ウクライナ侵略とロシア領土への侵略の両方に対するモスクワの報復は、キエフの15の州に対する空爆の形を取った。少なくとも17機のロシアの戦略爆撃機が空攻に関与し、ウクライナのエネルギーインフラを攻撃することが主な目的だった。使用されたロシアのミサイルは推定200発を超え、リヴィウ、ドニプロ、チェルカッシ、キエフの都市とその周辺地域を標的とした。エネルギーインフラに引き起こされる新たな被害は、冬季を見据えた戦略的目標としてターゲットにされているこの分野のすでに困難な状況にさらに加えられる必要がある。一部のアナリストによれば、爆撃の大規模な増加はロシア領土への侵攻への対応であり、ロシア政府の行動もそのように読み取れる部分もあるが、この戦略がロシア領土への侵攻への対応であることは間違いない。ウクライナのエネルギーシステムを攻撃し、国民の状況をさらに困難にする。いずれにせよ、ウクライナ大統領が指摘したように、西側兵器に対する制限を撤廃する必要性はもはや先送りすることはできない。ロシア軍が領土内で使用している補給廠を攻撃することなしには適切な防御を組織することはできず、補給線を遮断することが最善の予防的防御であると思われる。とりわけフランス、英国、米国に宛てたウクライナの要請は、現時点で変化をもたらすことができる唯一の要素であるロシア空軍の優位性によって正当化されているように見える。ウクライナ上空へのロシア軍の侵攻を阻止し、ウクライナ領土を占領するロシア軍に上空からの保護を提供することは、紛争勢力を覆し、キエフにとって全く異なる方法で可能な交渉に到達できる解決策となるだろう。領土侵攻に対するロシアの反応と定義されているものを分析するなら、最初に問うべき正当な疑問は、なぜモスクワがクルスク州で占領中のウクライナ軍に対して同等の行動を実行し、領土を取り戻すという選択をしなかったのかということである。地上では、ロシアの徴集兵に対する経験豊富なウクライナ軍兵士の進軍は極めて容易で、28の人口密集地を含む約1,000平方キロメートルの征服につながり、ロシア当局は約12万1,000人の民間人を避難させた。しかし、第二次世界大戦以来起こったことのない状況であったが、クレムリンの選択は、失地を取り戻すためにより有能な兵士を移動させることなく、ドンバスの陣地を維持することであり、また、ウクライナで直接爆撃を行うという選択には、いくつかの疑問が生じた。問題は、ロシア軍の動員能力、つまり選抜され訓練を受けた兵士の動員能力に関するものであり、その動員能力は限界に達していると思われるが、同様に爆撃用のミサイルや爆弾の備蓄についても、どれを除外するかの選択を迫られていた。クルスク州の占領地。もし我々が交渉に到達するチャンスを得たいのであれば、西側にとっての機会を利用する必要があるようであり、これは軍事物資、特に対空分野での物資の増加と制限の終了によってのみ可能である。モスクワ領土に対する西側兵器の使用。西側政府と議会の両方の間で通過しなければならないのは、ウクライナ領土内でのみ使用される西側兵器の使用はその効果を半減させ、無益な経済的浪費になるという考えである。防衛戦争の概念は、たとえ他の主権の下にあるとしても、防衛されるべき領域に対してのみ軍備を使用することを意味するのではなく、攻撃が行われる領域に対しても軍備を使用することを意味する。現時点では、西側の規則はモスクワに有利であり、覚えておかなければならないが、ロシアは国際法のあらゆる規則を破っている存在であり、だからこそ、できるだけ早く阻止し、できるだけ無害なやり方にしなければならない。クルスク州でのウクライナ軍の機動が示すように、クレムリン軍は疲労し脆弱であるように見え、主に制空権に依存している。この優位性を打ち破ることにより、ロシアは撤退して交渉のテーブルに着かなければならないが、決して強い立場からではない。西側諸国にはウクライナを支援する義務がある。それが自国にとって最善の支援だからだ。
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
Cerca nel blog
mercoledì 28 agosto 2024
القصف الروسي يكشف ضعف موسكو
اتخذ رد موسكو، سواء على الغزو الأوكراني أو على غزو الأراضي الروسية، شكل غارات جوية على خمسة عشر مقاطعة في كييف. وشارك ما لا يقل عن 17 قاذفة استراتيجية روسية في الهجوم الجوي، الذي كان الهدف الرئيسي منه هو ضرب البنية التحتية للطاقة في أوكرانيا. وتتجاوز تقديرات الصواريخ الروسية المستخدمة مائتي صاروخ استهدفت مدن لفيف ودنيبرو وتشيركاسي وكييف ومحيطها. ويجب أن تضاف الأضرار الجديدة التي لحقت بالبنية التحتية للطاقة إلى الوضع الصعب بالفعل في هذا القطاع، والذي تم استهدافه كهدف استراتيجي في ظل فصل الشتاء. وفقًا لبعض المحللين، فإن الزيادة واسعة النطاق في القصف ستكون ردًا على غزو الأراضي الروسية، ومن الممكن أيضًا قراءة تصرفات موسكو بهذه الطريقة، ولكن ليس هناك شك في أن الإستراتيجية جزء من الرغبة في ضرب نظام الطاقة الأوكراني لجعل وضع السكان أكثر صعوبة؛ على أية حال، وكما أشار الرئيس الأوكراني، فإن الحاجة إلى إزالة القيود المفروضة على الأسلحة الغربية لم يعد من الممكن تأجيلها. ولا يمكن تنظيم دفاع مناسب دون ضرب مستودعات الإمداد التي يستخدمها الجيش الروسي على أراضيه، ويبدو أن قطع خطوط الإمداد هو أفضل دفاع وقائي. ويبدو أن الطلب الأوكراني، الموجه في المقام الأول إلى فرنسا والمملكة المتحدة والولايات المتحدة، مبرر برجحان القوة الجوية الروسية، التي تشكل في الوقت الحالي العامل الوحيد القادر على إحداث الفارق. إن وقف توغلات موسكو في الأجواء الأوكرانية والحماية المقدمة من أعلى للقوات الروسية التي تحتل الأراضي الأوكرانية من شأنه أن يمثل الحل القادر على قلب قوى الصراع والتوصل إلى مفاوضات محتملة بطريقة مختلفة تمامًا بالنسبة لكييف. إذا قمنا بتحليل ما تم تعريفه على أنه الرد الروسي على غزو أراضيها، فإن السؤال المشروع الأول الذي يجب طرحه هو لماذا لم تختر موسكو القيام بعمل مماثل في مقاطعة كورسك ضد القوات الأوكرانية المحتلة واستعادة أراضيها. على الأرض، كان تقدم الجنود الأوكرانيين الأكثر خبرة، ضد المجندين الروس، سهلاً للغاية وأدى إلى احتلال ما يقرب من ألف كيلومتر مربع، مع ثمانية وعشرين مركزًا سكانيًا، مما أجبر السلطات الروسية على إجلاء ما يقرب من 121 ألف مدني. لكن الوضع لم يحدث منذ الحرب العالمية الثانية، حيث كان اختيار الكرملين هو الحفاظ على مواقعه في دونباس، دون تحريك المزيد من الجنود المؤهلين لاستعادة الأرض المفقودة، كما أن اختيار استخدام القصف المباشر في أوكرانيا يثير بعض الشكوك. تتعلق الأسئلة بقدرة التعبئة لدى القوات الروسية، أي الجنود المختارين والمدربين، والتي يبدو أنها وصلت إلى نهاية توافرها، فضلاً عن ترسانات الصواريخ والقنابل اللازمة للقصف، والتي كان لا بد من الاختيار بشأنها. الأراضي المحتلة في مقاطعة كورسك. يبدو أن الفرصة المتاحة للغرب، إذا أردنا الحصول على أي فرصة للتوصل إلى المفاوضات، يجب استغلالها، ولا يمكن القيام بذلك إلا من خلال زيادة الإمدادات العسكرية، خاصة في قطاع المضادات الجوية، وإنهاء القيود. استخدام الأسلحة الغربية ضد أراضي موسكو. وما يجب أن يتم تمريره، سواء بين الحكومات والبرلمانات الغربية، هو فكرة مفادها أن استخدام الأسلحة الغربية المستخدمة فقط على الأراضي الأوكرانية يؤدي إلى خفض فعاليتها إلى النصف، ويصبح أيضاً هدراً اقتصادياً عديم الفائدة. إن مفهوم الحرب الدفاعية لا يعني ضمناً استخدام الأسلحة على الأراضي التي سيتم الدفاع عنها فحسب، بل أيضاً على الأراضي التي تأتي منها الهجمات، حتى لو كانت تحت سيادة أخرى. في الوقت الحالي، تفضل القواعد الغربية موسكو، التي يجب أن نتذكر أنها الكيان الذي انتهك كل قاعدة من قواعد القانون الدولي، ولهذا السبب بالذات يجب إيقافها في أقرب وقت ممكن، وجعلها غير مؤذية قدر الإمكان. وتبدو قوات الكرملين متعبة وضعيفة، كما أظهرت المناورة الأوكرانية في مقاطعة كورسك، وتعتمد بشكل أساسي على الهيمنة الجوية؛ ومن خلال كسر هذه الهيمنة، سيتعين على روسيا التراجع والجلوس إلى طاولة المفاوضات، وبالتأكيد ليس من موقع قوة. ومن واجب الغرب أن يساعد أوكرانيا، لأن ذلك هو أفضل مساعدة له.
mercoledì 7 agosto 2024
La nomina del nuovo capo di Hamas preclude la pace
La decisione, probabilmente israeliana, di eliminare il capo politico e negoziatore di Hamas, Ismail Haniye, ha provocato la sua sostituzione con Yahya Sinuar, capo militare dell’organizzazione e considerato come colui che ideato l’attacco del 7 ottobre e, per questo, maggiore ricercato dalle forze di difesa di Israele. Questo avvicendamento forzato al vertice di Hamas rappresenta una risposta verso Israele, che appare una sorta di ritorsione contro Tel Aviv e che vuole significare un netto allontanamento dalle trattative di pace ed una virata verso un atteggiamento ancora più violento nella guerra di Gaza in particolare, e comunque contro ogni possibile intesa con gli israeliani. Si allontana anche la soluzione dei due stati, perché entrambi i capi delle due parti, Sinuar e Netanyahu, ora sono concordi proprio sulla contrarietà a questa soluzione. La scelta di Hamas, può essere compresa ma non condivisa, perché significherà una pressione ancora maggiore sulla popolazione civile di Gaza, con maggiori vittime e situazioni igienico sanitarie, se possibile, ancora peggiori di quelle attuali. L’impressione è che Hamas sia caduta nella trappola israeliana, il cui intento dell’eliminazione di Haniye era proprio quello di sostituirlo con Sinuar. La svolta, con la nomina del capo militare di Hamas incrementerà ancora di più l’attività repressiva di Israele, sia a Gaza, che in Cisgiordania, dando una sorta di giustificazione ad azioni preventive militari, che potrebbero permettere la conquista si altre zone; appare chiaro, infatti, come la strage del 7 ottobre, sia ormai un pretesto per cancellare la popolazione palestinese dai territori ancora abitati dall’etnia araba, che il governo israeliano, composto in maniera consistente dai nazionalisti religiosi, considera di propria pertinenza. Netanyahu, del resto, ha sempre condotto una tattica attendista, fin dal suo insediamento del primo governo, avvenuto nel 1996. Il premier israeliano ha più volte illuso la politica internazionale, circa la possibilità della creazione di uno stato palestinese; in realtà non ha mai previsto realmente una tale soluzione ed ora approfitta di una errata, dal punto di vista politico, e soprattutto scellerata azione da parte di Hamas, per mettere la parola fine al progetto dei due stati, malgrado sia la soluzione più caldeggiata dalla maggior parte dei paesi del mondo. Questo può succedere perché gli USA continuano ad appoggiare Tel Aviv, anche malgrado i massacri insensati di civili a Gaza e l’attività portata avanti sul territorio di altri stati in dispregio di ogni norma del diritto internazionale e l’Europa, aldilà delle dichiarazioni di facciata, non ha mai intrapreso una politica concreta di sanzioni, per fermare la violenza. I palestinesi non possono certo contare sull’appoggio, portato in maniera inutile di Iran, Hezbollah ed Houti, che, anzi, rischiano con il loro atteggiamento, di provocare vittime collaterali delle loro iniziative. Gli stati arabi sunniti mantengono un atteggiamento distaccato, a causa del loro interesse di nuove relazioni con Tel Aviv e non si spingono aldilà di mere dichiarazioni di prammatica. La vicenda della nomina del capo militare di Hamas a capo politico della stessa organizzazione, peraltro, non è il risultato di una consultazione elettorale, ma di una manovra autoreferenziale della quale i palestinesi sono vittime e che, per loro e forse per il mondo, non appare una scelta conveniente. Deve essere anche valutata la possibilità di una influenza, su questa decisione, da parte degli attori più avversi ad Israele e ritenuti da Hamas, ormai gli unici alleati affidabili: Iran ed Hezbollah; nel quadro di una ritorsione, orami ritenuta sempre più probabile per l’assassinio del capo politico di Hamas, avvenuta a Teheran, la nomina del capo militare a capo politico di Hamas, potrebbe significare un maggiore impegno per Israele a Gaza, coincidente proprio con l’avvio della ritorsione iraniana. Gli israeliani potrebbero essere impegnati in modo più consistente a Gaza, attaccati a Nord da Hezbollah e colpiti dagli iraniani e dall’azioni dei droni degli Houti. Il risultato sarebbe una pressione militare, forse mai vista, a cui Israele sarebbe sottoposto. Nel mentre i mezzi navali americani sono già schierati ed il pericolo di un allargamento del conflitto è sempre più probabile e la nomina di Hamas non fa che aumentare ancora di più questa possibilità.
Appointment of new Hamas chief precludes peace
The decision, probably Israeli, to eliminate the political leader and negotiator of Hamas, Ismail Haniye, has led to his replacement with Yahya Sinuar, the military leader of the organization and considered the one who planned the attack of October 7 and, for this reason, the most wanted by the Israel Defense Forces. This forced changeover at the top of Hamas represents a response towards Israel, which appears to be a sort of retaliation against Tel Aviv and which is meant to signify a clear distancing from the peace negotiations and a shift towards an even more violent attitude in the war in Gaza in particular, and in any case against any possible agreement with the Israelis. The two-state solution is also moving away, because both leaders of the two parties, Sinuar and Netanyahu, now agree precisely on their opposition to this solution. Hamas's choice can be understood but not shared, because it will mean even greater pressure on the civilian population of Gaza, with more victims and health and hygiene situations, if possible, even worse than the current ones. The impression is that Hamas has fallen into the Israeli trap, whose intention in eliminating Haniye was precisely to replace him with Sinuar. The turning point, with the appointment of the military head of Hamas, will further increase Israel's repressive activity, both in Gaza and in the West Bank, giving a sort of justification to preventive military actions, which could allow the conquest of other areas; it appears clear, in fact, that the massacre of October 7 is now a pretext to wipe out the Palestinian population from the territories still inhabited by the Arab ethnic group, which the Israeli government, composed largely of religious nationalists, considers its own. Netanyahu, after all, has always followed a wait-and-see tactic, since the installation of the first government, which took place in 1996. The Israeli prime minister has repeatedly deceived international politics, about the possibility of the creation of a Palestinian state; in reality it never really envisaged such a solution and now it is taking advantage of a politically incorrect and above all reckless action by Hamas to put an end to the two-state project, despite it being the solution most supported by most countries in the world. This can happen because the US continues to support Tel Aviv, even despite the senseless massacres of civilians in Gaza and the activity carried out on the territory of other states in contempt of every rule of international law and Europe, beyond the facade declarations, has never undertaken a concrete policy of sanctions to stop the violence. The Palestinians certainly cannot count on the uselessly brought support of Iran, Hezbollah and Houthi, who, indeed, risk with their attitude, to cause collateral victims of their initiatives. The Sunni Arab states maintain a detached attitude, due to their interest in new relations with Tel Aviv and do not go beyond mere pragmatic declarations. The matter of the appointment of the military leader of Hamas as political leader of the same organization, moreover, is not the result of an electoral consultation, but of a self-referential maneuver of which the Palestinians are victims and which, for them and perhaps for the world, does not appear to be a convenient choice. The possibility of an influence on this decision by the actors most hostile to Israel and considered by Hamas to be the only reliable allies: Iran and Hezbollah must also be evaluated; in the context of a retaliation, now considered increasingly probable for the assassination of the political leader of Hamas, which took place in Tehran, the appointment of the military leader as political leader of Hamas could mean a greater commitment for Israel in Gaza, coinciding precisely with the start of the Iranian retaliation. The Israelis could be more consistently engaged in Gaza, attacked in the North by Hezbollah and hit by the Iranians and by the actions of the Houthi drones. The result would be a military pressure, perhaps never seen before, to which Israel would be subjected. Meanwhile, American naval assets are already deployed and the danger of a widening of the conflict is increasingly likely and the nomination of Hamas only increases this possibility even more.
El nombramiento del nuevo jefe de Hamás impide la paz
La decisión, probablemente israelí, de eliminar al jefe político y negociador de Hamás, Ismail Haniye, se tradujo en su sustitución por Yahya Sinuar, jefe militar de la organización y considerado autor intelectual del atentado del 7 de octubre y, por ello, mayor buscado por las Fuerzas de Defensa de Israel. Este cambio forzado en la cúpula de Hamás representa una respuesta hacia Israel, que parece una especie de represalia contra Tel Aviv y que significa un claro alejamiento de las negociaciones de paz y un giro hacia una actitud aún más violenta en la guerra de Gaza en particular. , y en todo caso contra cualquier posible acuerdo con los israelíes. La solución de dos Estados también está retrocediendo, porque ambos líderes de los dos partidos, Sinuar y Netanyahu, ahora coinciden precisamente en su oposición a esta solución. La elección de Hamás puede entenderse pero no compartirse, porque supondrá una presión aún mayor sobre la población civil de Gaza, con mayores víctimas y situaciones sanitarias e higiénicas, si cabe, incluso peores que las actuales. La impresión es que Hamás ha caído en la trampa israelí, cuya intención al eliminar a Haniye era precisamente sustituirlo por Sinuar. El punto de inflexión, con el nombramiento del líder militar de Hamás, aumentará aún más la actividad represiva de Israel, tanto en Gaza como en Cisjordania, dando una especie de justificación a acciones militares preventivas, que podrían permitir la conquista de otras zonas; De hecho, parece claro que la masacre del 7 de octubre es ahora un pretexto para borrar a la población palestina de los territorios todavía habitados por árabes étnicos, que el gobierno israelí, compuesto en gran parte por nacionalistas religiosos, considera propios. Netanyahu, además, siempre ha seguido una táctica de esperar y ver qué pasa desde el establecimiento de su primer gobierno en 1996. El primer ministro israelí ha engañado repetidamente a la política internacional respecto de la posibilidad de la creación de un Estado palestino; en realidad, nunca previó tal solución y ahora se aprovecha de una acción equivocada, desde el punto de vista político y, sobre todo, perversa por parte de Hamás, para poner fin al proyecto de dos Estados, a pesar de que siendo la solución más apoyada por la mayoría de países del mundo. Esto puede suceder porque Estados Unidos sigue apoyando a Tel Aviv, incluso a pesar de las masacres sin sentido de civiles en Gaza y las actividades llevadas a cabo en el territorio de otros estados desafiando todas las normas del derecho internacional y Europa, más allá de las declaraciones superficiales, nunca ha ha emprendido una política concreta de sanciones para detener la violencia. Los palestinos ciertamente no pueden contar con el apoyo inútil de Irán, Hezbolá y los hutíes, quienes, por el contrario, corren el riesgo de provocar con su actitud víctimas colaterales a sus iniciativas. Los Estados árabes suníes mantienen una actitud distante, debido a su interés en nuevas relaciones con Tel Aviv y no van más allá de meras declaraciones de práctica. El asunto del nombramiento del líder militar de Hamás como líder político de la misma organización, por otra parte, no es el resultado de una consulta electoral, sino de una maniobra autorreferencial de la que los palestinos son víctimas y que, para ellos y tal vez para el mundo, no parece ser una opción conveniente. También debe evaluarse la posibilidad de influencia en esta decisión por parte de los actores más adversos a Israel y considerados por Hamás como los únicos aliados fiables: Irán y Hezbolá; En el contexto de una represalia, ahora considerada cada vez más probable, por el asesinato del líder político de Hamás ocurrido en Teherán, el nombramiento del jefe militar como líder político de Hamás podría significar un mayor compromiso de Israel en Gaza, coincidiendo precisamente con el inicio de las represalias iraníes. Los israelíes podrían estar más involucrados en Gaza, atacados en el norte por Hezbollah y afectados por la acción de los drones iraníes y hutíes. El resultado sería una presión militar, tal vez nunca antes vista, a la que Israel se vería sometido. Mientras tanto, los medios navales estadounidenses ya están desplegados y el peligro de que el conflicto se amplíe es cada vez más probable y la designación de Hamás no hace más que aumentar aún más esta posibilidad.
Die Ernennung des neuen Hamas-Chefs verhindert Frieden
Die wahrscheinlich israelische Entscheidung, den politischen Chef und Unterhändler der Hamas, Ismail Haniye, zu eliminieren, führte dazu, dass er durch Yahya Sinuar ersetzt wurde, den militärischen Chef der Organisation, der als derjenige gilt, der den Anschlag vom 7. Oktober geplant hat und aus diesem Grund Major gesucht von den israelischen Streitkräften. Dieser erzwungene Wechsel an der Spitze der Hamas stellt eine Reaktion gegenüber Israel dar, die wie eine Art Vergeltung gegen Tel Aviv erscheint und eine klare Abkehr von den Friedensverhandlungen und eine Hinwendung zu einer noch gewalttätigeren Haltung insbesondere im Gaza-Krieg bedeutet , und auf jeden Fall gegen jede mögliche Vereinbarung mit den Israelis. Auch die Zwei-Staaten-Lösung rückt in den Hintergrund, weil sich die beiden Führer der beiden Parteien, Sinuar und Netanyahu, inzwischen genau über ihre Ablehnung dieser Lösung einig sind. Die Entscheidung der Hamas kann verstanden, aber nicht geteilt werden, da sie einen noch größeren Druck auf die Zivilbevölkerung im Gazastreifen mit sich bringen wird, mit noch mehr Opfern und einer Gesundheits- und Hygienesituation, die, wenn möglich, noch schlimmer als die derzeitige sein wird. Es entsteht der Eindruck, dass die Hamas in die israelische Falle getappt ist, deren Absicht mit der Eliminierung von Haniye genau darin bestand, ihn durch Sinuar zu ersetzen. Der Wendepunkt mit der Ernennung des militärischen Führers der Hamas wird die repressive Aktivität Israels sowohl im Gazastreifen als auch im Westjordanland weiter verstärken und eine Art Rechtfertigung für präventive Militäraktionen darstellen, die die Eroberung anderer Gebiete ermöglichen könnten; Es scheint in der Tat klar zu sein, dass das Massaker vom 7. Oktober nun ein Vorwand ist, um die palästinensische Bevölkerung aus den Gebieten zu vertreiben, in denen noch immer ethnische Araber leben, die die israelische Regierung, die größtenteils aus religiösen Nationalisten besteht, als ihre eigenen betrachtet. Darüber hinaus hat Netanyahu seit der Bildung seiner ersten Regierung im Jahr 1996 stets eine abwartende Taktik verfolgt. Der israelische Premierminister hat die internationale Politik wiederholt über die Möglichkeit der Schaffung eines palästinensischen Staates getäuscht; in Wirklichkeit hatte sie nie wirklich an eine solche Lösung gedacht und nutzt nun eine aus politischer Sicht falsche und vor allem böse Aktion der Hamas aus, um dem Zwei-Staaten-Projekt trotzdem ein Ende zu setzen Dies ist die Lösung, die von den meisten Ländern der Welt am meisten unterstützt wird. Dies kann passieren, weil die USA trotz der sinnlosen Massaker an Zivilisten in Gaza und der auf dem Territorium anderer Staaten unter Missachtung aller Normen des Völkerrechts durchgeführten Aktivitäten weiterhin Tel Aviv unterstützen und Europa, abgesehen von oberflächlichen Erklärungen, dies nie getan hat eine konkrete Sanktionspolitik ergriffen, um der Gewalt Einhalt zu gebieten. Die Palästinenser können sicherlich nicht auf die nutzlose Unterstützung des Iran, der Hisbollah und der Houthis zählen, die im Gegenteil mit ihrer Haltung Gefahr laufen, Kollektivopfer ihrer Initiativen zu machen. Die sunnitisch-arabischen Staaten bewahren aufgrund ihres Interesses an neuen Beziehungen zu Tel Aviv eine distanzierte Haltung und gehen nicht über bloße Praxiserklärungen hinaus. Die Angelegenheit der Ernennung des militärischen Führers der Hamas zum politischen Führer derselben Organisation ist darüber hinaus nicht das Ergebnis einer Wahlbefragung, sondern eines selbstbezogenen Manövers, dessen Opfer die Palästinenser sind und das für sie und vielleicht für die Welt scheint keine bequeme Wahl zu sein. Die Möglichkeit einer Einflussnahme auf diese Entscheidung durch die israelfeindlichsten Akteure, die von der Hamas als die einzigen verlässlichen Verbündeten angesehen werden, muss ebenfalls bewertet werden: Iran und Hisbollah; Im Zusammenhang mit einer Vergeltung, die nun als immer wahrscheinlicher für die Ermordung des politischen Führers der Hamas in Teheran gilt, könnte die Ernennung des Militärchefs zum politischen Führer der Hamas ein größeres Engagement für Israel in Gaza bedeuten, was genau zusammenfällt mit dem Beginn der iranischen Vergeltungsmaßnahmen. Die Israelis könnten stärker im Gazastreifen engagiert sein, im Norden von der Hisbollah angegriffen und von den Iranern und Huthi-Drohnenangriffen getroffen werden. Das Ergebnis wäre ein vielleicht noch nie dagewesener militärischer Druck, dem Israel ausgesetzt wäre. Mittlerweile sind amerikanische Marineeinheiten bereits im Einsatz und die Gefahr einer Ausweitung des Konflikts wird immer wahrscheinlicher, und die Nominierung der Hamas erhöht diese Möglichkeit nur noch mehr.
La nomination du nouveau chef du Hamas empêche la paix
La décision, probablement israélienne, d'éliminer le chef politique et négociateur du Hamas, Ismail Haniye, a abouti à son remplacement par Yahya Sinuar, chef militaire de l'organisation et considéré comme celui qui a orchestré l'attaque du 7 octobre et, pour cette raison, major recherché par les Forces de défense israéliennes. Ce changement forcé à la tête du Hamas représente une réponse à l'égard d'Israël, qui apparaît comme une sorte de représailles contre Tel-Aviv et qui signifie un abandon net des négociations de paix et un virage vers une attitude encore plus violente dans la guerre de Gaza en particulier. , et en tout cas contre tout accord éventuel avec les Israéliens. La solution à deux États recule également, car les deux dirigeants des deux partis, Sinuar et Netanyahu, s’accordent désormais précisément sur leur opposition à cette solution. Le choix du Hamas peut être compris mais pas partagé, car il entraînera une pression encore plus grande sur la population civile de Gaza, avec davantage de victimes et des situations sanitaires et hygiéniques, si possible, encore pires que celles actuelles. L’impression est que le Hamas est tombé dans le piège israélien, dont l’intention en éliminant Haniye était précisément de le remplacer par Sinuar. Le tournant, avec la nomination du chef militaire du Hamas, va encore accroître l'activité répressive d'Israël, tant à Gaza qu'en Cisjordanie, donnant une sorte de justification aux actions militaires préventives, qui pourraient permettre la conquête d'autres zones ; il apparaît en effet clair que le massacre du 7 octobre est désormais un prétexte pour effacer la population palestinienne des territoires encore habités par des Arabes de souche, que le gouvernement israélien, composé en grande partie de nationalistes religieux, considère comme les siens. Netanyahu a par ailleurs toujours suivi une tactique attentiste depuis la mise en place de son premier gouvernement en 1996. Le Premier ministre israélien a trompé à plusieurs reprises la politique internationale quant à la possibilité de la création d’un État palestinien ; en réalité, il n'a jamais vraiment envisagé une telle solution et profite désormais d'un tort, d'un point de vue politique, et surtout d'une mauvaise action du Hamas, pour mettre fin au projet de deux États, malgré étant la solution la plus soutenue par la plupart des pays du monde. Cela peut arriver parce que les États-Unis continuent de soutenir Tel-Aviv, même en dépit des massacres insensés de civils à Gaza et des activités menées sur le territoire d'autres États au mépris de toutes les normes du droit international et que l'Europe, au-delà des déclarations superficielles, n'a jamais a entrepris une politique concrète de sanctions pour mettre fin à la violence. Les Palestiniens ne peuvent certainement pas compter sur le soutien inutile de l’Iran, du Hezbollah et des Houthis, qui risquent au contraire de faire des victimes collatérales de leurs initiatives par leur attitude. Les États arabes sunnites maintiennent une attitude détachée, en raison de leur intérêt pour de nouvelles relations avec Tel-Aviv, et ne vont pas au-delà de simples déclarations de pratique. L'affaire de la nomination du chef militaire du Hamas comme chef politique de cette même organisation n'est d'ailleurs pas le résultat d'une consultation électorale, mais d'une manœuvre autoréférentielle dont les Palestiniens sont victimes et qui, pour eux et peut-être pour le monde entier, cela ne semble pas être un choix commode. Il faut également évaluer la possibilité d'une influence sur cette décision par les acteurs les plus hostiles à Israël et considérés par le Hamas comme les seuls alliés fiables : l'Iran et le Hezbollah ; dans le contexte de représailles, désormais considérées comme de plus en plus probables, à l'assassinat du leader politique du Hamas, survenu à Téhéran, la nomination du chef militaire comme leader politique du Hamas pourrait signifier un plus grand engagement d'Israël à Gaza, coïncidant précisément avec avec le début des représailles iraniennes. Les Israéliens pourraient être plus fortement engagés à Gaza, attaqués au nord par le Hezbollah et touchés par l’action des drones iraniens et houthis. Le résultat serait une pression militaire, peut-être jamais vue auparavant, à laquelle Israël serait soumis. Pendant ce temps, les moyens navals américains sont déjà déployés et le danger d’une extension du conflit est de plus en plus probable et la nomination du Hamas ne fait qu’augmenter encore davantage cette possibilité.