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domenica 15 maggio 2011

Pakistan ed USA: relazioni in crisi?

Il parlamento pakistano ha approvato all’unanimità una dura condanna all’intervento americano in occasione della morte di Osama Bin Laden. L’intervento, avvenuto in suolo straniero di una forza armata di altro paese è una chiara violazione del diritto internazionale. Ma all’inizio sia USA che Pakistan avevano affermato che l’azione era stata concordata, sebbene queste affermazioni non fossero state date in un comunicato congiunto. Già questa modalità aveva alimentato sospetti circa la veridicità dell’affermazione; in seguito si erano rincorse versioni differenti, che non lasciavano dubbi sulla mancata verità di una operazione congiunta. Il Pakistan è apparso,per la verità, subito disorientato dall’azione dei Navy Seals, ed ha tentato di rintuzzare la rabbia crescente nel paese, per la violazione di cui era stato oggetto, con dichiarazioni approssimative e di circostanza, perfino affermando che i reali protagonisti dell’intervento non erano miltari americani ma i servizi segreti nazionali. Sicuramente nel paese di Islamabad la confusione è aumentata per le mancate immagini e prove del successo operativo delle forze speciali della marina USA. Tuttavia la confusione è potuta durare solo fino a quando la stessa Al Qaeda ha ammesso la morte del proprio capo. Da quel momento per il Pakistan si è aperta la via, anche legittima, della contestazione alla modalità dell’operazione. Oltre le contestazioni, sono stati gli attentati ai soldati pakistani a decretare la necessità di una presa di posizione ferma, almeno sul piano legale e politico del parlamento pakistano. La condanna agli americani, a quel punto, è stato un atto dovuto, certamente calcolato fin dall’inizio dall’amministrazione Obama. Ma il punto attuale della situazione impone almeno due riflessioni. La prima è di ordine strategico, innazitutto è ormai appurato che Obama godeva di protezioni all’interno dell’apparato burocratico militare pakistano e la prova di ciò è, appunto, che Islamabad è stata tenuta all’oscuro dell’operazione, fatto ormai acclarato. Da ciò discende, siccome purtroppo la guerra afghana continua, la domanda, peraltro più volte posta, se Islamabad è ancora un alleato affidabile. Le pulsioni interne del paese pakistano contano molta parte dell’opinione pubblica contraria all’alleanza con gli USA, questo è un dato da tenere sempre a mente; come, però si deve sempre considerare anche la costante necessità dell’appoggio logistico, di cui le forze NATO necessitano entro il territorio pakistano. Fatto di cui Islamabad è consapevole ed infatti è la prima minaccia contenuta nella disposizione parlamentare approvata a maggioranza. La seconda considerazione è di ordine politico, questo è il punto più basso, nonostante i precedenti, delle relazione USA-Pakistan. In realtà non conviene a nessuno dei due soggetti rompere le relazioni, ma il Pakistan era obbligato a dare un segnale forte, sia in campo internazionale, per rivendicare la propria sovraità sul suo territorio, sia in campo interno per provare almeno a calmare gli ambienti più ostili al patto con Washington, che hanno visto nella prova di forza americana una sorta di subalternità del Pakistan agli Stati Uniti. Per la verità Islamabad ha ancora un problema più grave, che è il terrorismo di matrice islamica, che ha da subito iniziato a colpire le istituzioni del paese con attentati kamikaze. In quest’ottica la dura presa di posizione contro Washigton è da leggere anche come azione di raffreddamento sul fronte interno. Resta una domanda, valeva la pena per il colpo mediatico mettere in gioco un rapporto, seppure molto conflittuale, con l’unico pase chiave da cui condurre la lotta ai talebani?

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