Politica Internazionale

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lunedì 14 novembre 2011

Politica e mercato: invertire la rotta

Con l'insediamento del nuovo governo greco ed il prossimo insediamento di quello nuovo italiano si sancisce una sorta di sospensione della supremazia della politica a favore dell'economia. E' vero che ora ciò vale per una parte ridotta, per adesso, dell'occidente, ma in futuro la prassi potrebbe allargarsi. Per Grecia ed Italia si è comunque scelto all'interno del proprio ordinamento una soluzione più veloce di quella scelta da altri grandi malati dell'area euro, Irlanda e Spagna, infatti hanno optato per la soluzione elettorale, che preserva la democrazia fino in fondo, ma non assicura quella velocità di aggiustamento dei mercati che le situazioni di Atene e Roma, stanno richiedendo. Beninteso non si tratta di colpi di stato, la transizione governativa è o sta avvenendo, nell'alveo delle regole scritte dalle rispettive leggi fondamentali, pur essendo caratterizzate da dispositivi normativi dettati da una urgenza pressante. Quello che interessa rilevare è che l'influenza del mercato si è spinta talmente avanti da potere condizionare gli assetti politici di una nazione, non più in maniera occulta, ma in modo aperto e chiaro. Questo è un riflesso, innanzitutto di oltre vent'anni di teorie liberiste, che hanno imperato sull'economia, sull'industria, sulla finanza fino a sopravvanzare anche sulla politica. Alla fine la politica è stata vittima di se stessa, nella misura in cui ha favorito l'espansione delle teorie liberiste; l'attività politica si è come ripiegata su se stessa lasciando campo libero ad una sorta di autoregolamentazione, in realtà guidata eccome, dettata dal mercato, che ha generato una dialettica costruttiva sempre più flebile, in favore di un dialogo nel ruolo deputato alla democrazia, il parlamento, sempre più volgare e distante dalle modalità consuete dell'esercizio della vita democratica. Una politica sempre più distante dai cittadini e dalle esigenze della società ha finito per non essere più utile neppure a se stessa ed è stata scavalcata per la propria inefficienza. E' come se lo stesso mercato richiamasse ai suoi doveri la politica, rinnegando esso stesso le teorie liberiste, che avrebbero dovuto favorirlo. E' presto per dire se questa tendenza dovesse prendere campo in maniera ulteriore, tutto dipenderà dai dati economici e finanziari che si svilupperanno, un'altra nazione indiziata ad andare in questa direzione potrebbe essere la Francia, se il suo sistema bancario dovesse andare incontro a pericolosi sviluppi, tuttavia è ormai un dato sicuro che anche i governi più saldamente in carica, stanno mettendo a fuoco strategie di aggiustamento progressivo per non essere travolti da leggi del mercato che stanno cercando di cannibalizzare i sistemi politici. La ricerca di maggiore equità e la lotta stessa alle diseguaglianze più estreme che si sono sviluppate, rappresentano la migliore base di partenza per un ritorno da protagonista della politica nell'agone sociale, sia di ogni singolo paese che a livello più globale, ma dovrà essere una politica rigenerata al suo interno e maggiormente sensibili a quei temi che consentano la creazione di dighe efficaci affinchè non si ripeta mai più la deriva di questi anni.

venerdì 11 novembre 2011

Il rilancio della UE passa per la perdita di sovranità degli stati

Il potere di indirizzo delle istituzioni europee, in realtà della Germania ed in misura minore della Francia, si sta concretizzando, andando ad influire sulle scelte degli uomini che andranno a governare i paesi con maggiori problemi. Se per certi versi pare una invasione del concetto di sovranità, questa visione deve essere, invece superata, alla luce dei nuovi assetti imposti dalla presenza di organizzazioni sovranazionali ed anche dalle soluzioni richieste dalle situazioni contingenti. In realtà le due questioni sono intimamente legate, in un quadro generale di comunità degli stati è normale che se esistono dei problemi gravi in una parte, che oltretutto possono riverberarsi nella totalità, debbano essere ammesse delle "invasioni" in quella che era comunemente definita sovranità nazionale. Gli elementi che concorrono a superare il vecchio concetto sono, nell'attualità del momento, sia di ordine politico che economico, ma in un futuro anche prossimo potrebbero diventare anche di ordine militare. Tale processo, peraltro, dovrebbe essere una logica conseguenza dell'evoluzione, in senso compiuto dell'attuazione dell'Unione Europea da soggetto sovranazionale in soggetto nazionale, secondo le concezioni più tradizionali del termine. Ma ciò sarebbe vero in una situazione ottimale, puramente teorica, un caso da laboratorio politico, non inficiato da tutte quelle variabili di singolarità presenti in ogni singolo stato e rappresentate da istanze localistiche ed interessi limitati ad argomenti ristretti. Certo le modalità di cambio di governo in Grecia e prossimamente in Italia, devia da quella che dovrebbe essere una modalità, che seppure non ancora codificata, dovrebbe incentrarsi su indicazione, certamente non vincolante, dell'autorità di Bruxelles. Purtroppo, proprio la scarsa autorità politica di Bruxelles non può procedere ed allora la responsabilità ricade sul paese capofila dell'Europa: la Germania ed in maniera minore sulla Francia. Esiste una sostanziale differenza circa la leadership dei due paesi nei confronti dell'Unione Europea, pur avendo di fatto creato un direttorio a due, Parigi non ha le stesse prerogative e le stesse esigenze di Berlino. Infatti per la Francia, nonostante le pose e gli atteggiamenti tipici della grandeur, si tratta, in sostanza, di salvare un sistema bancario fortemente esposto ad una grande quantità di titoli tossici, che in caso di crollo provocherebbe l'implosione finanziaria dello stato. Per la Germania è diverso, pur mossa anche da mere esigenze di cassa e di salvaguardia del proprio mercato, è l'unico stato con gli indici in ordine e possiede quindi i titoli per esercitare un ruolo di guida, fortemente supportato e condiviso dalla classe politica, anche se esistono, al contrario, dubbi rilevanti nell'opione pubblica. Tuttavia un aspetto importante della preminenza tedesca è proprio il convinto europeismo del governo in carica. L'analisi di questi aspetti porta diritto alla questione del restringimento della sovranità, di fatto, per alcuni stati, principio che se ora è valido per alcuni potrà essere esteso anche ad altri, pure per casistiche differenti. Nell'area di una comunità di stati che aspira ad una unione ben più stringente della attuale, pur con tutti i distinguo e le resistenze da considerare, occorre accettare, in assenza di norme codificate, l'iniziativa di chi ha più titolo, anche in funzione di salvaguardia, anche suo malgrado, del membro in difficoltà, pena la fuoriuscita dal sistema comune. E' un punto di partenza forzato e forzoso, ma che costituisce, pur nella negatività del momento attuale, l'aspetto più positivo possibile per dare finalmente slancio ad una unificazione politica dell'Europa più completa e reale.

giovedì 10 novembre 2011

Iran: cosa farà Israele?

Può Israele decidere di attaccare da solo l'Iran, perchè teme lo sviluppo definitivo dell'arma atomica di Teheran? La questione è di vitale importanza, cercare di capire cosa vorrà fare il governo israeliano è fondamentale per capire in quale direzione andrà l'equlibrio mondiale. Allo stato dell'arte, nonostante l'unanime condanna proveniente, almeno dall'occidente, solo Tel Aviv spinge per una soluzione militare, che preveda di colpire le installazioni atomiche in terra iraniana. Gli USA, pur avendo ricompreso come una possibile soluzione quella dell'intervento armato, ne hanno per il momento scartato l'attuazione per ovvi motivi di opportunità di politica sia estera che interna. Netanyahu, tenendo fede alla sua fama di duro spinge per l'intervento armato, tuttavia non si comprende se sta bluffando o se oserebbe veramente bombardare in modo unilaterale l'Iran. In ogni caso quello che cerca è di forzare la mano agli statunitensi, cui non approva la condotta giudicata sostanzialmente di basso profilo, nei confronti di Teheran. Infatti è impensabile, che, in caso di attacco da parte di Tel Aviv, anche non concordato con Washington, gli USA lascino poi al loro destino gli israeliani. Ma in questo caso l'intervento della forza armata a stelle e strisce sarebbe un evento obbligato che avrebbe conseguenze, probabilmente irreparabili, a livello di rapporti diplomatici. Ben diverso il caso di una soluzione armata concordata, anche ottenuta anche con comportamenti esasperanti e condannati, non in pubblico, dal governo USA. Per ora l'Iran non pare cedere alle provocazioni israeliane e mantiene la propria linea, anche se un episodio che partisse da Teheran, per quanto improbabile, farebbe la gioia di Netanyahu, che vorrebbe avere una occasione, anche minima, tale da giustificare una azione armata contro l'Iran. Pur comprendendo i timori di una testata nucleare puntata verso Gerusalemme, per decifrare quello che appare un comportamento folle da parte di Israele, tanto che neppure gli USA lo approvano, non vi è altra spiegazione che i servizi segreti di Tel Aviv abbiano notizie certe di un progresso iraniano molto vicino alla costruzione della bomba atomica senza, tuttavia, averne raggiunto il compimento. Se questo è vero allora si può capire l'urgenza di una azione militare da svolgersi in tempi brevissimi per distruggere e possibilmente azzerare i progressi iraniani in maniera definitiva. L'analisi dei benefici di una azione del genere, che pare comunque costituire un azzardo enorme, deve essere tale da superare gli eventuali costi, che anche senza avere elementi certi, dovrebbero comunque essere altissimi. Per Israele, quindi il problema nucleare iraniano deve essere definito, anche a discapito di interessi superiori, in esclusiva funzione delle proprie, seppur comprensibili, esigenze.

Perchè Cina e Russia non vogliono sanzionare l'Iran

Cina e Russia non la pensano come USA ed Israele sull'atomica iraniana. Dalla decisione, presa in sede di Consiglio di sicurezza dell'ONU, di aprire all'intervento armato in Libia mascherato da azione umanitaria, ottenuto con l'astensione di Pechino e Mosca, secondo i governi di questi paesi estorta in maniera ambigua dai paesi occidentali, l'atteggiamento diplomatico di Cina e Russia è diventato di chiusura, verso ogni iniziativa di politica internazionale occidentale sia reale che potenziale. Anche il rapporto AIEA è diventato così una occasione per dissentire con l'occidente, diventando, addirittura, secondo il Ministero degli Esteri russo, una fonte di tensione ed un fattore di destabilizzazione mondiale. In realtà nel confronto tra Iran e potenze occidentali sulla questione nucleare, irrompono sulla scena proprio Cina e Russia, nella probabile veste di alleati di Teheran; ma il presupposto diplomatico è il cavallo di Troia, dietro al quale si nascondono ragioni prettamente economiche. Per la Cina è la necessità di assicurarsi il petrolio iraniano, che è una componente essenziale del proprio fabbisogno energetico, per la Russia si tratta di portare avanti le ricche commesse stipulate con la Repubblica islamica proprio sul fronte della ricerca atomica. In questo quadro la tattica pensata da Obama per contrastare il programma atomico iraniano, che prevedeva una maggiore pressione sul paese persiano tramite l'inasprimento delle sanzioni ed il coinvolgimento proprio di Cina e Russia, pare destinato a naufragare ancora prima della partenza, come, peraltro, indicato chiaramente dal rifiuto delle due potenze a fare entrare nel novero delle sanzioni i settori energetici riguardanti gas e petrolio. Per gli USA, per evitare un eventuale scontro armato, non ci sarebbe altra soluzione che quella di imporre sanzioni in maniera quasi unilaterale, nel senso che tali sanzioni avrebbero senz'altro l'appoggio delle altre potenze occidentali, ma senza l'effetto ricercato di un fronte più esteso, che ne garantirebbe anche l'effettiva efficacia. Se la questione viene poi considerata dal punto di vista diplomatico risulta impossibile non rilevare una sempre maggiore spaccatura tra occidente con in testa gli USA, da una parte, e Cina e Russia dall'altra, che stanno praticando una palese politica di aggregazione di quelli che sono gli stati più in disaccordo con Washington. Se per la Cina lo scopo è di sottrarre sempre più terreno all'economia americana, per la Russia la questione pare quella di una ricerca, a tratti spasmodica, di recuperare quell'importanza internazionale che è andata scemando dalla fine dell'impero sovietico. Ma entrambi i casi indicano che i due paesi stanno conducendo una tattica pericolosa ed irresponsabile per la stabilità mondiale, che rischia di avere effetti incontrollabili per gli stessi conduttori del gioco.

mercoledì 9 novembre 2011

Se Iran e Pakistan si avvicinano

Dentro le pieghe del rapporto AIEA ci sarebbe la constatazione della collaborazione di tecnici pachistani con il governo iraniano per la costruzione della atomica della repubblica islamica. Se ciò fosse vero sarebbe una ulteriore incrinatura nel rapporto fiduciario, peraltro già pesantemente compromesso, tra USA e Pakistan. Avere fornito conoscenza diretta sull'argomento nucleare a Teheran, pone Islamabad in una posizione ancora più ambigua sulla propria lealtà ed anche convinzione nei confronti della lotta al terrorismo islamico. Il fatto, d'altronde, non rappresenta un fulmine a ciel sereno, ma corona una lunga serie di sospetti fondati su comportamenti ambigui da parte delle strutture governative pachistane. La protezione fornita alla rete terroristica Haqqani, la presenza sul suolo pachistano di Osama Bin Laden, i comportamenti dubbi dei servizi segreti, il progressivo avvicinamento alla Cina come alleato di primo piano sui temi economici, avevano collocato il Pakistan in una posizione di alleato non troppo affidabile per gli obiettivi americani, sopratutto nell'ottica della guerra afghana e quindi sul tema della lotta al terrorismo. Anche i recenti dissidi tra Kabul ed Islamabad, provocati dall'accusa afghana, condivisa dagli USA, di fornire protezione materiale alle bande talebane nelle montagne pakistane al di la della frontiera dell'Afghanistan, hanno contribuito ad un ulteriore deterioramento dei rapporti, nonostante tutti i tentativi americani di un recupero su posizioni più favorevoli per gli USA, con trattative condotte anche in prima persona dal Segretario di stato Hillary Clinton. Ma la collaborazione con l'Iran, su di una questione ritenuta di fondamentale importanza per gli USA, come il programma di armamento atomico di Teheran, batte tutti gli screzi precedenti e mette il Pachistan in una posizione con una forte connotazione negativa, che appare sempre più una vera e propria scelta di campo. Se questa è la strada intrapresa da Islamabad, per gli USA si tratterà di rivedere i propri piani nella guerra afghana, in particolare, e nella lotta al terrorismo islamico in generale. Senza più essere l'alleato ritenuto di importanza strategica fondamentale, il Pachistan può diventare apertamente nemico degli Stati Uniti, dai quali riceve ancora sostanziosi finanziamenti? La questione non è irrilevante, anzi, se il Pakistan sceglie, nonostante lo sfoggio continuo di atteggiamenti più che ambigui, di passare dalla parte di campo opposta agli USA può incorrere in una serie di rappresaglie che possono arrivare fino al vero e proprio scontro armato. Le truppe USA sono già al confine, impegnate nella guerra afghana ed hanno più volte sconfinato in territorio pachistano proprio per mancanza di fiducia nel governo di Islamabad. L'avere fornito aiuto all'Iran, proprio sulla questione dell'arma atomica non può che apparire come una aperta provocazione verso Washington, che rappresenta il culmine del deterioramento del rapporto tra i due stati. Difficile che lo strappo venga ricucito, ma ciò apre la strada a nuovi scenari e nuovi equilibri nella lotta la terrorismo, che potrebbero determinare l'entrata in campo di nuovi soggetti finora rimasti ai margini del campo. Se per l'Iran non si tratta di un vero e proprio ingresso, perchè ha sempre agito dietro le linee fornendo aiuti materiali e finanziari al terrorismo islamico, più difficile capire l'atteggiamento della Cina, che entrando nel mercato pachistano, non può limitarsi alla solita dottrina che contraddistingue la sua politica degli esteri e che è, sostanzialmente quella di non ingerirsi negli affari interni di un paese. Per ora, grazie alla forte repressione interna il fenomeno fondamentalista islamico è rimasto circoscritto nei confini cinesi, ma se Islamabad dovesse schierarsi apertamente con Teheran, nessuno sarebbe al sicuro dal contagio a macchia d'olio che potrebbe svilupparsi. Una alleanza tra Iran e Pakistan potrebbe significare anche la ulteriore radicalizzazione della visione islamica in senso estremista, uno sviluppo ancora più pericoloso sotto tutti i punti di vista per i rapporti con e tra gli stati islamici, anche quelli più moderati.

martedì 8 novembre 2011

Iran: quello che il rapporto AIEA può provocare

Intorno all'atteso rapporto dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), ruotano questioni vitali per la stabilità mondiale. Se, come sembra verrà affermato, l'Iran sarà considerato in grado di costruire la bomba atomica, cosa per altro smentita da Teheran, si andranno a creare situazioni particolarmente pericolose, specialmente ricordando l'esperienza immediatamente antecedente alla dichiarazione della guerra all'Iraq, proprio per il motivo della possibile presenza, poi smentita, di armamenti nucleari. Ad aggravare il clima di tensione la notizia della presenza di tecnici nordcoreani e pachistani, che avrebbero collaborato con l'Iran, fornendo la propria conoscenza, per la costruzione dell'ordigno nucleare. Tuttavia il timore è che il rapporto si basi su conclusioni deduttive e non accertate, risultanti anche dal comportamento non chiaro del governo iraniano verso i tecnici dell'AIEA. Ma per Israele ciò sarebbe sufficiente per alimentare lo stato di crescente preoccupazione presente nel paese e che potrebbe essere la causa di una risposta armata preventiva contro Teheran. Per l'AIEA si tratta di una grossa responsabilità giacchè quello che verrà scritto sul suo rapporto potrebbe causare un conflitto ben più pericoloso di quello iraqeno, ma anche presentando una relazione veritiera, che esprima e tenga conto di tutte le difficoltà di una analisi completa e certa, può rappresentare il pericolo di una strumentalizzazione di quanto esposto, sia da una parte che dall'altra. Malgrado le pressioni di Israele, che ben difficilmente vorrà attaccare obiettivi iraniani senza l'approvazione americana, la tendenza del governo di Obama è quella di puntare ancora sulla via diplomatica, lasciando la soluzione armata come ultima opzione percorribile. Una possibile strada è quella di esercitare ancora maggiore pressione tramite l'utilizzo di sanzioni internazionali mediante il coinvolgimento ulteriore di nuovi stati. Il pensiero dell'amministrazione di Washington è che le sanzioni fin qui praticate siano state troppo blande e non abbiano sortito gli effetti per cui sono state dichiarate, quindi non è stato lo strumento ad essere inefficace ma le modalità di applicazione che non hanno saputo creare una difficoltà economica oggettiva al regime iraniano. A differenza della lettura israeliana del rapporto AIEA, secondo gli USA l'interpretazione corretta deve essere in grado di coinvolgere Russia e Cina nell'adesione alle sanzioni contro l'Iran, per sanzionare la Repubblica islamica ad una condanna più estesa, proprio da parte di quei paesi, come appunto Mosca e Pechino, che hanno maggiori legami economici con Teheran. La tattica di Obama è chiara, anche se vista in ottica dell'imminente campagna elettorale delle presidenziali americane. Il Presidente uscente vuole continuare ad essere accreditato come il soggetto che ha cambiato la tattica fondamentale della politica estera USA, prediligendo il dialogo alle prove di forza, tuttavia per gran parte dell'elettorato questo atteggiamento potrebbe essere visto come segnale di debolezza nei confronti di un nemico storico degli Stati Uniti.

La Merkel ed i cambiamenti del movimento conservatore

La cancelliera tedesca Merkel prevede un decennio per ristabilire la situazione economica mondiale. Un decennio che sarà ricco di sacrifici per riequilibrare la politica finanziaria degli stati, dove, da chi più, da chi meno, è stata abusata la leva del debito a fronte di minori entrate. La politica finanziaria delle nazioni incentrata sull'accumulo del debito pubblico è arrivata alla fine, soltanto il contenimento della spesa pubblica si può evitare il dissesto finanziario. Sembra una ovvietà ma non la è. Mettere dei freni certi e sicuri, fissati con modalità condivise a livello sovrastatale è ormai l'unica strada per combattere la crisi, anche a costo di andare contro quelle ovvie tendenze, espresse dai movimenti nazionalistici e localistici, insieme in una inedita alleanza, che vedono questi provvedimenti come una invasione della sovranità nazionale. Ciò è tanto più valido per l'Europa, che si è dotata di una una unione, appunto sovranazionale, ma non solo. Nell'insieme globale di economia e finanza certe regole devono essere recepite da tutti gli attori presenti sulla scena, meglio ancora se controllati ed assistiti da istituzioni terze. Ecco allora che il ruolo di una istituzione di governo e garanzia dell'economia mondiale si rende sempre più necessario, per evitare crolli pericolosi che vadano a riverberarsi su stati e soggetti più sani. Il momento impone una cura drastica ma nel futuro sarà sempre più indispensabile prevenire e su questa modalità non pochi saranno gli scontri alimentati da quei soggetti tesi ad arricchirsi con la speculazione e l'emissione di titoli tossici nel sistema. Per fare questo occorre agire sulle banche, che sono gli attori in prima linea nel processo e sono spesso state protagonisti negativi, tuttavia il loro ruolo è irrinunciabile, secondo la Merkel, per l'economia, giacchè senza credito si crea disoccupazione e alterazione degli equilibri sociali. Quello che va rivisto è il meccanismo perverso dal quale gli istituti bancari traggono il loro guadagno, mentre ne va esaltato il ruolo sociale, che non deve esaurirsi in vistose sponsorizzazioni di eventi, ma deve essere interpretato in maniera etica in modo da assicurare il giusto guadagno all'istituto contemporaneamente al favorire lo sviluppo armonico dell'economia, sia a livello locale che globale. La cancelliera Merkel, in sostanza partendo da posizioni di destra, seppure una destra moderna e tutt'altro che populista e classista, sfonda a sinistra con temi cari a partiti e movimenti che dovrebbe avversare. Uno per tutti l'introduzione del salario minimo garantito. Questo significa una presa d'atto, ulteriore nel mondo della politica, del fallimento delle teorie liberiste, che contrastavano qualunque forma di controllo sul mercato, portandoci al tragico punto in cui siamo. Ma significa anche l'elaborazione di nuovi concetti all'interno del movimento conservatore capace di fare maggiore tendenza nel mondo: quello tedesco. La necessità di una condivisione dei costi della crisi in maniera proporzionale va in quel senso e sottintende ad una revisione quasi completa dei caposaldi economici dei partiti conservatori che sapranno avere l'adeguata apertura mondiale. Ciò non può che essere letto in maniera positiva per la totalità del confronto politico perchè allarga di gran lunga, rispetto ad ora, il terrreno di incontro sul quale sviluppare e prendere le decisioni che condizioneranno il futuro. D'altronde ad aprire questa strada è stato un altro tedesco illustre: Benedetto XVI, che ha condannato apertamente i guasti del liberismo economico.