Iceland has made school: Greece also hold a referendum on measures taken in accordance with Brussels to reduce the public debt of Athens. On the one hand, the increasing pressure of the square, which has become characterized by genuine social revolt, the other the practical question of not being able to endure such draconian measures in the economic field, have forced the government to take note greek, which the internal structures, is needed a consultation exercise involving the whole country express acceptance of the constraints imposed by the consequences of debt. George Papandreou, greek prime minister, has said explicitly that if the Greeks do not want an agreement with the EU, not the spirit of sharing, the agreement will not be adopted. Make a prediction about a referendum of this kind is too easy, the cost of the measures agreed with Brussels falls on the majority of the people greek, it does not feel responsible for this state of affairs, then the rejection of the agreement is almost taken for granted. The first analysis you need to do is because you have got to this point, after grueling negotiations that have influenced their progress with the ups and downs of the stock markets? If it is a fact that almost all Greek public opinion was and is opposed to the indiscriminate reduction of their income, it is unclear how the government operates in a short time, such a turnaround. There must be international and financial reasons, however, difficult to understand, which led to this choice that is poorly defined pilatesca. It is unclear why, then do not opt for a default checked immediately, which would have spared the wave of street protests and the swing of the bag across the continent. Furthermore, this decision puts at risk almost certain, the house of cards on which you based now the euro zone. Put a safeguard debt greek also meant protecting the debt of Italy and France, the country with the banks most exposed to the greek debt. Indeed, Sarkozy was the politician who had the worst reaction, the French banking system is likely to implode, throwing the country into more complete financial chaos, If this hypothesis were to occur for France reflects the very worst of the current economic values, so as to determine a saving the appropriate volume of the Italian one, albeit for different reasons.
This scenario envisages the practical failure, why not recoverable, the euro and to follow the political union of Europe. What does this mean in practice? For France, the crisis almost total credit, with a paralysis of the production system, which can no longer sustain any growth agenda, going so 'also have an impact on an already large public debt. For Italy, there being no material resources at European level and beyond to save, the failure of the state, with the creation of a real financial tsunami that will hit the U.S. with its waves, in the first place, and immediately after emerging economies, with China more illustrious victim. It 'a doomsday scenario that is looming, if it were to occur would be to subvert the order which has hitherto governed the world stay again, who will suffer, clear, setting new rules and also new ways of life, or perhaps old, why not over charged.
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
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martedì 1 novembre 2011
Referendum in Grecia sugli accordi con Bruxelles sul debito di Atene
L'Islanda ha fatto scuola: anche la Grecia indirà un referendum sulle misure prese in accordo con Bruxelles per la riduzione di parte del debito pubblico di Atene. Da una parte la pressione sempre maggiore della piazza, che ha assunto connotati da vera e propria rivolta sociale, dall'altra il concreto dubbio di non riuscire a sopportare misure così draconiane in campo economico, hanno obbligato il governo greco a prendere atto, che per gli assetti interni, si rende necessaria una consultazione che coinvolga l'intero paese sull'accettazione esplicita delle ristrettezze imposte dalle conseguenze della situazione debitoria. George Papandreu, il primo ministro greco, ha detto esplicitamente che se i greci non vogliono l'accordo con la UE, non condividendone lo spirito, l'accordo non sarà adottato. Fare un pronostico su di un referendum di questo genere è fin troppo facile, il costo delle misure concordate con Bruxelles ricade sulla maggioranza del popolo greco, che non si sente responsabile di questo stato di cose, quindi il rigetto dell'accordo è pressochè scontato. La prima analisi che occorre fare è perchè si è arrivati a questo punto, dopo trattative estenuanti che hanno condizionato con il loro avanzamento altalenante le borse mondiali? Se è assodato che la quasi totalità dell'opinione pubblica greca era ed è contraria alla contrazione indiscriminata del proprio reddito, non si comprende come il governo operi, in poco tempo, un tale voltafaccia. Devono essere presenti ragioni di ordine internazionale e finanziario, peraltro difficili da comprendere, che hanno determinato questa scelta che definire pilatesca è poco. Non si comprende come mai, allora non optare per un default controllato fin da subito, che avrebbe risparmiato l'ondata di manifestazioni di piazza e l'altalena della borsa di tutto il continente. Inoltre tale decisione mette in pericolo praticamente certo, il castello di carte su cui ormai si basa la zone euro. Mettere una salvaguardia al debito greco voleva dire proteggere anche il debito dell'Italia e la Francia, il paese con le banche più esposte verso il debito greco. Infatti Sarkozy è stato il politico che ha avuto la reazione peggiore, il sistema bancario francese rischia di implodere gettando il paese nel più completo caos finanziario, Se questa ipotesi dovesse verificarsi per la Francia si concretizzerebbero valori economici molto peggiori degli attuali, tanto da determinare un salvataggio del volume necessario di quello italiano, seppure per motivi differenti.
Questo scenario prefigura il fallimento concreto, perchè non recuperabile, dell'euro ed a seguire dell'unione politica del continente europeo. Cosa implica ciò in concreto? Per la Francia la crisi pressochè totale del credito, con una paralisi del sistema produttivo, che non potrà più sostenere alcun programma di crescita, andando cos' anche ad incidere su di un debito pubblico già consistente. Per l'Italia, non essendoci le risorse materiali a livello europeo ed oltre per il salvataggio, il fallimento dello stato, con la creazione di un vero e proprio tsunami finanziario che andrà a colpire con le sue onde gli USA, in primis, e le economie emergenti subito dopo, con la Cina ulteriore vittima illustre. E' uno scenario apocalittico quello che si prefigura, che se dovesse verificarsi andrebbe a sovvertire l'ordine che ha fin qui governato l'econima mondiale, che subirà, giocoforza, l'impostazione di nuove regole ed anche modi di vita nuovi, o forse vecchi, perchè non più praticati.
Questo scenario prefigura il fallimento concreto, perchè non recuperabile, dell'euro ed a seguire dell'unione politica del continente europeo. Cosa implica ciò in concreto? Per la Francia la crisi pressochè totale del credito, con una paralisi del sistema produttivo, che non potrà più sostenere alcun programma di crescita, andando cos' anche ad incidere su di un debito pubblico già consistente. Per l'Italia, non essendoci le risorse materiali a livello europeo ed oltre per il salvataggio, il fallimento dello stato, con la creazione di un vero e proprio tsunami finanziario che andrà a colpire con le sue onde gli USA, in primis, e le economie emergenti subito dopo, con la Cina ulteriore vittima illustre. E' uno scenario apocalittico quello che si prefigura, che se dovesse verificarsi andrebbe a sovvertire l'ordine che ha fin qui governato l'econima mondiale, che subirà, giocoforza, l'impostazione di nuove regole ed anche modi di vita nuovi, o forse vecchi, perchè non più praticati.
lunedì 31 ottobre 2011
Libia: Gheddafi aveva la bomba atomica
Il presidente del CNT libico avrebbe affermato che le bombe atomiche libiche sarebbero state trovate e sarebbero già a disposizione dei tecnici dell'AEIA. Sulla questione dell'arsenale atomico di Gheddafi erano spesso comparse notizie mai confermate, ora si tocca con mano il rischio che hanno corso i paesi più vicini allo stato libico, che il colonnello avrebbe potuto fare oggetto di bersaglio. Il ritrovamento pone domande, per certi versi scontate. Le disponibilità economico finanziarie, sicuramente ingenti del regime di Tripoli non possono confermare il possesso di una tecnologia molto avanzata, che richiede personale con conoscenze molto approfondite. Per intenderci il livello raggiunto dall'Iran, che non avrebbe ancora consentito lo sviluppo dell'ordigno atomico, è molto più avanzato di quello libico; non sarebbe stato, cioè, un problema di approvigionamento del materiale necessario, ma di conoscenza della materia. La conseguenza logica è che qualche paese che poteva disporre di ordigni già pronti possa avere rifornito l'arsenale libico, giacchè non è verosimile pensare ad un aiuto che comprendesse il passaggio di know-how verso la Libia. Sulla fine rapida, una volta catturato, del dittatore si è detto di tutto, anche la comodità che faceva una morte del genere per coprire segreti scomodi per nazioni sia di tipo democratico che autoritario, sia occidentali che no. La presenza della bomba atomica in Libia genera anche riflessioni parallele sulla guerra in Iraq, dichiarata per la presunta disponibilità di un arsenale nucleare da parte di Saddam Hussein, fatto poi rivelatosi falso ed anche costruito ad arte, ma, che comunque non ha impedito una guerra che si trascina ancora ora. Se allora serviva un pretesto per cancellare il regime iraqeno, come è possibile che la stessa ragione non sia stata pubblicizzata nelle fasi iniziali della guerra libica, che sono state oggetto di un acceso dibattito all'ONU. Questo silenzio appare ora interessato, non era certamente giudicato positivo fare conoscere questo fatto all'opinione pubblica mondiale, ma se da un lato si possono comprendere le ragioni tese a smorzare l'impatto mediatico, dall'altro lato risulta sospetta l'azione di occultamento di una motivazione così forte. Soltanto l'analisi, se ci sarà, delle bombe, potrà dire da quale direzione Gheddafi ha potuto dotarsene e se la verità riuscirà a venire fuori si annuncia un botto, certamente innocuo, ma altrettanto fragoroso.
Il Kenya si muove contro Al-Shabaab
Il Kenya attacca i seguaci del movimento Shabaab in territorio somalo. Le corti islamiche protagoniste di diverse azioni contro il paese vicino non sono più un fenomeno sostenibile per l'equilibrio regionale e costituiscono un pericolo concreto anche per Francia ed USA. I due paesi occidentali affiancano l'esercito kenyano materialmente contro i terroristi islamici, in special modo gli USA, stanno utilizzando droni telecomandati contro le postazioni più difficili da raggiungere all'interno del territorio somalo. Gli USA hanno sposato la causa del Kenya perchè permette di condurre una ulteriore azione repressiva contro la parte somala di Al-Qaeda, andando così ad inserirsi nella strategia complessiva contro il movimento estremista islamico. Per la Francia il ragionamento è differente, l'impegno militare in prima persona è giustificato dalla protezione degli investimenti fatti nella zona ed obiettivo dei radicali. La tattica militare del governo Kenyano è essenzialmente quella di tagliare le vie di comunicazione con la città di Chisimaio, che mediante il suo porto, assicura le entrate necessarie ad AL-Shabaab per la sua sopravvivenza. La rete Al-Shabaab è anche sospettata di essere dietro ai pirati che si muovono nel Golfo Persico e costituiscono un grave pericolo per le navi mercantili dirette verso il canale di Suez. Un ulteriore problema per il Kenya è l'afflusso della più consistente quantità di profughi del mondo, verso i suoi campi di accoglienza, dovuta alla grave carestia alimentare presente in Somalia. Una delle cause di questa migrazione di proporzioni bibliche e che il Kenya non riesce più a gestire è l'atteggiamento di Al-Shabaab verso gli aiuti alimentari, che vengono osteggiati con la scusa della provenienza dall'occidente cristiano. Gli estremisti islamici usano questa arma, molto più subdola che gli attentati, facendo pagare alla popolazione somala la loro strategia complementare all'uso della forza armata, ma di gran lunga più efficace per fiaccare lo stato vicino. Dietro al problema resta l'assenza endemica dello stato somalo che non riesce a ridarsi una struttura capace di governare il proprio territorio. Tuttavia non si comprende l'atteggiamento occidentale e dell'ONU che non pare volere prendere in mano la situazione in maniera risolutiva, impegnando sul campo forze armate sia di terra che aeree, capaci di cancellare le milizie islamiche e permettere di ricreare finalmente uno stato somalo sovrano. Ancora una volta nascono spontanee le domande sui criteri che determinano l'impegno in alcuni stati piuttosto che in altri.
venerdì 28 ottobre 2011
La sfiducia: nuova sensazione per gli USA
Quello che si è materializzato nel panorama politico degli USA, ed è opportuno analizzare, è lo sviluppo dei due movimenti anti sistema che stanno caratterizzando la scena americana: Tea Party e gli occupanti di Wall Street. Questa volta gli Stati Uniti sembrano non fare tendenza ed arrivare dopo, infatti le analogie tra i movimenti localisitici e di destra europea, anche estrema, presenti ben prima sulla scena ed il Tea Party non sono poche. Entrambi rappresentano un disagio sociale basato sulla paura dello straniero, sul timore di vedere rotti definitivamente equilibri basati sulla piccola proprietà e sulla troppo invasiva azione statale che soffoca le tradizioni, gli usi locali e l'iniziativa economica proveniente dal basso, con leggi restrittive ed incremento delle tasse. Chi manifesta contro Wall Street contesta il sistema da sinistra e si caratterizza per un'azione non violenta che tende a fare risaltare la natura pacifica del movimento che ha forti analogie con gli indignados spagnoli, tuttavia la peculiarità americana, valida in entrambi i casi è la ricerca del rifugiarsi in movimenti collocati fuori dai partiti e ciò rappresenta una novità per il panorama statunitense. La mancanza di fiducia nei soggetti canonici della politica americana, rende l'idea del pessimismo e del malcontento diffuso verso le istituzioni, che non appaiono capaci di risolvere i problemi del cittadino medio. La crisi economica ha fiaccato il motore principale del sogno americano: l'entusiasmo e l'ottimismo. Gli USA sembrano accartocciati su stessi, ripiegati nella ricerca di un isolazionismo e di un protezionismo innaturale per il paese americano, ma comune sia alla destra che alla sinistra. Esiste anche un fattore nuovo e particolare che influisce ulteriormente su questo clima: la presa d'atto che gli Stati Uniti non sono più la potenza mondiale che poteva comandare il mondo. Se c'è stato un effetto inaspettato della globalizzazione è avere trasformato i piedi del gigante in argilla, in sostanza anche gli USA hanno subito un notevole indebolimento che ha intaccato la ricchezza interna ed il prestigio internazionale. Ciò ha confuso gli americani, che ora reagiscono in maniera anomala secondo i propri soliti standard. Ma ciò è anche il segno che gli USA sono diventati una nazione normale, con quali effetti sul piano internazionale, sia economico che politico, è difficile da prevedere.
La Cina scende in campo per il finanziamento della zona Euro
La Cina sta valutando sulla possibilità di intervenire, con investimenti sostanziosi, direttamente entro i confini del debito dell'Eurozona. Per Pechino è vitale che i paesi dell'area euro non entrino in una crisi letale per le loro economie, che sono i migliori clienti delle merci cinesi. Non si tratta, infatti, come è logico di una operazione di beneficenza, la Cina ha necessità di non vedere ridursi la propria crescita oltre un livello determinato, per continuare a finanziare il proprio sviluppo. Presente la contrazione interna, Pechino deve fare tutto il possibile per sostenere la domanda all'estero dei propri prodotti ed inoltre deve diversificare l'investimento della propria grande liquidità disponibile. Infatti gli ingenti investimenti effettuati negli USA e che sono in sofferenza per le difficoltà dell'economia americana, necessitano di alternative, da cui ricavare anche guadagni di tipo politico, come, peraltro avvenuto negli Stati Uniti. Un primo salvagente per la zona euro potrebbe essere emesso nella misura di cento miliardi di dollari, che andebbero comunque ad aggiungersi ai più di 500 miliardi di dollari già investiti dal dragone cinese nel debito dei paesi europei. La destinazione della liquidità cinese potrebbe andare alimentare il già presente fondo salva stati oppure, in alternativa, il nuovo fondo che verrà creato. La Cina ha lasciato anche aperta la porta ad ulteriori investimenti nel caso si verificassero delle condizioni capaci di favorire la cooperazione bilaterale su benfici reciproci. Dietro queste parole si nasconde, neanche troppo velatamente, l'intenzione della Cina di assumere piena dignità come stato industriale, senza risolvere gli annosi problemi legati ai diritti sindacali e politici dei lavoratori e dei cittadini cinesi, per diventare una vera e propria economia di mercato. Pechino tenta di sfruttare il momento di debolezza dell'economia europea per non adeguarsi ai criteri della concorrenza, mantenendo il basso costo del lavoro e vendendo merci prodotte in assoluta assenza di garanzie per i lavoratori, permettendo così un prezzo di mercato più basso. Un'altra questione a cuore del governo cinese è l'abbattimento dei dazi, che secondo Pechino costituiscono una barriera alla concorrenzialità delle merci cinesi. In effetti è proprio questa la ragione di essere di tali dazi, compensare, almeno in parte le condizioni che favoriscono i prezzi bassi cinesi. Nonostante le difficoltà finanziarie presenti, l'Europa deve diffidare dalle offerte cinesi, che, se accolte, aprirebbero le porte senza limitazione alcuna, allo strapotere di Pechino in campo economico, rischiando di ridurre al rango di colonia, in un futuro neanche troppo lontano, il vecchio continente.
giovedì 27 ottobre 2011
Un conservatore come erede al trono saudita
La morte del principe ereditario saudita mette in pole position il potente ministro degli interni Nayef nella posizione di nuovo successore al trono. Nato nel 1933, ha ricoperto già in diverse occasioni la guida del paese quando il re saudita ha subito i recenti interventi chirurgici negli Stati Uniti. Il nuovo delfino è uomo di stato di orientamento conservatore che ha legami profondi con la setta wahhabita, che ha una visione molto rigida della parte sunnita dell'islam. L'attuale momento dell'Arabia Saudita, non pare tuttavia, uno dei migliori per l'ascesa di Nayef, con il paese impegnato in profondi contrasti interni sia dal lato delle richieste democratiche, che dal lato dei problemi con la minoranza scita, che richiede maggiore autonomia e migliori condizioni di trattamento, sia sul fronte dei diritti politici, che del lavoro. L'avvento di un conservatore rischia di irrigidire il dialogo e rallentare le timide riforme recentemente concesse, sia nei maggiori investimenti in favore di una sorta di welfare nascente, che nelle timide aperture politiche concretizzatesi con la possibilità dell'esercizio di voto nelle consultazioni a livello comunale. Nayef è un sostenitore della polizia religiosa, il Mutawa, fortemente criticato dai sauditi per i metodi spesso brutali con cui impone i propri criteri di moralità. Questa rigidità fa temere molti analisti che venga intrapresa una via ancora più repressiva, specialmente nei confronti delle minoranze in un momento in cui sarebbe necessaria una maggiore flessibilità per favorire un approccio più morbido ai problemi. Sul fronte della politica estera, proprio l'aspetto fortemente religioso lo pone come un nemico dell'Iran maggiore rappresentante della parte scita dell'Islam, continuando così nel solco tradizionale dei governanti sauditi e non ci dovrebbero essere variazioni neppure sull'alleanza con gli Stati Uniti, dove l'Arabia continuerà ad essere uno dei maggiori alleati strategici sia a livello regionale che globale, dal punto di vista militare che energetico. Tuttavia data l'età avanzata, i maggiori esperti di cose arabe, ritengono che l'erede al trono sarà un sovrano di transizione in attesa di nuova linfa che vada a ringiovanire il vertice del paese.
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