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domenica 23 ottobre 2011

Sulle presidenziali USA spunta la variabile Iraq

Nelle elezioni americane ritorna centrale il tema degli esteri e della perdita di centralità e del ruolo di potenza mondiale degli USA. Il problema è connesso con il tutti a casa decretato da Obama per le forze americane presenti in Iraq. Fino a poco tempo fa non era prevedibile che una mossa del genere potesse rivelarsi un boomerang per il presidente in carica, con gli USA focalizzati sul fronte interno della crisi economica ed il gran sforzo economico e di vite umane avviato a finire, il ritiro dall'Iraq sembrava il più grosso spot elettorale per la competizione del 2012. Ma i repubblicani stanno trovando un punto debole nella strategia democratica di Obama: un Iraq sguarnito dalla potenza militare americana rischia di finire sotto la nefasta influenza iraniana, lo stato sempre più inquadrato come il nemico numero uno per la bandiera a stelle e strisce. L'eliminazione fisica di Saddam Hussein, Bin Laden e Gheddafi non garantisce a Barack Obama di avere la certezza di non fare trovare più sulla strada degli Stati Uniti un nemico forse ancora più pericoloso ed insidioso come Ahmadinejad. L'evoluzione militare iraniana, che punta ad inserire l'arma atomica nel proprio arsenale, mette in allarme gli analisti americani più vicini al Partito Repubblicano. Una espansione dell'influenza iraniana sul travagliato Iraq metterebbe in discussione delicati equilibri sia dal punto di vista interno tra sciti e sunniti, che da quello diplomatico, contribuendo a riscaldare la tensione già presente tra Arabia Saudita ed Iran. Con un quadro del genere il dispiegamento americano degli anni passati potrebbe risultare inutile ed un lavoro incompiuto. In effetti, anche tralasciando il tema della supremazia USA in campo mondiale, argomento caro ai Repubblicani, gli argomenti sollevati per l'abbandono dell'armata americana in Iraq non possono che sollevare qualche legittimità sulle questioni poste. In questa ottica un abbandono completo dell'Iraq sembrerebbe vanificare anni di sforzi per raggiungere obiettivi ritenuti il caposaldo dell'intera politica estera americana. La brusca marcia indietro potrebbe generare confusione anche in un elettorato concentrato su argomenti diversi e lontani, aprendo un vero e proprio squarcio nella tattica elettorale di Obama. In effetti si tratta di due diverse visioni contrapposte, se il Presidente in carica ha sempre reso pubblico, fin dalla campagna elettorale di cinque anni prima, l'intenzione di sganciare gli USA dai vari conflitti ereditati dall'amministrazione precedente ed ha proseguito nelle emergenze successive mantenendo un basso profilo per gli Stati Uniti, per i repubblicani storici la tendenza è sempre stata del tutto opposta. Semmai una convergenza con Obama su questo tema poteva esserci dal movimento del tea party, che ha sempre prediletto i temi di economia interna a discapito dei grandi problemi di politica internazionale. Ma la questione cardine rimane sul tappeto, quale sarà il destino degli equilibri regionali se l'Iraq verrà abbandonato al suo destino? La questione è da valutare attentamente poichè se si verificasse la necessità di un ritorno da zero per sopraggiunte necessità sarebbe una sconfitta storica per Obama ed anche su queste previsioni a lungo termine si giocherà l'esito delle presidenziali del prossimo anno.

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