Politica Internazionale

Politica Internazionale

Cerca nel blog

venerdì 18 marzo 2011

Possibili sviluppi dal contrasto sciti-sunniti

Le rivolte arabe degli stati del golfo nascondo un'insida che potrebbe esplodere a breve. Il dualismo tra sunniti, di solito al potere anche se, in certi casi minoranza, e sciti, caratterizza le rivolte nel golfo arabo per l'elemento religioso e di gruppo di appartenenza, più che per una reale richiesta di democrazia, come nella sponda sud del Mediterraneo. Certo anche l'elemento della richiesta dei diritti non è secondario, ma anzichè essere una richiesta generale è una richiesta tesa a pareggiare le opportunità ed i diritti dei gruppi sociali che ne hanno meno con quelli al potere. Quello che si teme è che dietro le proteste scite, peraltro legittime, si muova in maniera velata l'Iran. Teheran potrebbe optare per una politica di tutela delle minoranze scite per contrastare all'Arabia Saudita la leadership regionale ed assumere un ruolo di protagonista, addirittura capofila, dei paesi contro l'occidente. L'Arabia Saudita è il principale interlocutore degli USA nell'area, e risulta compromesso quindi con l'occidente agli occhi di tutti gli sciti. Riyad è consapevole di questo, infatti ha cercato di usare una doppia tattica: concessioni e repressione nei confronti degli sciti per impedire il dilagare della rivolta. Non solo, l'Arabia ha fornito 1.000 soldati al Bahrein per contenere la protesta scita. Tutti questi elementi ci dicono come l'Arabia tema l'esplosione del contrasto sciti-sunniti, che minerebbe le fondamenta stesse degli stati. La politica di Teheran ultimamente si è contraddistinta per atti clamorosi ed al limite della provocazione, come il viaggio di Ahmadinejad fino alla frontiera israeliana ed il viaggio nel canale di Suez di due navi militari dirette in Siria. Puntare nel mirino l'Arabia Saudita consentirebbe al governo iraniano di compattare, almeno i settori più moderati della società contro un nemico tradizionale. Di questo contrasto potrebbe avvalersi Israele, che se compiesse i passi giusti per il riconoscimento e la costituzione dello stato palestinese, potrebbe guadagnare nell'Arabia Saudita un alleato importante nella regione. Con uno stato Palestinese diventato nazione a tutti gli effetti, i paesi arabi moderati potrebbero trovare un equlibrio verso Tel Aviv ed addirittura coalizzarsi contro l'Iran, sempre presente come minaccia nella regione. Gli sviluppi diplomatici sono aperti ad ogni evenienza mentre la storia, in questo momento, corre più veloce.

La risoluzione ONU dovrebbe ribaltare le sorti della Libia

Con l’approvazione della risoluzione ONU, la partita libica si riapre: ora Gheddafi non sfugge dal centro della scena, rubatogli dal sisma nipponico. L’attenzione ai disastri nucleari aveva dato al rais libico il tempo di riorganizzarsi e fare girare a suo favore le sorti della guerra. L’ONU ribalta gli esiti di un conflitto che parevaormai scontato. Mentre la macchina organizzativa occidentale si prepara, ancora troppo lentamente, adesso l’isolamento di Tripoli è cosa fatta. Il voto delle Nazioni Unite è stato approvato con 10 si e 5 astenuti, tra i quali spiccano le astensioni di Cina e Russia: è un fatto epocale che i due paesi non abbiano votato contro, significa che si è raggiunto un accordo diplomatico totale sull’intervento contro Gheddafi; inoltre Pechino e Mosca hanno sostanzialmente contravvenuto alla loro regola principe in politica estera, che è quella della non ingerenza nei fatti interni degli altri paesi. Strana invece l’astensione del Brasile, che nonostante il colore del governo in carica non ha mai condannato espressamente Tripoli. Ora si tratterà di vedere quando e come inizieranno le azioni militari, che hanno, fatto non secondario, il benestare della Lega Araba e la partecipazione materiale probabilmente di Qatar ed EAU. Gli USA, optano per avere una posizione defilata, per non restare coinvolti nel terzo conflitto con paesi islamici, tuttavia, data la loro potenza militare è impossibile non prevedere un loro coinvolgimento. L’Italia, seppure controvoglia, si è detta disponibile a dare l’uso delle proprie basi militari. La risposta di Gheddafi è stata la prevedibile minaccia all’uso del terrorismo mediante l’abbattimento degli aerei civili ed il bombardamento delle navi mercantili. Frasi che gli scavano la fossa politica, diplomatica e forse di qualcos’altro.

giovedì 17 marzo 2011

Forse l'ONU si muove

L'ONU cerca di salvare la faccia ed evitare il bagno di sangue, che porrebbe domande concrete sulla utilità stessa della istituzione. La risoluzione proposta da Francia, Gran Bretagna e Libano prevede la realizzazione della zona di non volo in modo da pareggiare almeno le forze in campo in vista della battaglia di Bengasi, che dovrebbe essere quella decisiva. Le informazioni sono contrastanti, le dichiarazioni roboanti di Gheddafi danno per imminente la vittoria, mentre i ribelli, in parte smentiscono l'avanzata delle truppe del rais. Il precipitare degli eventi potrebbe portare all'azione militare già stasera, che potrebbe essere compiuta dalle forze armate francesi, americane e di qualche non meglio precisato paese arabo. In caso di azione imminente non sarà certo la NATO ad essere impiegata, perchè le procedure previste in caso di azione non sono state espletate; quindi l'azione, se ci sarà, dovrà essere compiuta sotto le insegne dei paesi di appartenenza. E' l'ennesimo pasticcio diplomatico, che potrebbe causare almeno qualche incomprensione con qualche paese arabo. L'impiego di forze di terra per il momento pare escluso, anche se su richiesta degli insorti, riconosciuti da Parigi, come governo legittimo della Libia, la Francia, che pare il paese più determinato, potrebbe affiancare gli insorti anche con truppe terrestri. In ogni caso la Francia spinge sull'acceleratore essendosi ormai compromessa agli occhi del rais per averlo disconosciuto come autorità della Libia. In caso di permanenza al potere di Gheddafi, Parigi potrebbe essere un obiettivo di ritorsione da parte di un uomo pronto a ricalarsi nei vecchi panni di quando faceva abbattere aerei civili.

mercoledì 16 marzo 2011

Gheddafi avanza e minaccia Sarkozy

Sarkozy, secondo il figlio di Gheddafi, avrebbe avuto la campagna elettorale finanziata dal rais libico; è questa la rivelazione promessa nei giorni scorsi dall'entourage del colonnello, imbestialito per il tradimento francese. Il proiettile mediatico pare indirizzato al paese capofila degli interventisti e comunque l'unico ad avere riconosciuto come rappresentanti della Libia gli insorti di Bengasi. Se si confronta il trattamento riservato all'Italia, rincrescimento e stupore condito da generiche minacce per il futuro, il livello riservato ai francesi è senz'altro di maggiore intensità e rivela un certo timore di Parigi. La Francia non ha emesso alcun commento, probabilmente preferendo non scendere al livello di Gheddafi junior, ma ha, invece, spostato il discorso su di un possibile intervento in aiuto dei ribelli, anche appoggiato da alcuni, non precisati paesi arabi. Quello che difetta è il fattore tempo, Gheddafi sta cercando di operare con una tattica a tenaglia, mentre l'aviazione bombarda Bengasi, le truppe di Tripoli, che davanti hanno 200 chilometri di desrto denza ostacoli, potrebbero dividersi per puntare una parte su Bengasi, mentre un'altra parte potrebbe puntare su Tobruk per poi prendere alle spalle gli insorti. La possibilità più concreta è un bagno di sangue, come peraltro, più volte minacciato dal colonnello. Gli insorti hanno accusato apertamente di codardia l'occidente ed in particolare gli USA, per il mancato intervento e per la pavidità della politica e della inazione militare, che ben si riassume nelle parole del ministro italiano Frattini, che ritiene che saranno l'isolamento e le sanzioni a danneggiare Tripoli. Ciò pare francamente difficile, dato che diversi paesi si sono già fatti avanti per stipulare l'acquisto delle fonti energetiche libiche e quindi di mantenere le normali relazioni dplomatiche.

Nel mondo manca un soggetto capace di gestire le crisi internazionali

In Egitto l'incontro tra le diplomazie mondiali per cercare una soluzione alle crisi arabe. Il continuo rimpallo tra UE, USA, Lega Araba, Unione Africana ed ONU per l'istituzione della zona di non volo in Libia, determina un continuo rinvio, che non rende effettiva alcuna soluzione. Sia la UE che gli USA, tramite Hillary Clinton, continuano a parlare di generici aiuti per i paesi che stanno per affrontare il percorso democratico, soluzioni certamente aprrezzabili e che gettano le basi per le future collaborazioni. Ma agiscono su terreni non certo accidentati, nelle questioni più spinose le diplomazie che dovrebbero farsi carico dei problemi del mondo restano pericolosamente passive e, di fatto, creano un vuoto di potere molto pericoloso. Se sta tramontando la figura di unico gendarme del mondo, gli USA, sia per problemi economici che, sopratutto, per i nuovi assetti geopolitici, non sembra nascere quella stella polare, che doveva fare della diplomazia il punto forte su dirimere le questioni del mondo. Per lungo tempo si è creduto che questo nuovo faro fosse la UE, forte del capitale storico e culturale, che potesse essere il soggetto protagonista di una nuova fase dei rapporti diplomatici. Ma, oltre al fatto di non disporre, di un arsenale militare adeguato, le forze armate europee non sono mai state create, quello che è mancato è stata una visone d'insieme condivisa ed unitaria; con il risultato di praticare una tattica pressapochista ed abborracciata, caratterizzata da sbandamenti di direzione, che ne ha intaccato il prestigio. Con l'ONU lacerato tra i suoi componenti fissi, la mancanza di un soggetto forte che possa prendere sulle sue spalle le problematiche mondiali, le crisi che si stanno sempre più sviluppando rischiano di prendere direzioni pericolose per il mondo intero. Non si può sperare neanche su Russia e Cina, ancorate alla politica del non intervento, più per ragioni di propria convenienza che di convincimento strategico. Senza poter contare su di un soggetto regolatore, rischiano di prendere più potenza paesi che hanno la loro influenza su scala regionale o che sgomitano per imporre la propria visione e che spesso rientrano nel novero delle nazioni non sempre affidabili (un esempio può essere l'Iran). Con il regolamento vigente la situazione dell'ONU è difficilmente sbloccabile, una strada può essere una sorta di consorzio tra organismi sovranazionali ( ad esempio UE e Lega Araba), con tutti i problemi che ne conseguono; infatti si tratterebbe di capire se creare organismi permanenti o via via in caso di intervento di crisi specifiche. Queste ipotetiche associazioni presentano però limiti pratici, perchè senza protocolli di azione e ed evidenti limiti decisionali perchè caratterizzati dalla mancanza di velocità di decisone. La questione è di difficile soluzione, ma se pensata per tempo, cioè fin da subito, può diventare una soluzione praticabile per effettuare almeno degli interventi tampone.

Il problema energetico

Aldilà degli oscillamenti della pubblica opinione, che passa dal favore del nucleare, per la crisi petrolifera, alla contrarietà dell'energia atomica, per i disastri giapponesi, il problema energetico è quello su cui verte il futuro del mondo. La necessità di smarcarsi dalla dipendenza dell'oro nero è ormai acclarata, sia per motivi economici che ambientali, tuttavia pare impossibile in tempi brevi smarcarsi completamente dall'utilizzo del greggio; la vera soluzione è ridurlo. Il dibattito sull'efficacia delle energie alternative tiene banco spesso senza trovare sbocchi per svariate ragioni, tra cui quella principale, pare essere la mancanza di volontà per tutelare altri interessi, che influenza anche i mancati investimenti per la ricerca. In Cina è stato costruito un parco eolico capace di fornire elettricità a cento milioni di persone, quindi ben oltre il fabbisogno civile italiano, in Germania l'energia solare è più sviluppata che nel Belpaese ed altri esempi si possono facilmente trovare. E' chiaro che non si può coprire l'intera percentuale di energia necessaria con le energie alternative ma se si riesce a coprirne una parte tale da ridurre una quota rilevante la strada è senz'altro da battere. Un'altra anomalia è la mancanza di sistema, presente nella UE. Ogni stato procede per suo conto ed in ordine sparso nella politica energetica, anche in questo caso la UE non è abbastanza presente, più che altro per volontà dei singoli stati, che anzichè allearsi, sono di fatto avversari nella corsa all'accaparramento delle fonti energetiche. Non si è mai pensato alla UE come unico acquirente delle risorse, per razionalizzare gli acquisti ed i flussi di consumo, con un controllo più pregnate degli sprechi. L'Unione Europea è uno strumento esistente che non viene usato. Infine i dubbi sul nucleare, la questione è spinosa, sia dal punto di vista economico, che da quello della sicurezza, se in uno stato come il Giappone, dove l'efficienza tecnologica ed i parametri di sicurezza sono elevati, si sono verificate fughe radioattive, la perplessità è giustificata. Per quanto riguarda l'Italia, nonostante la convinzione del governo, sarà difficile vedere delle centrali nucleari per l'opposizione delle regioni; in Europa altri stati stanno ritornando sulle loro decisioni rivedendo gli standard, tutto così ritorna in discussione.

martedì 15 marzo 2011

Per la Palestina il momento è d'oro

La Palestina da segni di cercare una nuova strategia per trovare una intesa comune tra le anime dei territori, per arrivare all'obiettivo tanto cercato. Per Israele la divisione tra Hamas e l'Autorità Paletinese era un metodo di sicuro controllo; ma ora da Hamas arriva la richiesta di un incontro immediato nella striscia di Gaza per concordare una strategia comune e superare le divisioni, che hanno separato le due anime della Palestina. Israele guarda con apprensione a questa unione, perchè occorrerà vedere in che lato della barricata andrà a svilupparsi: se verso le posizioni più moderate dell'Autorità Palestinese o se verso l'estremismo di Hamas. La decisione di richiedere l'unità del movimento deve essere maturata in funzione dell'impulso decisivo che hanno avuto le rivolte di piazza, che spesso hanno riunito sotto di un unico ombrello tendenze diverse. Fino ad ora in Palestina e Cisgiordania, non si era arrivati a superare storiche divisioni e su questo contava anche Israele, impegnata a monitorare l'evoluzione della situazione politica dei paesi confinanti, ma abbastanza tranquilla sulla situazione dei territori. Se, invece, questa tendenza vedrà una realizzazione per Israele si concretizzerà il dover fronteggiare un blocco unico. Difficile prevedere ora la strategia che adotterà questo blocco, se riuscirà ad arrivare ad una unione, la strategia della violenza non pare pagare, più facile cercare un appoggio esterno alla propria battaglia per forzare i tempi della trattativa per lo stato palestinese, anche in ragione della necessità israeliana di ingraziarsi i nuovi governi derivanti dalle rivolte, ed anche per alleggerire la posizione USA, che necessità di concentrare i suoi sforzi in altre zone calde. Dal punto di vista diplomatico, mai altro momento, storicamente, pare più propizio per la nascita dello stato palestinese. Se Israele buca questo appuntamento potrebbe avere ritorni talmente negativi, da pentirsene.