problema della pedofilia (per la quale questa proposta non intende essere una soluzione), gli scandali economici e la scarsità delle vocazioni determinano una situazione di difficoltà acuta. All'interno della geopolitica cattolica il fermento proveniente dall'europa centrale rischia di incrinare equilibri di già poca stabilità. La spinta in avanti che viene richiesta potrebbe portare a fratture, non evidenti in superficie, con le prelature dei paesi meno tradizionalisti che vedono di buon occhio una ventata di rinnovamento nell'ingessato mondo cattolico. Vi è tutta una linea all'interno della chiesa cattolica che richiede una maggiore reattività ai problemi del mondo che cambia, il problema della globalizzazione è direttamente connesso con le difficoltà del mondo del lavoro e della finanza, temi sui quali l'atteggiamento prudente è stato sovente visto come un comportamento di parte in causa in ragione di dubbie vicende che hanno coinvolto organismi vaticani. La maggiore trasparenza è una della richieste più pressanti alle alte gerarchie. Anche nella politica estera non paiono esserci novità rilevanti, i continui richiami al rispetto dei diritti civili sono da considerarsi un obbligo per una organizzazione religiosa, tuttavia il resto dell'attività diplomatica pare arroccarsi soltanto nella singola difesa della libertà religiosa per i cattolici, non ci sono azioni eclatanti ad esempio per la pace del mondo aldilà delle occasioni di rito. Nel suo immobilismo la chiesa cattolica non sfrutta le situazioni contingenti per esercitare una concreta azione internazionale da protagonista. In questo quadro anche la richiesta dell'accesso al matrimonio per i sacerdoti pare una notizia rilevante.
Diplomazia europea e situazione del Mediterraneo meridionale
L'Europa pare colta di sorpresa dalle proteste della sponda sud del Mediterraneo, si avverte un senso di smarrimento totale sia dai singoli paesi della UE, che dalle istituzioni comuni. Le dichiarazioni sono di facciata, generici appoggi alle istanze dei popoli in rivolta riconoscono l'esigenza dell'assicurazione dei diritti fino ad ora negati; atteggiamenti lapalissiani che si distinguono per la loro ovvietà. Quello che lascia interdetti è che le diplomazie europee paiono essere disorientate sia di fronte ai moti, che seppure improvvisi dovevano essere in qualche modo previsti, che all'atteggiamento da prendere con il risultato di esprimere un moto ondivago che pende ancora per la maggioranza per i regimi in carico. Questa situazione è da imputare a politiche mediterranee esercitate, a livello di singolo paese, senza grande respiro procedendo cioè ad un passo per volta con ogni singolo interlocutore. In questa miopia non ci sono state eccezioni, tutte le ex potenze coloniali e gli altri paesi della sponda nord del mare nostrum hanno proceduto in egual modo. Ancor peggiore l'atteggiamento dell'Unione Europea che non ha mai intrapreso un progetto di ampia portata che sapesse coinvolgere in una visione comune l'intera area del bacino del Mediterraneo: una grande occasione persa per contare ed indirizzare la politica specialmente in un momento come questo. Le scelte sono state influenzate dal mantenimento dello status quo impedendo, in modo ignavo, lo sviluppo di questi giorni. Non si è mai cercato di indirizzare verso un processo democratico gli stati della sponda sud, non si sono mai esercitate pressioni in ambito internazionale per la violazione dei diritti. Intrattenere relazioni ufficiali magari compiacendo il dittatore di turno, non è una via diplomatica consona per porsi nell'attuale contesto mondiale, occorre che le diplomazie europee si facciano carico delle loro responsabilità altrimenti il destino è quello della serie B della scena internazionale.
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