كجزء من ردود الفعل على سياسات التعريفات الجمركية الكارثية لترامب، تقترب الهند والبرازيل من تعزيز التجارة بين البلدين، بهدف تجاوز 17 مليار يورو بحلول عام 2030. ويُعتقد أن هذه التطورات نتيجة للمحادثات الهاتفية بين رئيس الوزراء الهندي ناريندرا مودي والرئيس البرازيلي لولا، مما ينطوي على اتصالات بين كبار المسؤولين في البلدين. تجدر الإشارة إلى أن الولايات المتحدة تعتزم فرض ضريبة بنسبة 50٪ على السلع الهندية الواردة بسبب مشتريات النفط الروسي، في حين أن الضريبة البالغة 30٪ التي يعتزم البيت الأبيض فرضها على البرازيل تنبع من لائحة الاتهام ضد الرئيس السابق بولسونارو. والوسيلة الملموسة للوصول إلى هدف التجارة البالغ 17 مليار يورو هي الموافقة على توسيع اتفاقية ميركوسور والهند، عقب الاتفاق بين البلدين في قمة البريكس الأخيرة في ريو دي جانيرو. التحدي الذي تواجهه البرازيل والهند هو التغلب على المرحلتين الاقتصاديتين الحالية والمقبلة، اللتين تُنذران بتحديات لجميع الاقتصادات العالمية، من خلال تنشيط التعددية وتعزيز التكامل، ليس فقط بين البلدين، بل أيضًا كنموذج يُنشر على أوسع نطاق ممكن في مواجهة انعزالية ترامب. يجب أن يُمثل هذا النهج البديل الذي يُتبع كمثال عالمي لمن يرغبون في معارضة ما يسعى ترامب إلى فرضه: هيمنة شعبوية، تحكم ببيانات مشوهة عمدًا، وغالبًا ما تكون كاذبة، لغرس أفكار في أذهان الرأي العام الذي يفتقر إلى الأدوات اللازمة لتمييز الأخبار المزيفة بشكل صحيح. لتحدي نموذج ترامب، يجب اتخاذ إجراءات متزامنة بطريقتين: من القاعدة الشعبية، من خلال رفع مستوى الوعي بين المواطنين من خلال عمل الهيئات الاجتماعية، ومن الأعلى إلى الأسفل، من خلال إجراءات ملموسة من جانب الحكومات والمؤسسات. في هذا السياق، يُعد تعزيز الديمقراطية أمرًا بالغ الأهمية، لأن حالات السلطة المركزية لا تُفضل دور المعارضة واحترام الأقليات. للأسف، تتزايد شعبية فكرة أن الأغلبية، التي تُشرّع بالتصويت الشعبي، قادرة على فرض آرائها دون قيد أو شرط، بغض النظر عمّن صوّتوا خلافًا لها. والخطوة التالية هي السعي للحد من عدم المساواة، كوسيلة لمكافحة الجهل الذي يُعزز تلاعب الناس. وبطبيعة الحال، يبدو تحقيق هذه الأهداف بالغ الصعوبة دون تنظيم الموارد التكنولوجية والتقنيات الجديدة، إذ تتمركز هذه الموارد بشكل متزايد في أيدي قلة من الأفراد، غالبًا ما يكونون قريبين جدًا من أصحاب السلطة. وقد فرضت إرادة ترامب المشوهة رسومًا جمركية على أكثر من تسعين دولة، مما شوّه التجارة الحرة وأضرّ بتنمية الاقتصادات العالمية. ويبدو إنشاء تحالف يضم جميع الدول التي يستهدفها ترامب مستحيلًا، نظرًا للصراعات العميقة بين العديد منها. وبالنسبة لآخرين، تكمن المشكلة في الخضوع للولايات المتحدة، الذي يُظنّ خطأً أنه فرصة لعلاقات مميزة. ومع ذلك، يبدو من الممكن إبرام اتفاقيات واسعة النطاق، مثل تلك المبرمة بين البرازيل والهند، القادرة على خلق أسواق بديلة للهيمنة الأمريكية. يجب أيضًا مراعاة أنه حتى الآن، لم تُشعر الولايات المتحدة بآثار هذه التعريفات الجمركية بعد، لكن التقديرات الرسمية تتوقع زيادة متوسطة في أسعار المواطنين الأمريكيين بسبب التعريفات الجمركية بنسبة تزيد عن 18٪، مما يخلق وضعًا لم نشهده منذ عام 1934. وهذا يهدد بالتسبب في مفاجآت سلبية للرئيس الأمريكي، حيث أن المتأثر سيكون على وجه التحديد شريحة من ناخبيه، وهي شريحة سيكون من المستحيل خداعها بدعاية كاذبة. سيكون هذا اختبارًا خطيرًا للغاية من حيث الموافقة والتقدير لسياسات البيت الأبيض الحالية وقد يمثل عامل زعزعة للاستقرار لا ينبغي الاستهانة به. سيسهل هذا نجاح أي سياسات تهدف إلى توحيد العديد من الدول ضد التعريفات الجمركية وطريقة ترامب الكاملة في فهم العالم. على العكس من ذلك، بدون وحدة الهدف على مستوى الدولة، سيكون مسار ترامب أكثر صعوبة في التنقل.
Blog di discussione su problemi di relazioni e politica internazionale; un osservatorio per capire la direzione del mondo. Blog for discussion on problems of relations and international politics; an observatory to understand the direction of the world.
Politica Internazionale
Cerca nel blog
venerdì 8 agosto 2025
mercoledì 6 agosto 2025
Su Gaza L'Unione Europea conferma la propria irrilevanza
Dopo una pessima figura per la trattiva con Trump sul tema dei dazi, peraltro non ancora formalmente chiusa ed anzi con nuove minacce da parte del presidente americano, l’Unione Europea colleziona una nuova performance negativa di fronte all’opinione pubblica internazionale. Nemmeno la più sfrenata arroganza da parte di Netanyahu, che ha affermato di volere occupare e quindi annettersi la striscia di Gaza, ha saputo produrre una reaziona, anche piccola, da parte di Bruxelles. Si è assistito alla debolezza contrapposte alla forza, la scelta di non reagire a tanta sfrontatezza. Eppure la pressione internazionale, con la volontà di riconoscere la Palestina come stato, poteva rappresentare una occasione per dimostrare una qualche vitalità, soprattutto perché, a questo livello, il riconoscimento palestinese è poco più di una manifestazione di volontà di fare pressione ad Israele, senza effetti pratici immediati, se non quelli mediatici; tuttavia nelle istituzioni comunitarie vige il silenzio ed anche l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Kaja Kallas, non ha espresso alcun commento e l’ultimo messaggio apparso sul social network X è quello di condanna ad Hamas con la richiesta del rilascio degli ostaggi. Nel silenzio generale degli organi di governo dell’Unione Europea, quello che traspare è la volontà di non interferire con un governo israeliano, che rappresenta ciò che c’è di più lontano dai valori europei. La carneficina ed il genocidio perpetrato da Tel Aviv, attraverso le armi e la fame usata come arma, dovrebbero scandalizzare in automatico ogni democrazia e fare scattare isolamento e sanzioni economiche e politiche per Israele, almeno al pari di quanto, giustamente, applicato alla Russia: quale sono le differenze delle sofferenze imposte alla popolazione civile? Non basta che uno sia uno stato riconosciuto ed un altro un territorio sprovvisto di riconoscimento unanime; la sofferenza delle persone imposta da regimi invasori dovrebbe suscitare gli stessi sentimenti. Al contrario mentre in fasce sempre più numerose di popolazione questo accade, lo stesso non vale per i governi e le istituzioni, soprattutto quelle dell’Unione Europea, che con questo atteggiamento possono solo riscuotere una delegittimazione delle loro figure ed una percezione di inutilità delle figure collegiali e, in ultima analisi, della stessa Unione. Occorre capire quali sono i motivi che tengono in ostaggio Bruxelles anche di fronte all’evidenza di una mostruosità di tale genere. Se per stati come la Germania, che, peraltro, ha mostrato aperture al riconoscimento della Palestina ed ha condannato Israele (e per questo è stata accusata di nazismo), si può comprendere la naturale ritrosia a criticare lo stato ebraico, meno comprensibile è l’atteggiamento di una organizzazione sovranazionale come l’Unione; tanto più che la condanna all’attuale governo israeliano non avrebbe certo critiche antisemite, ma si richiamerebbe al diritto internazionale, che dovrebbe essere universalmente riconosciuto. Una motivazione potrebbe risiedere nell’atteggiamento di Bruxelles completamente subalterno a Washington, una sorta di preoccupazione a non contrastare Trump, che appoggia in pieno l’operato di Tel Aviv, per non suscitare contrasti con gli USA per preservare una sorta di canale preferenziale nelle relazioni con la Casa Bianca; tuttavia questa pare, come ormai appurato, soltanto una illusione, in cui crede solo l’Europa. Esiste il timore di compromettere le relazioni economiche, quelle che hanno imposto i dazi, o forse quelle militari, dove l’Alleanza Atlantica è sempre più contestata dal presidente USA. Queste ragioni appaiono già poco solide, se queste relazioni fossero effettivamente forti, ma nell’attuale stato di cose si rivelano soltanto scuse non credibili. Il problema è che dentro l’Unione non esistono regole certe di natura politica e neppure indirizzi univoci capaci di derivare dalle ragioni fondative dell’Europa unita, che, infatti, unita non è. La sovranità troppo limitata di Bruxelles, l’assenza di una politica estera unitaria, la mancanza di una forza armata comune, rappresentano ostacoli insormontabili per diventare un attore mondiale rilevante ed anche la mancata cancellazione del voto a maggioranza assoluta, anziché la presenza del principio di maggioranza relativa, consente a stati parassiti di condizionare troppo la vita dell’Unione, che si conferma soltanto una unione basata sull’economia ma incapace di produrre progressi al proprio interno nel campo della politica e per questo condannata ad essere irrilevante.
On Gaza, the European Union confirms its irrelevance
After a dismal performance in negotiations with Trump on tariffs, which were not yet formally concluded and even prompted renewed threats from the US president, the European Union has again suffered a negative performance in international public opinion. Not even the most unbridled arrogance on the part of Netanyahu, who declared his intention to occupy and then annex the Gaza Strip, has elicited even a small reaction from Brussels. We have witnessed weakness pitted against strength, the choice not to react to such brazenness. Yet international pressure, with the desire to recognize Palestine as a state, could have represented an opportunity to demonstrate some vitality, especially since, at this level, Palestinian recognition is little more than a demonstration of the desire to put pressure on Israel, with no immediate practical effect other than media attention. Yet silence reigns within the EU institutions, and even the EU's High Representative for Foreign Policy, Kaja Kallas, has not commented. Her last message on the social network X condemns Hamas and calls for the release of the hostages. Amid the general silence of the European Union's governing bodies, what shines through is a desire not to interfere with an Israeli government that represents the furthest thing from European values. The carnage and genocide perpetrated by Tel Aviv, through weapons and hunger used as weapons, should automatically scandalize every democracy and trigger isolation and economic and political sanctions against Israel, at least as much as those rightly applied to Russia. What are the differences in the suffering imposed on the civilian population? It is not enough that one is a recognized state and the other a territory without unanimous recognition; the suffering of people imposed by invading regimes should arouse the same sentiments. Conversely, while this is happening in increasingly large segments of the population, the same is not true for governments and institutions, especially those of the European Union. This attitude can only result in the delegitimization of their roles and a perception of the uselessness of collegial bodies and, ultimately, of the Union itself. It is necessary to understand the reasons holding Brussels hostage even in the face of such a monstrosity. While one can understand the natural reluctance of states like Germany, which, moreover, has shown openness to recognizing Palestine and condemning Israel (and for this has been accused of Nazism), to criticize the Jewish state, the attitude of a supranational organization like the Union is less comprehensible; especially since condemning the current Israeli government would certainly not be subject to anti-Semitic criticism, but would invoke international law, which should be universally recognized. One reason could lie in Brussels's completely subservient attitude to Washington, a sort of concern not to antagonize Trump, who fully supports Tel Aviv's actions, so as not to spark conflict with the US and thus preserve a sort of preferential channel in relations with the White House. However, as has now been established, this appears to be merely an illusion, believed only by Europe. There is a fear of compromising economic relations, those that imposed the tariffs, or perhaps military relations, where the Atlantic Alliance is increasingly challenged by the US president. These reasons already appear shaky if these relations were truly strong, but in the current state of affairs they prove to be mere unreliable excuses. The problem is that within the Union there are no clear political rules, nor even unequivocal directions capable of deriving from the founding principles of a united Europe, which, in fact, is not united. Brussels's excessively limited sovereignty, the absence of a unified foreign policy, and the lack of a common armed force represent insurmountable obstacles to becoming a significant global player. Furthermore, the failure to abolish absolute majority voting, rather than the principle of relative majority voting, allows parasitic states to excessively influence the life of the Union, which remains a union based solely on economics but incapable of producing internal progress in the political sphere and therefore condemned to irrelevance.
En Gaza, la Unión Europea confirma su irrelevancia
Tras un pésimo desempeño en las negociaciones con Trump sobre aranceles, que aún no habían concluido formalmente e incluso provocaron nuevas amenazas del presidente estadounidense, la Unión Europea ha vuelto a sufrir una mala impresión en la opinión pública internacional. Ni siquiera la arrogancia más desenfrenada de Netanyahu, quien declaró su intención de ocupar y luego anexionar la Franja de Gaza, ha provocado la menor reacción de Bruselas. Hemos presenciado la debilidad contra la fuerza, la decisión de no reaccionar ante tal descaro. Sin embargo, la presión internacional, con el deseo de reconocer a Palestina como Estado, podría haber representado una oportunidad para demostrar cierta vitalidad, sobre todo porque, a este nivel, el reconocimiento palestino es poco más que una demostración del deseo de presionar a Israel, sin ningún efecto práctico inmediato más allá de la atención mediática. Sin embargo, reina el silencio en las instituciones de la UE, e incluso la Alta Representante de la UE para la Política Exterior, Kaja Kallas, no ha hecho comentarios. Su último mensaje en la red social X condena a Hamás y pide la liberación de los rehenes. En medio del silencio general de los órganos rectores de la Unión Europea, se percibe el deseo de no interferir con un gobierno israelí que representa lo más alejado de los valores europeos. La masacre y el genocidio perpetrados por Tel Aviv, utilizando las armas y el hambre como armas, deberían escandalizar automáticamente a toda democracia y provocar el aislamiento y las sanciones económicas y políticas contra Israel, al menos tan graves como las que se aplican con razón a Rusia. ¿Cuáles son las diferencias en el sufrimiento impuesto a la población civil? No basta con que uno sea un Estado reconocido y el otro un territorio sin reconocimiento unánime; el sufrimiento de las personas impuesto por los regímenes invasores debería suscitar los mismos sentimientos. Por el contrario, si bien esto ocurre en segmentos cada vez más amplios de la población, no ocurre lo mismo con los gobiernos e instituciones, especialmente los de la Unión Europea. Esta actitud solo puede resultar en la deslegitimación de sus funciones y en una percepción de la inutilidad de los órganos colegiados y, en última instancia, de la propia Unión. Es necesario comprender las razones que mantienen a Bruselas como rehén incluso ante tal monstruosidad. Si bien es comprensible la reticencia natural de estados como Alemania, que además se ha mostrado abierta a reconocer a Palestina y condenar a Israel (y por ello ha sido acusada de nazismo), a criticar al Estado judío, la actitud de una organización supranacional como la Unión es menos comprensible; sobre todo porque condenar al actual gobierno israelí no estaría sujeto a críticas antisemitas, sino que invocaría el derecho internacional, que debería ser universalmente reconocido. Una razón podría residir en la actitud completamente servil de Bruselas hacia Washington, una especie de preocupación por no antagonizar a Trump, quien apoya plenamente las acciones de Tel Aviv, para no provocar un conflicto con Estados Unidos y así preservar una especie de canal preferencial en las relaciones con la Casa Blanca. Sin embargo, como ya se ha comprobado, esto parece ser una mera ilusión, creída solo por Europa. Existe el temor de comprometer las relaciones económicas, las que impusieron los aranceles, o quizás las militares, donde la Alianza Atlántica se ve cada vez más cuestionada por el presidente estadounidense. Estas razones ya parecen precarias si estas relaciones fueran realmente sólidas, pero en la situación actual resultan ser meras excusas poco fiables. El problema radica en que dentro de la Unión no existen reglas políticas claras, ni siquiera directrices inequívocas que puedan derivarse de los principios fundadores de una Europa unida, que, de hecho, no lo está. La soberanía excesivamente limitada de Bruselas, la ausencia de una política exterior unificada y la falta de una fuerza armada común representan obstáculos insalvables para convertirse en un actor global significativo. Además, la no abolición del voto por mayoría absoluta, en lugar del principio de voto por mayoría relativa, permite que los Estados parásitos influyan excesivamente en la vida de la Unión, que sigue siendo una unión basada únicamente en la economía, pero incapaz de generar progreso interno en la esfera política y, por lo tanto, condenada a la irrelevancia.
In Bezug auf Gaza bestätigt die Europäische Union ihre Bedeutungslosigkeit
Nach einem desolaten Ergebnis in den noch nicht formal abgeschlossenen Zollverhandlungen mit Trump, die sogar zu erneuten Drohungen des US-Präsidenten führten, hat die Europäische Union in der internationalen öffentlichen Meinung erneut einen negativen Eindruck hinterlassen. Nicht einmal die ungezügelte Arroganz Netanjahus, der seine Absicht erklärte, den Gazastreifen zu besetzen und anschließend zu annektieren, hat auch nur eine schwache Reaktion aus Brüssel hervorgerufen. Wir haben Schwäche gegen Stärke ausgespielt, die Entscheidung, auf solche Dreistigkeit nicht zu reagieren. Dabei hätte der internationale Druck, verbunden mit dem Wunsch, Palästina als Staat anzuerkennen, eine Gelegenheit sein können, etwas Vitalität zu demonstrieren, zumal die Anerkennung Palästinas auf dieser Ebene kaum mehr als eine Demonstration des Drucks auf Israel ist, ohne unmittelbare praktische Auswirkungen außer der medialen Aufmerksamkeit. Doch innerhalb der EU-Institutionen herrscht Schweigen, und selbst die Hohe Vertreterin der EU für Außenpolitik, Kaja Kallas, hat sich nicht geäußert. In ihrer letzten Nachricht im sozialen Netzwerk X verurteilt sie die Hamas und fordert die Freilassung der Geiseln. Inmitten des allgemeinen Schweigens der EU-Regierungsgremien zeigt sich der Wunsch, sich nicht in die Angelegenheiten einer israelischen Regierung einzumischen, die von europäischen Werten am weitesten entfernt ist. Das von Tel Aviv verübte Blutbad und der Völkermord, der mit Waffen und Hunger als Waffen eingesetzt wurde, sollten jede Demokratie automatisch skandalisieren und Isolation sowie wirtschaftliche und politische Sanktionen gegen Israel auslösen, mindestens ebenso streng wie die zu Recht gegen Russland verhängten. Worin unterscheiden sich die Leiden der Zivilbevölkerung? Es reicht nicht aus, dass das eine ein anerkannter Staat und das andere ein Gebiet ohne einstimmige Anerkennung ist; das Leid der Menschen durch Invasionsregime sollte die gleichen Gefühle hervorrufen. Umgekehrt gilt dies zwar für immer größere Teile der Bevölkerung, nicht aber für Regierungen und Institutionen, insbesondere die der Europäischen Union. Diese Haltung kann nur zur Delegitimierung ihrer Rollen und zur Wahrnehmung der Nutzlosigkeit kollegialer Gremien und letztlich der Union selbst führen. Es ist notwendig zu verstehen, warum Brüssel selbst angesichts einer solchen Monstrosität als Geisel gehalten wird. Während man die natürliche Zurückhaltung von Staaten wie Deutschland, das sich zudem bereit erklärt hat, Palästina anzuerkennen und Israel zu verurteilen (und dafür des Nationalsozialismus beschuldigt wurde), den jüdischen Staat zu kritisieren, verstehen kann, ist die Haltung einer supranationalen Organisation wie der Union weniger verständlich; zumal eine Verurteilung der derzeitigen israelischen Regierung sicherlich nicht antisemitischer Kritik ausgesetzt wäre, sondern sich auf das Völkerrecht berufen würde, das allgemein anerkannt sein sollte. Ein Grund könnte in der völlig unterwürfigen Haltung Brüssels gegenüber Washington liegen, einer Art Sorge, Trump, der Tel Avivs Vorgehen voll unterstützt, nicht zu verärgern, um keinen Konflikt mit den USA auszulösen und so eine Art bevorzugten Kanal in den Beziehungen zum Weißen Haus zu wahren. Wie sich jedoch inzwischen herausgestellt hat, scheint dies lediglich eine Illusion zu sein, an die nur Europa glaubt. Es besteht die Angst vor einer Beeinträchtigung der Wirtschaftsbeziehungen, die die Zölle eingeführt haben, oder vielleicht auch der Militärbeziehungen, wo das Atlantische Bündnis zunehmend vom US-Präsidenten herausgefordert wird. Diese Gründe erschienen schon dann wackelig, wenn die Beziehungen wirklich stark wären, doch in der gegenwärtigen Lage erweisen sie sich als bloße haltlose Ausreden. Das Problem besteht darin, dass es innerhalb der Union keine klaren politischen Regeln und nicht einmal eindeutige Leitlinien gibt, die sich aus den Gründungsprinzipien eines vereinten Europas ableiten ließen, das in Wirklichkeit nicht vereint ist. Die übermäßig eingeschränkte Souveränität Brüssels, das Fehlen einer einheitlichen Außenpolitik und das Fehlen gemeinsamer Streitkräfte stellen unüberwindbare Hindernisse auf dem Weg zu einem bedeutenden globalen Akteur dar. Darüber hinaus ermöglicht die Nichtabschaffung der absoluten Mehrheitsentscheidung anstelle des Prinzips der relativen Mehrheitsentscheidung parasitären Staaten einen übermäßigen Einfluss auf das Leben der Union, die weiterhin eine rein wirtschaftsorientierte Union bleibt, die jedoch unfähig ist, im internen politischen Bereich Fortschritte zu erzielen und daher zur Bedeutungslosigkeit verurteilt ist.
À propos de Gaza, l’Union européenne confirme son inutilité
Après une performance décevante dans les négociations avec Trump sur les droits de douane, qui n'étaient pas encore formellement conclues et ont même suscité de nouvelles menaces de la part du président américain, l'Union européenne a de nouveau essuyé un accueil négatif auprès de l'opinion publique internationale. Même l'arrogance la plus débridée de Netanyahou, qui a déclaré son intention d'occuper puis d'annexer la bande de Gaza, n'a suscité la moindre réaction de Bruxelles. Nous avons assisté à une opposition entre faiblesse et force, au choix de ne pas réagir à une telle audace. Pourtant, la pression internationale, portée par la volonté de reconnaître la Palestine comme État, aurait pu représenter une occasion de démontrer une certaine vitalité, d'autant plus qu'à ce niveau, la reconnaissance palestinienne n'est guère plus qu'une démonstration de volonté de pression sur Israël, sans autre effet pratique immédiat qu'une couverture médiatique. Pourtant, le silence règne au sein des institutions européennes, et même la Haute Représentante de l'UE pour la politique étrangère, Kaja Kallas, n'a pas commenté. Son dernier message sur le réseau social X condamne le Hamas et appelle à la libération des otages. Dans le silence général des instances dirigeantes de l'Union européenne, transparaît une volonté de ne pas interférer avec un gouvernement israélien qui représente l'extrême opposé aux valeurs européennes. Le carnage et le génocide perpétrés par Tel-Aviv, par les armes et la faim utilisées comme armes, devraient automatiquement scandaliser toute démocratie et déclencher l'isolement et des sanctions économiques et politiques contre Israël, au moins autant que celles appliquées à juste titre à la Russie. Quelles sont les différences dans les souffrances infligées à la population civile ? Il ne suffit pas que l'un soit un État reconnu et l'autre un territoire sans reconnaissance unanime ; les souffrances des populations imposées par des régimes envahisseurs devraient susciter les mêmes sentiments. À l'inverse, si ce phénomène touche des segments de plus en plus importants de la population, il n'en va pas de même pour les gouvernements et les institutions, notamment ceux de l'Union européenne. Cette attitude ne peut que délégitimer leur rôle et donner l'impression de l'inutilité des instances collégiales et, in fine, de l'Union elle-même. Il est nécessaire de comprendre les raisons qui poussent Bruxelles à rester en otage, même face à une telle monstruosité. Si l'on peut comprendre la réticence naturelle d'États comme l'Allemagne, qui s'est par ailleurs montrée ouverte à la reconnaissance de la Palestine et à la condamnation d'Israël (et a été accusée de nazisme pour cela), à critiquer l'État juif, l'attitude d'une organisation supranationale comme l'Union l'est moins ; d'autant plus que condamner le gouvernement israélien actuel ne serait certainement pas sujet à des critiques antisémites, mais invoquerait le droit international, qui devrait être universellement reconnu. L'une des raisons pourrait résider dans l'attitude totalement servile de Bruxelles envers Washington, soucieuse de ne pas contrarier Trump, qui soutient pleinement les actions de Tel-Aviv, afin de ne pas déclencher de conflit avec les États-Unis et de préserver ainsi une sorte de canal privilégié dans les relations avec la Maison-Blanche. Cependant, comme cela est désormais établi, il ne s'agit là que d'une illusion, à laquelle seule l'Europe croit. On craint de compromettre les relations économiques, celles qui ont imposé les droits de douane, ou peut-être les relations militaires, où l'Alliance atlantique est de plus en plus contestée par le président américain. Ces raisons paraissent déjà fragiles si ces relations étaient véritablement fortes, mais dans l'état actuel des choses, elles se révèlent n'être que de simples excuses peu fiables. Le problème est qu'au sein de l'Union, il n'existe pas de règles politiques claires, ni même d'orientations univoques pouvant découler des principes fondateurs d'une Europe unie, qui, en réalité, n'est pas unie. La souveraineté excessivement limitée de Bruxelles, l'absence de politique étrangère unifiée et l'absence de force armée commune constituent des obstacles insurmontables pour devenir un acteur mondial significatif. De plus, l'absence d'abolition du vote à la majorité absolue, au lieu du principe de la majorité relative, permet à des États parasites d'influencer excessivement la vie de l'Union, qui demeure une union fondée uniquement sur l'économie, mais incapable de produire des progrès internes dans la sphère politique et donc condamnée à l'insignifiance.
Em Gaza, a União Europeia confirma a sua irrelevância
Após um desempenho desanimador nas negociações com Trump sobre tarifas, que ainda não foram formalmente concluídas e que até motivaram novas ameaças do presidente americano, a União Europeia voltou a sofrer um desempenho negativo na opinião pública internacional. Nem mesmo a arrogância mais desenfreada de Netanyahu, que declarou sua intenção de ocupar e anexar a Faixa de Gaza, provocou uma pequena reação de Bruxelas. Testemunhamos a fraqueza em confronto com a força, a escolha de não reagir a tal descaramento. No entanto, a pressão internacional, com o desejo de reconhecer a Palestina como um Estado, poderia ter representado uma oportunidade para demonstrar alguma vitalidade, especialmente porque, neste nível, o reconhecimento palestino é pouco mais do que uma demonstração do desejo de pressionar Israel, sem nenhum efeito prático imediato além da atenção da mídia. No entanto, o silêncio reina dentro das instituições da UE, e até mesmo a Alta Representante da UE para a Política Externa, Kaja Kallas, não se pronunciou. Sua última mensagem na rede social X condena o Hamas e pede a libertação dos reféns. Em meio ao silêncio generalizado dos órgãos dirigentes da União Europeia, o que transparece é o desejo de não interferir em um governo israelense que representa o que há de mais distante dos valores europeus. A carnificina e o genocídio perpetrados por Tel Aviv, por meio de armas e da fome usadas como armas, deveriam automaticamente escandalizar todas as democracias e desencadear o isolamento e as sanções econômicas e políticas contra Israel, pelo menos tanto quanto aquelas aplicadas, com razão, à Rússia. Quais são as diferenças no sofrimento imposto à população civil? Não basta que um seja um Estado reconhecido e o outro um território sem reconhecimento unânime; o sofrimento imposto às pessoas por regimes invasores deve despertar os mesmos sentimentos. Por outro lado, enquanto isso acontece em segmentos cada vez maiores da população, o mesmo não se aplica a governos e instituições, especialmente os da União Europeia. Essa atitude só pode resultar na deslegitimação de seus papéis e na percepção da inutilidade dos órgãos colegiais e, em última análise, da própria União. É necessário compreender as razões que mantêm Bruxelas refém mesmo diante de tal monstruosidade. Embora se possa compreender a relutância natural de Estados como a Alemanha, que, aliás, demonstrou abertura para reconhecer a Palestina e condenar Israel (e por isso foi acusada de nazismo), em criticar o Estado judeu, a atitude de uma organização supranacional como a União é menos compreensível; especialmente porque condenar o atual governo israelense certamente não seria alvo de críticas antissemitas, mas invocaria o direito internacional, que deveria ser universalmente reconhecido. Uma razão poderia residir na atitude completamente subserviente de Bruxelas em relação a Washington, uma espécie de preocupação em não antagonizar Trump, que apoia integralmente as ações de Tel Aviv, para não desencadear conflitos com os EUA e, assim, preservar uma espécie de canal preferencial nas relações com a Casa Branca. No entanto, como agora se constatou, isso parece ser apenas uma ilusão, acreditada apenas pela Europa. Há o receio de comprometer as relações econômicas, aquelas que impuseram as tarifas, ou talvez as relações militares, onde a Aliança Atlântica é cada vez mais desafiada pelo presidente dos EUA. Essas razões já parecem duvidosas se essas relações fossem realmente fortes, mas, no estado atual das coisas, revelam-se meras desculpas pouco confiáveis. O problema é que, dentro da União, não existem regras políticas claras, nem mesmo orientações inequívocas capazes de derivar dos princípios fundadores de uma Europa unida, que, na verdade, não é unida. A soberania excessivamente limitada de Bruxelas, a ausência de uma política externa unificada e a falta de uma força armada comum representam obstáculos intransponíveis para se tornar um ator global significativo. Além disso, a não abolição do voto por maioria absoluta, em vez do princípio do voto por maioria relativa, permite que Estados parasitas influenciem excessivamente a vida da União, que continua sendo uma união baseada apenas na economia, mas incapaz de produzir progresso interno na esfera política e, portanto, condenada à irrelevância.