Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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sabato 19 marzo 2011
La pericolosa evoluzione libica
Nonostante l'espediente del cessate il fuoco, annunciato per l'ennesimo tentativo di guadagnare tempo, le truppe di Gheddafi sono alle porte di Bengasi ed hanno iniziato ad attaccare i sobborghi più estremi. Con questo estremo tentativo Tripoli cerca di arrivare al più presto alla riconquista del paese, per presentare all'opinione pubblica il fatto compiuto e quindi trattare da posizioni di forza con il panorama internazionale. La tattica di Gheddafi è disperata e punta sui problemi organizzativi e burocratici conseguenti alla risoluzione dell'ONU. Ma se i sistemi di rilevamento accerteranno gli attacchi a Bengasi, la risposta dei firmatari della risoluzione, con la Francia in testa, non tarderà ad arrivare. Si entrerà così nel tunnel del conflitto. Pronosticare una fine è praticamente impossibile, giacchè l'utilizzo dell'arma aerea, come stabilito dalla risoluzione, pur essendo devastante, non permette il controllo completo del territorio. Se gli aerei ONU, con queste regole di ingaggio, possono scongiurare la vittoria completa di Gheddafi, non possono impedire lo status quo del momento, con una Libia divisa in due. Una cosa è pprevedere un utilizzo difensivo tramite la zona di non volo, un'altra è pensare il mezzo aereo, per ora unico strumento previsto dall'ONU, come mezzo di attacco alle forze del Rais. Se questa ipotesi dovesse concretizzarsi si andrebbe a configurare uno stato di guerra permanente, con i ribelli a presidiare Bengasi e la Libia orientale e Gheddafi attestato nella Tripolitania. In mezzo l'ONU a dovere fare rispettare perlomeno la non aggressione. Sarebbe uno stato di perenne tensione, senza soluzione di continuità, una situazione di stallo dovuta principalmente al cincischiare delle Nazioni Unite e delle grandi potenze in generale. Non è nemmeno credibile che le sanzioni fiaccheranno Gheddafi, parte consistente delle risorse energetiche sono ancora a sua disposizione e ci sarà senz'altro la fila per acquistarle. Meno credibile l'opzione terroristica, che darebbe all'occidente il pretesto di attaccare Tripoli, come già successo. Tuttavia le minacce del rais, ancorchè, portate a termine, potrebbero paralizzare il traffico aereo e navale del mediterraneo meridionale, creando una situazione molto calda nella zona. Una situazione talmente compromessa difficilmente risolvibile con la sola diplomazia.
Le ragioni elettorali di Sarkozy
L'attivismo francese nei paesi della rivolta araba, nella sponda del Mediterraneo del Sud si spiega anche con esigenze di politica interna. La luce dell'inquilino dell'eliseo ultimamente si è un poco appannata e non basta Carla Bruni per risollevarne l'appeal. Sarkozy intende diventare la stella polare dei paesi nordafricani fiutando il vento di libertà ed anticipando gli eventi. La mossa di riconoscere i ribelli libici come governo legittimo in chiave anti Gheddafi, ne fa diventare, di fatto, un paladino dei popoli arabi, che sono diventati parte considerevole dell'elettorato francese. Un'altro obiettivo è quello di stringere accordi economici con i vicini della sponda sud, è stato pronosticato più volte che un successo in Libia consentirà di sostituire l'ENI con la Total, questa previsione è ragionevole, in caso di vittoria dei ribelli e non è una meta da poco in tempi di crisi energetica. Gettando sul banco elettorale la determinazione a percorrere la via della risoluzione ONU ed anche un probabile impegno militare, Sarkozy potrebbe deviare, nelle presidenziali del 2012, l'attenzione dai problemi interni, se non del tutto, almeno in parte.
venerdì 18 marzo 2011
Il nuovo corso della politica estera USA
Esiste una notevole differenza nell'esportazione della democrazia tra le ultime due amministrazioni americane. Dall'intervento diretto armato ad una politica più sottotraccia e maggiormente affidata alla diplomazia. Anche nelle situazioni ereditate, come l'Afghanistan, Obama, ha introdotto nuove metodologie da affiancare allo strumento militare. Nelle rivolte del sud del Mediterraneo, agli USA è stato rinfacciato di avere avuto una visione miope, perchè non ha saputo prevedere l'evoluzione della situazione. In realtà il fattore temporale delle rivolte, con i loro scoppi simultanei è risultato da subito sospetto. Difficile non vedere una o più mani dietro il sipario, d'altronde paiono rivolte, che nelle loro implicazioni sembrano annoverare anche l'obiettivo di evitare una deriva integralista. Rispetto ad altro tempi storici, ad esempio il bombardamento di Tripoli, gli USA restano in retroguardia, non appaiono mai in prima fila, per non colpire la suscettibilità araba e per perdere quella aura negativa, da paese imperialista, secondo una vecchia definizione, con la quale gli USA sono stati identificati. Uno degli obiettivi di Obama, nella politica internazionale, pare proprio quello di cambiare l'immagine statunitense cristallizzata in una connotazione negativa. Anche nei rapporti con gli alleati vi è minore dirigismo, si ricerca un maggiore coinvolgimento ed una maggiore collaborazione. Tutto questo non vuole dire la rinuncia ad esercitare i diritti di una superpotenza, si tratta soltanto di un diverso modo di esercitarli, il comportamento sottotraccia non è meno efficace, avere scelto di utilizzare quantitativamente meno l'uso della forza, privilegiando la diplomazia e lo studio degli altri paesi porterà presto risultati evidenti.
Possibili sviluppi dal contrasto sciti-sunniti
Le rivolte arabe degli stati del golfo nascondo un'insida che potrebbe esplodere a breve. Il dualismo tra sunniti, di solito al potere anche se, in certi casi minoranza, e sciti, caratterizza le rivolte nel golfo arabo per l'elemento religioso e di gruppo di appartenenza, più che per una reale richiesta di democrazia, come nella sponda sud del Mediterraneo. Certo anche l'elemento della richiesta dei diritti non è secondario, ma anzichè essere una richiesta generale è una richiesta tesa a pareggiare le opportunità ed i diritti dei gruppi sociali che ne hanno meno con quelli al potere. Quello che si teme è che dietro le proteste scite, peraltro legittime, si muova in maniera velata l'Iran. Teheran potrebbe optare per una politica di tutela delle minoranze scite per contrastare all'Arabia Saudita la leadership regionale ed assumere un ruolo di protagonista, addirittura capofila, dei paesi contro l'occidente. L'Arabia Saudita è il principale interlocutore degli USA nell'area, e risulta compromesso quindi con l'occidente agli occhi di tutti gli sciti. Riyad è consapevole di questo, infatti ha cercato di usare una doppia tattica: concessioni e repressione nei confronti degli sciti per impedire il dilagare della rivolta. Non solo, l'Arabia ha fornito 1.000 soldati al Bahrein per contenere la protesta scita. Tutti questi elementi ci dicono come l'Arabia tema l'esplosione del contrasto sciti-sunniti, che minerebbe le fondamenta stesse degli stati. La politica di Teheran ultimamente si è contraddistinta per atti clamorosi ed al limite della provocazione, come il viaggio di Ahmadinejad fino alla frontiera israeliana ed il viaggio nel canale di Suez di due navi militari dirette in Siria. Puntare nel mirino l'Arabia Saudita consentirebbe al governo iraniano di compattare, almeno i settori più moderati della società contro un nemico tradizionale. Di questo contrasto potrebbe avvalersi Israele, che se compiesse i passi giusti per il riconoscimento e la costituzione dello stato palestinese, potrebbe guadagnare nell'Arabia Saudita un alleato importante nella regione. Con uno stato Palestinese diventato nazione a tutti gli effetti, i paesi arabi moderati potrebbero trovare un equlibrio verso Tel Aviv ed addirittura coalizzarsi contro l'Iran, sempre presente come minaccia nella regione. Gli sviluppi diplomatici sono aperti ad ogni evenienza mentre la storia, in questo momento, corre più veloce.
La risoluzione ONU dovrebbe ribaltare le sorti della Libia
Con l’approvazione della risoluzione ONU, la partita libica si riapre: ora Gheddafi non sfugge dal centro della scena, rubatogli dal sisma nipponico. L’attenzione ai disastri nucleari aveva dato al rais libico il tempo di riorganizzarsi e fare girare a suo favore le sorti della guerra. L’ONU ribalta gli esiti di un conflitto che parevaormai scontato. Mentre la macchina organizzativa occidentale si prepara, ancora troppo lentamente, adesso l’isolamento di Tripoli è cosa fatta. Il voto delle Nazioni Unite è stato approvato con 10 si e 5 astenuti, tra i quali spiccano le astensioni di Cina e Russia: è un fatto epocale che i due paesi non abbiano votato contro, significa che si è raggiunto un accordo diplomatico totale sull’intervento contro Gheddafi; inoltre Pechino e Mosca hanno sostanzialmente contravvenuto alla loro regola principe in politica estera, che è quella della non ingerenza nei fatti interni degli altri paesi. Strana invece l’astensione del Brasile, che nonostante il colore del governo in carica non ha mai condannato espressamente Tripoli. Ora si tratterà di vedere quando e come inizieranno le azioni militari, che hanno, fatto non secondario, il benestare della Lega Araba e la partecipazione materiale probabilmente di Qatar ed EAU. Gli USA, optano per avere una posizione defilata, per non restare coinvolti nel terzo conflitto con paesi islamici, tuttavia, data la loro potenza militare è impossibile non prevedere un loro coinvolgimento. L’Italia, seppure controvoglia, si è detta disponibile a dare l’uso delle proprie basi militari. La risposta di Gheddafi è stata la prevedibile minaccia all’uso del terrorismo mediante l’abbattimento degli aerei civili ed il bombardamento delle navi mercantili. Frasi che gli scavano la fossa politica, diplomatica e forse di qualcos’altro.
giovedì 17 marzo 2011
Forse l'ONU si muove
L'ONU cerca di salvare la faccia ed evitare il bagno di sangue, che porrebbe domande concrete sulla utilità stessa della istituzione. La risoluzione proposta da Francia, Gran Bretagna e Libano prevede la realizzazione della zona di non volo in modo da pareggiare almeno le forze in campo in vista della battaglia di Bengasi, che dovrebbe essere quella decisiva. Le informazioni sono contrastanti, le dichiarazioni roboanti di Gheddafi danno per imminente la vittoria, mentre i ribelli, in parte smentiscono l'avanzata delle truppe del rais. Il precipitare degli eventi potrebbe portare all'azione militare già stasera, che potrebbe essere compiuta dalle forze armate francesi, americane e di qualche non meglio precisato paese arabo. In caso di azione imminente non sarà certo la NATO ad essere impiegata, perchè le procedure previste in caso di azione non sono state espletate; quindi l'azione, se ci sarà, dovrà essere compiuta sotto le insegne dei paesi di appartenenza. E' l'ennesimo pasticcio diplomatico, che potrebbe causare almeno qualche incomprensione con qualche paese arabo. L'impiego di forze di terra per il momento pare escluso, anche se su richiesta degli insorti, riconosciuti da Parigi, come governo legittimo della Libia, la Francia, che pare il paese più determinato, potrebbe affiancare gli insorti anche con truppe terrestri. In ogni caso la Francia spinge sull'acceleratore essendosi ormai compromessa agli occhi del rais per averlo disconosciuto come autorità della Libia. In caso di permanenza al potere di Gheddafi, Parigi potrebbe essere un obiettivo di ritorsione da parte di un uomo pronto a ricalarsi nei vecchi panni di quando faceva abbattere aerei civili.
mercoledì 16 marzo 2011
Gheddafi avanza e minaccia Sarkozy
Sarkozy, secondo il figlio di Gheddafi, avrebbe avuto la campagna elettorale finanziata dal rais libico; è questa la rivelazione promessa nei giorni scorsi dall'entourage del colonnello, imbestialito per il tradimento francese. Il proiettile mediatico pare indirizzato al paese capofila degli interventisti e comunque l'unico ad avere riconosciuto come rappresentanti della Libia gli insorti di Bengasi. Se si confronta il trattamento riservato all'Italia, rincrescimento e stupore condito da generiche minacce per il futuro, il livello riservato ai francesi è senz'altro di maggiore intensità e rivela un certo timore di Parigi. La Francia non ha emesso alcun commento, probabilmente preferendo non scendere al livello di Gheddafi junior, ma ha, invece, spostato il discorso su di un possibile intervento in aiuto dei ribelli, anche appoggiato da alcuni, non precisati paesi arabi. Quello che difetta è il fattore tempo, Gheddafi sta cercando di operare con una tattica a tenaglia, mentre l'aviazione bombarda Bengasi, le truppe di Tripoli, che davanti hanno 200 chilometri di desrto denza ostacoli, potrebbero dividersi per puntare una parte su Bengasi, mentre un'altra parte potrebbe puntare su Tobruk per poi prendere alle spalle gli insorti. La possibilità più concreta è un bagno di sangue, come peraltro, più volte minacciato dal colonnello. Gli insorti hanno accusato apertamente di codardia l'occidente ed in particolare gli USA, per il mancato intervento e per la pavidità della politica e della inazione militare, che ben si riassume nelle parole del ministro italiano Frattini, che ritiene che saranno l'isolamento e le sanzioni a danneggiare Tripoli. Ciò pare francamente difficile, dato che diversi paesi si sono già fatti avanti per stipulare l'acquisto delle fonti energetiche libiche e quindi di mantenere le normali relazioni dplomatiche.
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