Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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giovedì 21 aprile 2011
Il problema della riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU
Il dibattito intorno alla riforma del Consiglio di sicurezza, organo centrale dell'ONU, sta entrando in una fase centrale, per le continue sollecitazioni al cambiamento dei seggi permanenti. Fermo alla situazione determinatasi alla fine della seconda guerra mondiale, la composizione del Consiglio di sicurezza, appare ormai datata, di fronte all'evoluzione del mondo. Il principale alfiere della determinazione del cambiamento è lo stato del Brasile, che rivendica un seggio permanente, che comprende il diritto di veto, nel Consiglio di sicurezza. In realtà non è il solo paese a rivendicare maggiore importanza internazionale attraverso l'ingresso nel Consiglio, infatti anche India e Sud Africa spingono per riuscire ad entrare nell'organismo centrale dell'ONU. Le richieste non sono destinate ad essere soddisfatte, almeno in tempi brevi, perchè da un lato vi è la resistenza di chi già siede nel Consiglio e vede messa in discussione il proprio potere d'influenza, mentre dall'altro ci sono altri paesi che cercano di entrare nel Consiglio come la Germania. Il problema è che la struttura ristretta del Consiglio, cinque membri fissi più dieci a rotazione, non risponde più non solo all'evoluzione politica ed economica del pianeta, ma non è più rispondente neppure all'allargamento della forma democratica in sempre più nazioni del mondo. Se si vuole dare valore all'organizzazione sovranazionale in ambito diplomatico, occorre allargare il più possibile la partecipazione ed i criteri di democraticità. E' pur vero che ciò può creare un rallentamento delle decisioni, finanche a paralizzarle, ma non si può prescindere da questo criterio se si vuole dare valore ed efficacia alle risoluzioni ONU. Piuttosto, pur rimanendo validi i suddetti valori, occorre elaborare metodologie alternative come un Consiglio di sicurezza con membri a rotazione alternata, dove cioè, su di un totale di membri, poniamo quindici, la variazione dei seggi cambia per cinque seggi alla volta, dopo che sono stati in carica per un tempo x. E' chiaro che finchè la turnazione non sarà a regime i primi 5 membri resteranno in carica per x-1/3 di x, i secondi cinque per x-2/3 di x ed i terzi cinque per x. La difficoltà sta nell'individuare un criterio di turnazione e l'istituzione di un organismo di controllo. Gli attuali stati membri del Consiglio, difficilmente potranno cedere così tanto, ma è inevitabile che un tale potere di veto subisca delle limitazioni in un mondo così cambiato.
mercoledì 20 aprile 2011
Le tattiche terroristiche dei talebani in Afghanistan
In Afghanistan la tattica dei talebani muta operatività; le martellanti azioni dell'esercito alleato che hanno colpito le basi logistiche dei terroristi hanno inflitto gravi perdite di uomini e mezzi, costringendo i comandanti a rivedere le proprie tattiche di contrasto. Le tecniche di guerriglia classica, quella che ha sconfitto l'URSS ed ha tenuto in scacco la NATO in questi anni, non garantiscono più gli antichi successi. L'impiego sempre più massiccio di forze speciali da parte della NATO ha permesso di riscuotere successi che hanno costretto i Talebani a rinculare, con la maggior parte degli effettivi, nella zona montuosa a cavallo con il Pakistan, che permette di operare in una zona praticamente inespugnabile ma limita di molto l'azione militare. Per ovviare a questi ostacoli contingenti, i talebani puntano su azioni terroristiche dove vengono impiegati singoli kamikaze, che compiono i loro attentati su bersagli spesso simbolici, che permettono una grande risonanza mediatica. Inoltre gli attentati raggiungono lo scopo di creare terrore e paura nella popolazione afghana, inducendola a non collaborare con la NATO ed il governo legittimo. La diffusione della paura consente ai talebani di tenere sotto pressione la società civile, impedendo quello sviluppo normale che costituisce l'obiettivo del governo. La NATO e gli USA hanno elaborato strategie per contrastare questa escalation del terrore intensificando l'uso dell'intelligence e cercando di prevenire il possibile favore popolare alle formazioni talebane con l'incremento di azioni mirate sulla vita civile della cittadinanza come l'aumento di ospedali e luoghi di cura e scuole per proporre questi presidi civili, anche visti in ottica di luoghi di aggregazione, come alternative ai luoghi tradizionalmente radicati nella società e di matrice islamica estrema. L'uso del mezzo terroristico segna una debacle della potenza talebana nella società afghana perchè segnala il ricorso ad una lotta clandestina e non più in campo aperto come fino a poco tempo prima. Certamente così non è in tutte le zone afghane, ma dove accade, aldilà delle tragedie provocate dagli atti in se stessi, significa che il giovane stato afghano sta lentamente prendendo possesso del proprio territorio.
Considerazioni sugli sviluppi dei problemi energetici
La decisione di Roma di rinunciare al programma nucleare, segue la riduzione giapponese dovuta al disastro di Fukushima. Nel mondo la tragedia nipponica ha innescato una rincorsa a rivedere l'approvigionamento energetico che punta al nucleare. I grandi costi di gestione e sopratutto di smaltimento delle scorie radioattive e l'impatto emotivo, ma anche economico-politico generato dalla gestione della crisi nucleare ha provocato nelle opinioni pubbliche un deciso ripensamento per la generazione di energia elettrica attraverso l'atomo. Il momento per affrontare questo tema è tuttavia uno dei meno adatti dal punto di vista economico, grazie all'innalzamento dei prezzi del greggio dovuti alla congiuntura militare e politica presente nei paesi arabi. Questi due fatti sommati insieme, il disastro nucleare giapponese e l'innalzamento del prezzo del petrolio, impongono alcune riflessioni sul futuro dell'approvigionamento energetico, essenziale per il mantenimento del livello produttivo mondiale. In primo luogo lo sfruttamento delle energie alternative non è proceduto in maniera univoca in tutto il globo, per mancanza di volontà spesso legata a ragioni lobbistiche riguardanti le compagnie petrolifere. Ciò ha creato anche ricadute in senso ambientale. In secondo luogo non vi è stato un avanzamento della ricerca per trovare fonti alternative con cui rimpiazzare sia petrolio ( o comunque gas) che atomo. Il mancato sviluppo della fusione fredda ha costituito un freno ad una speranza che si stava concretizzando. Stante queste condizioni l'unica strada appare la razionalizzazione dei consumi, anche in ottica di possibili esaurimenti dei giacimenti fossili; quello che occorrerebbe creare dovrebbe essere una sorta di agenzia sovranazionale, emanazione dell'ONU, in grado di monitorare a livello mondiale i consumi per diminuire gli sprechi ed ottimizzare le risorse secondo le reali necessità dei singoli paesi. Questa agenzia dovrebbe essere anche in grado di comminare multe ed incentivare piani di sviluppo di sfruttamento delle energie rinovabili ed alternative e di finanziare progetti di ricerca ad hoc. Non è un'eventualità facile da verificarsi, ma è una soluzione concreta da prendere in considerazione da parte di tutte le nazioni.
L'Autorità Palestinese forza i tempi per la costituzione dello stato
L'irrigidimento statunitense sulla questione della Palestina, obbliga i dirigenti arabi a cercare nuove sponde per la costituzione dello stato Palestinese. L'attuale attivismo internazionale francese pone Parigi come uno degli interlocutori più favorevoli ad accogliere le istanze degli organismi che hanno necessità di trovare sempre nuovi partner diplomatici. Mahmoud Abbas, presidente dell'Autorità Palestinese, si è dato l'obiettivo della costituzione dello stato entro l'anno; si tratta di una meta ambiziosa per lo sviluppo della situazione internazionale, ma che costituisce per Sarkozy un buon banco di prova per le sue ambizioni di statista internazionale. Nonostante le buone intenzioni, ma soltanto a parole, di Israele, il processo della creazione dello stato è di fatto fermo. Tel Aviv ha in piedi troppe questioni tutte insieme che non riesce a gestire a dovere: intanto sul fronte interno, tiene banco la questione delle nuove costruzioni dei coloni che sono presenti su porzioni di territorio destinate allo stato palestinese, Israele ha necessità di rallentare le relazioni con la Palestina per rinegoziare i confini e fare rientrare i coloni all'interno del proprio stato. Sul piano internazionale Tel Aviv è concentrata sui sommovimenti alle proprie frontiere dovuti ai moti della primavera araba, rendere centrale la questione palestinese significa spostare risorse su di un tema, sul quale è ben mantenere di secondo piano per valutare lo sviluppo della situazione. Abbas, per sviare questi intralci, intende portare davanti all'assemblea dell'ONU in settembre, la richiesta di riconoscimento dello stato sulla base di quanto concordato nel 1967, compreso cioè tutta Gerusalemme est, la Cisgiordania e la striscia di Gaza. Riuscire a fare arrivare sul tappeto della discussione internazionale, in modo ufficiale la questione Palestinese potrebbe porre seri problemi agli USA, che rentemente ha posto il veto al Consiglio di sicurezza su di una risoluzione che condannava il colonialismo israeliano sui territori palestinesi. Un rifiuto americano potrebbe essere interpretato dall'opinione pubblica internazionale come un ostacolo alla pacificazione anche in ottica mondiale, giacchè la questione israelo-palestinese è giudicata da molti osservatori una delle maggiori fonti di preoccupazione per la pace mondiale.
martedì 19 aprile 2011
Giappone: governo in difficoltà
Il Giappone comincia a dare segni di essere duramente provato dai recenti gravi fatti accadutigli. Nel mirino della critica c'è il governo al quale si imputa una scarsa leadership e gravi mancanze nella gestione della crisi. Secondo recenti sondaggi la maggioranza dei giapponesi non ritiene adeguato questo governo ed invoca un cambiamento di esecutivo. Molto peso negativo che influenza l'opinione pubblica è dato dal fatto che la TEPCO ha dichiarato che l'emergenza nucleare potrebbe durare fino al 2012, a questo si aggiunga il ritardo del riconoscimento del massimo grado di pericolosità, il settimo, equivalente a Chernobil, giunto solo la scorsa settimana dal governo nipponico. La società giapponese ha vissuto le continue dichiarazioni ufficiali, continuamente contraddittorie, come una lesione del rapporto di fiducia con il governo. La società giapponese non è abituata a vivere momenti così intensi di conflittualità e questo malessere non giova al clima nel quale deve maturare la ricostruzione. Anche dal punto di vista internazionale i rapporti con i paesi vicini, che si affacciano sul mare teatro dell'incidente nucleare, non sono buoni. Sia la Cina che la Corea del Sud hanno duramente criticato la scarsità di notizie relativa alla contaminazione dello specchio acqueo. Nonostante la grande compostezza con cui i giapponesi hanno affrontato le calamità la misura pare ormai colma ed ora la situazione interna si fa di più difficile gestione.
Analisi dell'affermazione dei movimenti localistici e di ultradestra in Europa
L'affermazione dell'ultra destra in Finlandia, costituisce un chairo segnale di partenza per analizzare l'evoluzione delle tendenze politiche che si stanno verificando in Europa. Di fronte all'evoluzione storica della società mondiale, il vecchio continente appare culturalmente impreparato per cogliere ed interpretare la portata dei nuovi cambiamenti giunti con la sempre più estrema globalizzazione. La trasformazione dei partiti di destra in formazioni democratiche non si è pienamente compiuta in tutti gli stati, così si sono determinate situazioni sbilanciate che hanno lasciato spazi aperti da occupare per movimenti radicali di matrice spesso estrema. Vi è una responsabilità sia sociale che culturale degli stati, che non hanno saputo interpretare in chiave futura fatti epocali come la caduta del muro di Berlino. La caduta della cortina di ferro è stato il via alla globalizzazione, anche se solo su scala continentale, ma ciò non è bastato ad interpretare il cambiamento che si stava verificando. Tutto il vecchio continente non è stato preparato allo sconvolgimento in arrivo e ciò ha generato attegiamenti di chiusura, che hanno costituito terreno fertile per sentimenti estremisti. La caratterizzazione di questi movimenti si fonda sulla presunta conservazione di posizioni potenzialmente messe in pericolo dalle novità risultanti dal fenomeno globalizzazione; tali posizioni, di vantaggio, sono basate, secondo questi partiti e correnti di pensiero, su ricchezza che può essere erosa da processi redistributivi innescati da effetti conseguenti, in ultima analisi dalla globalizzazione. La politica proposta, basata sulla chiusura e di ceto e di territorio e di cultura, trova facili consensi in tutti quegli ambienti che temono la perdita di posizione, anche minima, scartando così le possibilità che i nuovi fenomeni possono presentare. Alla fine il risultato più evidente è l'immobilità sia culturale che economica; ma questo non è più possibile in un mondo dove il cambiamento non è solo un fatto assodato ma anche incontrovertibilmente veloce. L'affermazione di tali movimenti determina così una decrescita di quei paesi dove questi partiti riescono a riscuotere un successo elettorale tale da influenzare almeno il governo vigente. L'arroccamento e l'isolamento sono poi il passo seguente, le nazioni condizionate da questi partiti non riescono a sviluppare, fin dal sistema scolastico ed universitario, un ambiente culturale sufficientemente pronto ad accogliere le novità ed il sistema economico si rifugia in produzioni destinate a diventare obsolete. Anche i sistemi politici si involvono e non riescono a rimanere al passo dei tempi con una adeguata produzione di leggi e regolamenti. Infine il dato più preoccupante è che le altre forze politiche inseguono questi movimenti sul loro terreno e piegano la loro ideologie a sentimenti transitori senza elaborare strategie alternative.
lunedì 18 aprile 2011
La situazione libica non si evolve
La situazione libica è sempre più critica: dal punto di vista militare l'azione della NATO registra una impasse, in parte dovuta alla scarsità degli armamenti a guida laser e in parte alle difficoltà diplomatiche, che rendono l'azione politica intermittente e priva di coordinamento. Il problema degli armamenti significa che l'alleanza ha sottostimato la durata della guerra e la modalità di conclusione; il solo uso della forza aerea non basta ad arrivare alla vittoria e per ora l'impiego della forza terrestre non è previsto. Sul campo la situazione militare è di stallo, il che significa continui attacchi, con morti e feriti, da una parte e dall'altra con maggiore preponderanza delle truppe di Gheddafi, che da qualche tempo fanno uso di bombe a grappolo, contravvenendo alle convenzioni internazionali. Particolarmente difficile al situazione di Misurata, colpita più volte specialmente nelle sue unità produttive. In campo diplomatico quello che si persegue maggiormente è la ricerca di un paese, che non abbia firmato il trattato di Roma sulle estradizioni, che possa ospitare il Colonnello in un esilio dorato: Ciad, Uganda e Mali sono le destinazioni più probabili. Per ciò che riguarda la risoluzione ONU, Mosca ha rilevato, non senza fastidio, che l'azione dei paesi volenterosi ha di molto superato i confini della disposizione 1973, interpretata in maniera troppo estensiva. La critica russa arriva nel momento nel quale i grandi paesi in via di sviluppo, tra cui India e Brasile chiedono una riforma del Consiglio permanente dell'ONU, regolato con queste disposizioni dalla fine della seconda guerra mondiale.
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