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lunedì 16 maggio 2011
Israele reprime le manifestazioni dei palestinesi di Siria e Libano
Gli scontri ai confini di Israele, sulle frontiere di Libano e Siria, segnalano i sentimenti contrastanti che si vivono a Tel Aviv. La reazione, spropositata dell'esercito israeliano, che ha sparato sulla folla armata di pietre denuncia uno stato di timore, che alberga sempre di più nei cuori degli israeliani. Il reale timore è di vedere grandi masse di palestinesi esasperati muoversi dai loro paesi di esilio e dirigersi verso la propria patria espropriata. A livello mediatico Israele rischia di trasformarsi in carnefice, se non mantiene i nervi saldi. Paradossalmente essere sotto minaccia dell'atomica iraniana o dei razzi di Hamas, consente a Tel Aviv di recitare il ruolo della vittima perseguitata, viceversa sparare su persone disarmate non può che fare diminuire la simpatia per la causa sionista. Non si capisce se la mossa di muovere quasi simultaneamente dalle frontiere dei paesi dove sono esiliati sia stata casuale o organizzata; il risultato è stato che Israele è caduto nella trappola soffocando le dimostrazioni nel sangue. Tel Aviv accusa la Siria di avere orchestrato le proteste in modo da distogliere da essa stessa l'attenzione internazionale, ciò può essere verosimile, il regime di Assad non è nuovo ad usare strategie del genere per distogliere i riflettori, sotto la cui luce sta compiendo la sua feroce repressione. In ogni caso la reazione israeliana è stata un boomerang, sopratutto se si pensa alla pressione che Abu Mazen sta mettendo per portare in sede ONU il problema palestinese. Tel Aviv, già irritata per gli accordi tra ANP ed Hamas si vede ora pressare anche dai palestinesi di Siria e Libano, ma non si dimostra ancora convinta della necessità di avviare in modo formale le trattative per la creazione dello stato palestinese, unica soluzione per la pace nell'area.
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