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mercoledì 25 settembre 2019

ستعرض الصين قوتها العسكرية في استعراض الذكرى السبعين

تستعد الصين للاحتفال بالذكرى السنوية السبعين لإنشائها: يجب أن تكون نوايا الطبقة الحاكمة في بكين مناسبة لفضح تقدم التقدم الصيني ، من خلال استعراض لأسلحتها الأكثر تطوراً. بالنسبة لبعض المحللين ، سيكون هذا عرضًا حقيقيًا للقوة ، يتم توجيهه قبل كل شيء إلى الولايات المتحدة ، التي تربطها بجمهورية الصين الشعبية ، علاقة متضاربة للغاية. ستكون هناك خلافات عميقة مع العرض الأول ، الذي احتفل بميلاد الصين الشيوعية: في تلك المظاهرة ، كانت الطائرة التي كان بوسع بكين أن تستعرضها هي 17 عامًا فقط. ومع ذلك ، في الأول من أكتوبر / تشرين الأول ، سوف تستعرض 15000 جندي ، وحوالي 160 طائرة وأسلحة مختلفة ، بما في ذلك طائرات بدون طيار وصواريخ طويلة المدى. على الرغم من النفي ، حول مظاهرة ضد الولايات المتحدة ، يبدو من المشروع الاعتقاد بأن العرض العسكري هو مظهر واضح وحاسم لأولئك الذين يرغبون في ممارسة التدخل في تلك المناطق التي تعتبرها الصين من كفاءتها الحصرية وأيضاً ضد أولئك الذين يريدون ممارسة الضغط على اقتصادها وعلى ضمان استغلال الطرق التجارية ، لا سيما الطرق البحرية. إن الكشف علنًا عن صاروخ قادر على حمل 12 رأسًا نوويًا وقادرًا على تغطية مسافة 14000 كيلومتر ، يبدو أنه عمل سياسي واضح ، للسياسة الدولية ، والذي يبدو أنه تحذير صريح لإظهار أن بكين قادرة على تحمل جدلية تقوم على التهديدات العسكرية والمشاركة ، ليس فقط كقوة اقتصادية ، ولكن أيضا من الناحية الاستراتيجية. إن هذا العرض للقوة لا يأتي كحداثة ، إن أرقام الاستثمارات الكبيرة في مجال التسلح ، والتي دعمتها الصين لإنشاء قوة عسكرية أكثر حداثة ومجهزة بأحدث الأدوات ، معروفة جيدًا ، حيث من المعروف أن هذا الجهد مستمر من وقت طويل. تستمد الحاجة إلى أن تصبح قوة عالمية عالمية من الحاجة إلى حماية اقتصاد البلاد ، وبالتالي تكون قادرة على الحوار على قدم المساواة مع الولايات المتحدة ، التي هي المنافس الحقيقي على الساحة العالمية. إن مرحلة تطور الأسلحة ليست سوى جزء واحد من المشروع الصيني للتنافس في الريادة العالمية: الاستثمارات الكبيرة التي تمت في إفريقيا وآسيا وأوروبا تظهر رغبة واضحة في لعب دور متزايد الأهمية في السيناريو الدولي ، حتى لو كان هذا ينطوي على النفور المتزايد ، الذي يمكن تعريفه على أنه طبيعي ، في الوجود المتزايد التعقيد للدولة الصينية. لا يمكن للإشارة إلى زيادة ثقل القوات المسلحة إلا إثارة القلق بشأن المخاطر المتزايدة للاستقرار العالمي ، ومع ذلك ، لم تظهر بكين حتى الآن علامات على الرغبة في التخلي عن حذرها المعتاد في المجال الدولي ، حتى لو كان ذلك في مناطق معينة الفائدة ، مثل البحر الصيني ، نمت الوجود العسكري الصيني ، مما يزيد من مخاطر الحوادث المحتملة. داخليا ، لا يزال الوضع معقدًا بسبب قضية هونغ كونغ ، حيث يمكن أن يكون الاحتفال بتأسيس جمهورية الصين الشعبية مناسبة للمظاهرات وما يترتب عليها من قمع من جانب الحكومة المركزية. في هذا الصدد ، تخضع بكين للتدقيق من قبل المجتمع الدولي وأي عنف محتمل قد يكون سببًا لمهاجمة الحكومة الصينية. وضع المستعمرة البريطانية السابقة هو بالتأكيد اختبار للصين ، لأنه لا يمكن حل التمرد بالطرق المستخدمة في المناطق الأخرى الأقل شدة في البلاد ، بمعنى آخر ، لا يمكن تنفيذ القمع ضد المسلمين الصينيين في هونغ كونغ. ، تحت طائلة الانتقام التجاري غير ذي صلة بالاقتصاد الصيني. لذلك ، إلى جانب معارض القوة العسكرية ، تقدم الذكرى السنوية السبعون للجمهورية الاشتراكية الصينية الاعتبارات اللازمة من جانب الغرب ، وخاصة أوروبا ، حول العلاقات التي تنوي الحفاظ عليها مع بلد لا توجد فيه ديمقراطية الذي يعتزم تصدير نموذجه الرأسمالي إلى العالم.

venerdì 20 settembre 2019

Esiste il pericolo di un conflitto globale in Medio Oriente?

Dopo l’attentato ai pozzi petroliferi in Arabia Saudita esiste un rischio di conflitto? I sauditi hanno definito l’accaduto ccme un atto di guerra ed, in realtà, è proprio quello che sembra, anche al di fuori delle considerazioni geopolitiche. D’altronde l’Arabia Saudita è realmente un paese in guerra, nello Yemen, contro i ribelli di religione sciita, per evitare una avanzata dell’Iran ai propri confini. Riad ha condotto questo conflitto in maniera violenta anche contro i civili, creando una situazione umanitaria gravissima, dove, dopo le armi, le condizioni sanitarie ed igieniche, provocate dal conflitto, hanno contribuito ad aumentare il numero delle vittime. In questo quadro una rappresaglia degli sciiti yemeniti, anche se deprecabile, rientra nella logica del conflitto, che, come riconosciuto dai generali sauditi interrogati sui massacri dei civili, hanno risposto che rientravano negli effetti collaterali di una guerra. Quindi l’Arabia Saudita non dovrebbe essere troppo sorpresa da un atto di ritorsione. Chi ha colpito gli impianti sauditi ha, però, allargato il conflitto ad obiettivi economici, che risultano anche simbolici. L’Arabia Saudita ha costituito tutta la sua ricchezza sulla produzione ed esportazione di greggio e colpire il suo impianto principale equivale a dire che le forze armate del paese sono troppo deboli per difendere l’economia saudita, cioè l’attentato ha dimostrato un paese che è una è potenza economica la cui forza militare è però poca cosa. Del resto la guerra contro i ribelli yemeniti sembra molto lontano dalla conclusione, malgrado gli sciiti dello Yemen non siano una forza regolare. Da qui si arriva direttamente a chi ha rivendicato l’attentato: gli stessi ribelli sciiti dello Yemen, che pure si sono dimostrati un nemico ostico nelle operazioni militari tradizionali, non sembrano essere attendibili come organizzatori di un atto di tale portata, almeno non da soli. Se l’Iran, che è il principale indiziato, si limitato a fornire il materiale e la consulenza per metterlo in pratica, lasciando l’attuazione pratica agli sciiti dello Yemen, non è rilevante. Una implicazione di Teheran mette veramente a rischio la pace in tutta la regione, con conseguenze sull’intero pianeta. L’Arabia Saudita, però, come abbiamo visto, non ha alcuna capacità militare di confrontarsi con Teheran e qui entrano in gioco gli Stati Uniti, nella scomoda posizione di maggiore alleato di Riad. Per Washington la questione centrale è non apparire debole di fronte agli alleati ed anche di fronte ai nemici. Un qualsiasi atto di rappresaglia contro l’Iran, anche un episodio isolato e dimostrativo, potrebbe scatenare un conflitto più ampio, sopratutto in sconsiderazione degli attuali difficili rapporti tra i due stati. Nonostante le pressioni arabe ed anche di Israele, l’atteggiamento americano appare improntato alla prudenza. La tattica di Washington potrebbe essere, inizialmente, quella di inasprire le sanzioni contro il paese iraniano, per poi procedere con una pressione diplomatica da parte di più paesi per arrivare ad una sorta di definizione della situazione. La Casa Bianca ha delle responsabilità indirette se dietro l’attentato ci fosse l’Iran: le sanzioni economiche hanno colpito specialmente le esportazioni del greggio iraniano ed hanno provocato una grave recessione economica; se si considerano tutti questi fattori l’attentato al centro petrolifero saudita assume un ulteriore valore simbolico. La situazione di tensione è stata creata dall’attuale presidente americano, che dietro le richieste di Arabia Saudita ed Israele, non ha mantenuto fede all’accordo firmato dal precedente presidente americano, sul nucleare iraniano. I presupposti di un conflitto ci sono tutti, tuttavia tutte le parti  in causa sono consapevoli delle conseguenze: per ora l’Iran, se non attaccato, eviterà altre dimostrazioni di forza, cercando di giocare a proprio vantaggio l’instabilità che si è venuta a creare per ottenere, almeno, minori sanzioni; gli Stati Uniti non hanno sicuramente interesse ad essere impegnati ad un ulteriore conflitto, ma di una portata ben peggiore di quelli in cui sono stati impegnati finora e cercheranno una via d’uscita diplomatica. Resta l’Arabia Saudita, la cui immagine e prestigio internazionale esce sensibilmente peggiorata e ciò potrebbe provocare risentimento contro gli Stati Uniti, che devono prestare attenzione ad un alleato che ha appoggiato più volte il fondamentalismo islamico, arrivando ad usarlo per i propri scopi.

Is there a danger of global conflict in the Middle East?

After the bombing of oil wells in Saudi Arabia, is there a risk of conflict? The Saudis have defined what happened as an act of war and, in reality, it is exactly what it seems, even outside of geopolitical considerations. On the other hand Saudi Arabia is really a country at war, in Yemen, against the Shiite religion rebels, to avoid an advance of Iran to its own borders. Riyadh also led this conflict violently against civilians, creating a very serious humanitarian situation, where, after the weapons, the sanitary and hygienic conditions, caused by the conflict, contributed to increase the number of victims. In this context, a retaliation by the Yemenite Shiites, even if deplorable, is part of the logic of the conflict, which, as recognized by the Saudi generals questioned about the massacres of civilians, responded that they were part of the collateral effects of a war. So Saudi Arabia should not be too surprised by an act of retaliation. However, those who hit Saudi plants have widened the conflict to economic goals, which are also symbolic. Saudi Arabia has made up all its wealth on the production and export of crude oil and to hit its main plant is to say that the armed forces of the country are too weak to defend the Saudi economy, that is, the attack has shown a country that it is an economic power whose military strength is a small thing. After all, the war against the Yemenite rebels seems very far from the end, although the Shiites of Yemen are not a regular force. From here it comes directly to those who claimed responsibility for the attack: the Shi'ite rebels of Yemen, who have also shown themselves to be a hostile enemy in traditional military operations, do not seem to be reliable as organizers of an act of this magnitude, at least not alone . If Iran, which is the main suspect, merely provides the material and advice to put it into practice, leaving the practical implementation to the Shiites in Yemen, it is not relevant. A Tehran implication truly puts peace in the whole region at risk, with consequences for the entire planet. Saudi Arabia, however, as we have seen, has no military capacity to confront Tehran and here the United States comes into play, in the uncomfortable position of a major ally of Riyadh. For Washington, the central question is not to appear weak in the face of allies and even in the face of enemies. Any act of retaliation against Iran, even an isolated and demonstrative episode, could trigger a wider conflict, especially in disregard of the current difficult relations between the two states. Despite Arab and even Israeli pressure, the American attitude appears to be based on prudence. Washington's tactic may initially be to tighten sanctions against the Iranian country, to then proceed with diplomatic pressure from several countries to arrive at a sort of definition of the situation. The White House has indirect responsibilities if Iran were behind the attack: economic sanctions especially hit Iranian crude oil exports and caused a severe economic recession; if we consider all these factors, the attack on the Saudi oil center takes on a further symbolic value. The tense situation was created by the current American president, who behind the requests of Saudi Arabia and Israel, did not keep faith with the agreement signed by the previous American president, on the Iranian nuclear issue. The conditions of a conflict are all there, however all the parties involved are aware of the consequences: for now Iran, if not attacked, will avoid other demonstrations of force, trying to play to its advantage the instability that has come about create to obtain, at least, minor penalties; the United States certainly has no interest in being committed to a further conflict, but of a far worse magnitude than those in which they have been engaged so far and will seek a diplomatic way out. Saudi Arabia remains, whose image and international prestige is significantly worsened and this could provoke resentment against the United States, which must pay attention to an ally that has repeatedly supported Islamic fundamentalism, coming to use it for its own purposes.

¿Existe el peligro de un conflicto global en el Medio Oriente?

Después del bombardeo de pozos petroleros en Arabia Saudita, ¿existe riesgo de conflicto? Los sauditas han definido lo que sucedió como un acto de guerra y, en realidad, es exactamente lo que parece, incluso fuera de las consideraciones geopolíticas. Por otro lado, Arabia Saudita es realmente un país en guerra, en Yemen, contra los rebeldes de la religión chiíta, para evitar el avance de Irán hacia sus propias fronteras. Riad también dirigió este conflicto violentamente contra los civiles, creando una situación humanitaria muy grave, donde, después de las armas, las condiciones sanitarias e higiénicas, causadas por el conflicto, contribuyeron a aumentar el número de víctimas. En este contexto, una represalia por parte de los chiítas yemenitas, incluso si es deplorable, es parte de la lógica del conflicto, que, como reconocieron los generales saudíes cuestionados sobre las masacres de civiles, respondieron que eran parte de los efectos colaterales de una guerra. Por lo tanto, Arabia Saudita no debería sorprenderse demasiado con un acto de represalia. Sin embargo, aquellos que golpearon las plantas sauditas han ampliado el conflicto a objetivos económicos, que también son simbólicos. Arabia Saudita ha acumulado toda su riqueza en la producción y exportación de petróleo crudo y golpear su planta principal es decir que las fuerzas armadas del país son demasiado débiles para defender la economía saudita, es decir, el ataque ha demostrado que un país Es un poder económico cuya fuerza militar es algo pequeño. Después de todo, la guerra contra los rebeldes yemenitas parece estar muy lejos del final, aunque los chiítas de Yemen no son una fuerza regular. De aquí viene directamente a quienes se atribuyeron la responsabilidad del ataque: los rebeldes chiítas de Yemen, que también se han mostrado como enemigos hostiles en las operaciones militares tradicionales, no parecen ser confiables como organizadores de un acto de esta magnitud, al menos no solo. . Si Irán, que es el principal sospechoso, simplemente proporciona el material y el asesoramiento para ponerlo en práctica, dejando la implementación práctica a los chiítas en Yemen, no es relevante. Una implicación de Teherán realmente pone en riesgo la paz en toda la región, con consecuencias para todo el planeta. Arabia Saudita, sin embargo, como hemos visto, no tiene capacidad militar para confrontar a Teherán y aquí Estados Unidos entra en juego, en la incómoda posición de un importante aliado de Riad. Para Washington, la cuestión central es no parecer débil frente a los aliados e incluso frente a los enemigos. Cualquier acto de represalia contra Irán, incluso un episodio aislado y demostrativo, podría desencadenar un conflicto más amplio, especialmente sin tener en cuenta las difíciles relaciones actuales entre los dos estados. A pesar de la presión árabe e incluso israelí, la actitud estadounidense parece estar basada en la prudencia. La táctica de Washington puede ser inicialmente endurecer las sanciones contra el país iraní, para luego proceder con la presión diplomática de varios países para llegar a una especie de definición de la situación. La Casa Blanca tiene responsabilidades indirectas si Irán estuviera detrás del ataque: las sanciones económicas afectaron especialmente las exportaciones iraníes de petróleo crudo y causaron una severa recesión económica; Si consideramos todos estos factores, el ataque al centro petrolero saudí adquiere un valor simbólico adicional. La tensa situación fue creada por el actual presidente estadounidense, quien detrás de las solicitudes de Arabia Saudita e Israel, no mantuvo la fe con el acuerdo firmado por el anterior presidente estadounidense, sobre el tema nuclear iraní. Las condiciones de un conflicto están ahí, sin embargo, todas las partes involucradas son conscientes de las consecuencias: por ahora Irán, si no es atacado, evitará otras manifestaciones de fuerza, tratando de aprovechar su ventaja de la inestabilidad que ha surgido. crear para obtener, al menos, sanciones menores; Estados Unidos ciertamente no tiene interés en comprometerse con otro conflicto, pero de una magnitud mucho peor que aquellos en los que se han involucrado hasta ahora y buscarán una salida diplomática. Arabia Saudita permanece, cuya imagen y prestigio internacional empeoran significativamente y esto podría provocar resentimiento contra Estados Unidos, que debe prestar atención a un aliado que ha apoyado repetidamente al fundamentalismo islámico, llegando a utilizarlo para sus propios fines.

Besteht die Gefahr eines globalen Konflikts im Nahen Osten?

Besteht nach dem Bombenanschlag auf Ölquellen in Saudi-Arabien ein Konfliktrisiko? Die Saudis haben definiert, was als Kriegshandlung geschah, und in Wirklichkeit ist es genau das, was es scheint, auch außerhalb geopolitischer Erwägungen. Auf der anderen Seite ist Saudi-Arabien im Jemen ein echtes Kriegsland gegen die schiitischen Religionsrebellen, um ein Vordringen des Iran an seine eigenen Grenzen zu verhindern. Riad führte diesen Konflikt auch gewaltsam gegen die Zivilbevölkerung und schuf eine sehr ernste humanitäre Situation, in der nach den Waffen die durch den Konflikt verursachten gesundheitlichen und hygienischen Bedingungen dazu beitrugen, die Zahl der Opfer zu erhöhen. In diesem Zusammenhang ist eine Vergeltung durch die jemenitischen Schiiten, auch wenn sie bedauerlich ist, Teil der Logik des Konflikts, der, wie von den saudischen Generälen, die über die Massaker an Zivilisten befragt wurden, anerkannt wurde, dass sie Teil der Kollateraleffekte eines Krieges waren. Saudi-Arabien sollte sich also nicht zu sehr über einen Vergeltungsschlag wundern. Diejenigen, die saudische Werke getroffen haben, haben den Konflikt jedoch auf wirtschaftliche Ziele ausgeweitet, die auch symbolisch sind. Saudi-Arabien hat all seinen Reichtum für die Produktion und den Export von Rohöl aufgehäuft und um sein Hauptwerk zu treffen, muss man sagen, dass die Streitkräfte des Landes zu schwach sind, um die saudische Wirtschaft zu verteidigen, das heißt, der Angriff hat einem Land gezeigt, dass Es ist eine Wirtschaftsmacht, deren militärische Stärke eine kleine Sache ist. Schließlich scheint der Krieg gegen die jemenitischen Rebellen noch nicht zu Ende zu sein, obwohl die Schiiten im Jemen keine reguläre Streitmacht sind. Von hier geht es direkt zu denen, die die Verantwortung für den Angriff übernommen haben: Die schiitischen Rebellen des Jemen, die sich auch bei traditionellen Militäreinsätzen als feindseliger Feind erwiesen haben, scheinen als Organisatoren einer Handlung dieser Größenordnung nicht zuverlässig zu sein, zumindest nicht allein . Wenn der Iran, der der Hauptverdächtige ist, lediglich das Material und die Ratschläge zur Umsetzung bereitstellt und die praktische Umsetzung den Schiiten im Jemen überlässt, ist dies nicht relevant. Eine Implikation aus Teheran gefährdet wirklich den Frieden in der gesamten Region mit Konsequenzen für den gesamten Planeten. Saudi-Arabien hat jedoch, wie wir gesehen haben, keine militärischen Kapazitäten, um Teheran zu bekämpfen, und hier spielen die Vereinigten Staaten in der unbequemen Position eines großen Verbündeten von Riad eine Rolle. Für Washington ist es die zentrale Frage, sich Verbündeten und sogar Feinden gegenüber nicht schwach zu zeigen. Jeder Akt der Vergeltung gegen den Iran, selbst eine isolierte und demonstrative Episode, könnte einen größeren Konflikt auslösen, insbesondere unter Missachtung der derzeit schwierigen Beziehungen zwischen den beiden Staaten. Trotz arabischen und sogar israelischen Drucks scheint die amerikanische Haltung auf Vorsicht zu beruhen. Washingtons Taktik könnte zunächst darin bestehen, die Sanktionen gegen das iranische Land zu verschärfen und dann mit diplomatischem Druck von mehreren Ländern fortzufahren, um zu einer Art Definition der Situation zu gelangen. Das Weiße Haus hat indirekte Verantwortlichkeiten, wenn der Iran hinter dem Angriff steckt: Wirtschaftssanktionen haben insbesondere die iranischen Rohölexporte getroffen und eine schwere wirtschaftliche Rezession ausgelöst; Wenn wir all diese Faktoren berücksichtigen, erhält der Angriff auf das saudische Ölzentrum einen weiteren symbolischen Wert. Die angespannte Situation wurde vom gegenwärtigen amerikanischen Präsidenten geschaffen, der hinter den Forderungen Saudi-Arabiens und Israels das vom vorherigen amerikanischen Präsidenten unterzeichnete Abkommen über die iranische Atomfrage nicht einhielt. Die Bedingungen eines Konflikts sind allgegenwärtig, jedoch sind sich alle beteiligten Parteien der Konsequenzen bewusst: Der Iran wird, wenn er nicht angegriffen wird, andere Gewaltdemonstrationen vermeiden und versuchen, die entstandene Instabilität zu seinem Vorteil auszunutzen schaffen, um zumindest geringfügige Strafen zu erhalten; Die Vereinigten Staaten haben sicherlich kein Interesse daran, sich auf einen weiteren Konflikt einzulassen, aber in weitaus geringerem Ausmaß als diejenigen, mit denen sie bisher zu tun hatten und die einen diplomatischen Ausweg suchen werden. Es bleibt Saudi-Arabien, dessen Image und internationales Ansehen sich erheblich verschlechtert, und dies könnte zu Ressentiments gegen die Vereinigten Staaten führen, die auf einen Verbündeten achten müssen, der den islamischen Fundamentalismus wiederholt unterstützt und ihn für seine eigenen Zwecke einsetzt.

Existe-t-il un danger de conflit mondial au Moyen-Orient?

Après le bombardement de puits de pétrole en Arabie saoudite, existe-t-il un risque de conflit? Les Saoudiens ont défini ce qui s'est passé comme un acte de guerre et, en réalité, c'est exactement ce qu'il semble, même en dehors de considérations géopolitiques. D'autre part, l'Arabie saoudite est vraiment un pays en guerre, au Yémen, contre les rebelles de religion chiite, pour éviter une avancée de l'Iran à ses propres frontières. Riyad a également mené violemment ce conflit contre des civils, créant ainsi une situation humanitaire très grave dans laquelle, après le démantèlement des armes, les conditions sanitaires et hygiéniques créées par le conflit ont contribué à accroître le nombre de victimes. Dans ce contexte, les représailles des chiites yéménites, bien que déplorables, s'inscrivent dans la logique du conflit qui, comme l'ont reconnu les généraux saoudiens interrogés au sujet des massacres de civils, a répondu qu'ils faisaient partie des effets collatéraux d'une guerre. L'Arabie saoudite ne devrait donc pas être trop surprise par un acte de représailles. Cependant, ceux qui ont frappé des usines saoudiennes ont élargi le conflit aux objectifs économiques, qui sont aussi symboliques. L’Arabie saoudite a accumulé toute sa richesse en matière de production et d’exportation de pétrole brut. Pour toucher son usine principale, c’est dire que les forces armées du pays sont trop faibles pour défendre l’économie saoudienne, c’est-à-dire que l’attaque a montré c'est une puissance économique dont la force militaire est une petite chose. Après tout, la guerre contre les rebelles yéménites semble très loin de la fin, bien que les chiites du Yémen ne soient pas une force régulière. Cela concerne directement ceux qui ont revendiqué la responsabilité de l'attaque: les rebelles chiites du Yémen, qui se sont également révélés être un ennemi hostile lors d'opérations militaires traditionnelles, ne semblent pas pouvoir compter sur l'organisation d'un acte de cette ampleur, du moins pas le seul. . Si l'Iran, qui est le principal suspect, se contente de fournir le matériel et les conseils pour le mettre en pratique, laissant la mise en œuvre pratique aux chiites du Yémen, ce n'est pas pertinent. Une implication de Téhéran met vraiment la paix dans toute la région en danger, avec des conséquences pour la planète entière. Comme nous l’avons vu, l’Arabie saoudite n’a pas la capacité militaire de faire face à Téhéran et c’est ici que les États-Unis entrent en jeu, dans la position inconfortable d’un allié majeur de Riyad. Pour Washington, la question centrale est de ne pas paraître faible face à ses alliés et même face à ses ennemis. Tout acte de représailles contre l’Iran, même un épisode isolé et démonstratif, pourrait déclencher un conflit plus vaste, en particulier au mépris des relations difficiles qui existent actuellement entre les deux États. Malgré les pressions arabes et même israéliennes, l'attitude américaine semble reposer sur la prudence. La tactique de Washington pourrait d’abord être de resserrer les sanctions contre le pays iranien, puis de procéder à des pressions diplomatiques de plusieurs pays pour parvenir à une sorte de définition de la situation. La Maison Blanche a des responsabilités indirectes si l'Iran était derrière l'attaque: les sanctions économiques ont particulièrement affecté les exportations iraniennes de pétrole brut et provoqué une grave récession économique; Si l’on considère tous ces facteurs, l’attaque du centre pétrolier saoudien revêt une valeur symbolique supplémentaire. La situation tendue a été créée par le président américain actuel, qui derrière les demandes de l’Arabie saoudite et d’Israël, n’a pas voulu croire à l’accord signé par le précédent président américain sur le dossier nucléaire iranien. Les conditions d'un conflit sont toutes réunies, mais toutes les parties impliquées sont conscientes des conséquences: pour le moment, l'Iran, s'il n'est pas attaqué, évitera d'autres démonstrations de force, en essayant de jouer à son avantage de l'instabilité qui s'est produite. créer pour obtenir, au moins, des pénalités mineures; les États-Unis n'ont certes aucun intérêt à être engagés dans un nouveau conflit, mais d'une ampleur bien pire que ceux dans lesquels ils se sont engagés jusqu'à présent et chercheront une issue diplomatique. L’Arabie saoudite reste, dont l’image et le prestige international sont considérablement dégradés, ce qui pourrait provoquer un ressentiment à l’encontre des États-Unis, qui doivent prêter attention à un allié qui a maintes fois soutenu le fondamentalisme islamique, en venant à l’utiliser pour ses propres fins.

Existe o perigo de conflito global no Oriente Médio?

Após o bombardeio de poços de petróleo na Arábia Saudita, existe o risco de conflito? Os sauditas definiram o que aconteceu como um ato de guerra e, na realidade, é exatamente o que parece, mesmo fora das considerações geopolíticas. Por outro lado, a Arábia Saudita é realmente um país em guerra, no Iêmen, contra os rebeldes xiitas, para evitar o avanço do Irã para suas próprias fronteiras. Riad também liderou violentamente esse conflito contra civis, criando uma situação humanitária muito séria, onde, após as armas, as condições sanitárias e de higiene causadas pelo conflito contribuíram para aumentar o número de vítimas. Nesse contexto, uma retaliação dos xiitas iemenitas, mesmo que deplorável, faz parte da lógica do conflito, que, como reconhecido pelos generais sauditas questionados sobre os massacres de civis, respondeu que eles eram parte dos efeitos colaterais de uma guerra. Portanto, a Arábia Saudita não deve se surpreender muito com um ato de retaliação. No entanto, aqueles que atingem fábricas sauditas ampliaram o conflito para objetivos econômicos, que também são simbólicos. A Arábia Saudita acumulou toda a sua riqueza na produção e exportação de petróleo e, para atingir sua principal fábrica, é dizer que as forças armadas do país são fracas demais para defender a economia saudita, ou seja, o ataque mostrou a um país que é uma potência econômica cuja força militar é pequena. Afinal, a guerra contra os rebeldes iemenitas parece muito distante do fim, embora os xiitas do Iêmen não sejam uma força regular. A partir daqui, chega diretamente àqueles que assumiram a responsabilidade pelo ataque: os rebeldes xiitas do Iêmen, que também se mostraram um inimigo hostil nas operações militares tradicionais, não parecem confiáveis ​​como organizadores de um ato dessa magnitude, pelo menos não sozinhos. . Se o Irã, principal suspeito, apenas fornecer o material e os conselhos para colocá-lo em prática, deixando a implementação prática para os xiitas no Iêmen, isso não é relevante. Uma implicação de Teerã realmente coloca em risco a paz em toda a região, com consequências para todo o planeta. A Arábia Saudita, no entanto, como vimos, não tem capacidade militar para enfrentar Teerã e aqui entram os Estados Unidos, na posição desconfortável de um grande aliado de Riad. Para Washington, a questão central é não parecer fraca diante dos aliados e mesmo diante dos inimigos. Qualquer ato de retaliação contra o Irã, mesmo um episódio isolado e demonstrativo, poderia desencadear um conflito mais amplo, especialmente em desconsideração das atuais relações difíceis entre os dois estados. Apesar da pressão árabe e até israelense, a atitude americana parece basear-se em prudência. A tática de Washington pode ser inicialmente reforçar as sanções contra o país iraniano, prosseguir com a pressão diplomática de vários países para chegar a uma espécie de definição da situação. A Casa Branca tem responsabilidades indiretas se o Irã estiver por trás do ataque: as sanções econômicas atingiram especialmente as exportações iranianas de petróleo e causaram uma recessão econômica severa; se considerarmos todos esses fatores, o ataque ao centro de petróleo saudita assume um valor simbólico adicional. A situação tensa foi criada pelo atual presidente americano, que por trás dos pedidos da Arábia Saudita e Israel, não manteve fé no acordo assinado pelo ex-presidente americano, sobre a questão nuclear iraniana. As condições de um conflito estão todas lá, no entanto, todas as partes envolvidas estão cientes das consequências: por enquanto, o Irã, se não for atacado, evitará outras demonstrações de força, tentando tirar vantagem da instabilidade que ocorreu. criar para obter, pelo menos, penalidades menores; os Estados Unidos certamente não têm interesse em se comprometer com um conflito adicional, mas de magnitude muito pior do que aqueles em que estiveram envolvidos até agora e buscarão uma saída diplomática. A Arábia Saudita permanece, cuja imagem e prestígio internacional pioram significativamente e isso pode provocar ressentimento contra os Estados Unidos, que devem prestar atenção a um aliado que apoiou repetidamente o fundamentalismo islâmico, passando a usá-lo para seus próprios fins.