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mercoledì 29 febbraio 2012

Comincia ad aumentare il partito della crescita contro la ricetta tedesca

Dopo la sistemazione, avvenuta con lacrime e sangue, che probabilmente non sarà definitiva della Grecia, l'asse Berlino-Parigi, incomincia a scricchiolare dall'interno e, sopratutto, trova finalmente un fronte compatto di ben dodici paesi, che chiedono una sterzata della politica economico finanziaria europea, troppo orientata all'austerità dei bilanci a discapito della crescita, giudicata indispensabile per ridare fiato all'economia e non pregiudicare la stabilità sociale. In vista delle elezioni presidenziali francesi il candidato socialista Hollande ha messo al centro del proprio programma elettorale una nuova negoziazione degli accordi sottoscritti da Sarkozy con la Merkel. Questo fatto, che peraltro era già noto tanto da fare scendere la cancelliera tedesca dichiaratamente a fianco del presidente francese uscente in campagna elettorale, rischia di intaccare la politica economica elaborata da Berlino per l'Europa. Si è detto e rilevato più volte che tale politica tende a favorire più che la parte produttiva, dove vi sono diversi antagonismi, la parte finanziaria tedesca, con in prima fila le banche della Germania ed in generale il mondo finanziario, che non vuole correre il pericolo di effettuare investimenti in paesi dell'area euro con gestioni definite allegre. Pur partendo da ragioni condivisibili nate dall'esigenza di scongiurare situazioni come quella greca ed in generale emergenze debitorie troppo elevate, capaci di creare un effetto a catena nell'area dell'euro, quelle elaborate sono politiche troppo stringenti, che non permettono una diffusione del credito necessaria a risollevare, come dovuto, economie ormai asfittiche. Uno dei maggiori timori dei governi che hanno chiesto una maggiore propensione alla crescita è la pericolosità di minare la stabilità sociale, le violenti reazioni greche ai tagli sociali imposti dalla Germania rappresentano un incubo da evitare assolutamente. Ma quello che sta venendo fuori è una insofferenza generalizzata alla condotta tedesca, anche da parte di governi, come quello italiano, che non sono propriamente espressione delle parti sociali più deboli. L'impressione è che Berlino abbia esagerato ed abbia avuto gioco facile perchè gli altri paesi o sono stati presi alla sprovvista o non sono riusciti ad elaborare una strategia comune immediata alle pretese tedesche. Ora è difficile prevedere se questa presa di posizione possa creare una spaccatura, che non è nell'interesse di nessuno, nella zona euro, tuttavia è chiaro che la leadership tedesca è chiaramente messa in discussione. La troppa austerità sta diventando ad essere vista come l'anticamera di una maggiore recessione, ma questo non era negli intenti della Merkel, che faceva partire la sua analisi dalla situazione tedesca. L'impressione, suffragata da dati concreti, è che la ricetta per risanare l'Europa sia stata elaborata come funzionale all'economia della Germania, che poteva fare la voce grossa sia per le condizioni economiche migliori, sia per l'assenza di un contradittorio, che ora inizia a formarsi. Con queste condizioni appare palese che, pur restando negli steccati imposti dalla necessità della riduzione del debito, gli accordi e la strategia vanno rivisti, per permettere una crescita più armonica ai paesi dell'euro. Il rischio concreto di diventare colonie tedesche non deve essere corso. Del resto i casi greco ed italiano, seppure con soluzioni differenti, devono fare squillare un campanello d'allarme. Se per Atene la perdita della propria sovranità a favore di entità straniere è ormai un dato di fatto, per l'Italia si è trattato di sospendere la democrazia del popolo, affidando ad un governo non eletto, ma formalmente sostenuto dalla maggioranza parlamentare, la gestione della cosa pubblica. Se dietro a questo governo vi siano le banche o i tanto nominati poteri forti non si saprà mai, certo è che l'interruzione democratica non formale ma reale è un dato di fatto. Se a questa situazione di cose dovesse, come sembra probabile accadere, un periodo di recessione ancora più grave le conseguenze sociali potrebbero essere non prevedibili. Ma questo vale anche per i paesi dove il governo in carica è regolarmente e direttamente eletto; del resto la necessità della crescita economica è stata ribadita dal Presidente Obama ed anche dalla Cina, che si è più volte detta disponibile a stimolare, attraverso propri investimenti, l'aumento del PIL dei singoli paesi dell'euro. Quindi è necessaria l'elaborazione di un piano alternativo che punti alle infrastrutture, volano per sviluppi successivi, alla formazione ed alla individuazione di strumenti capaci di riportare nel vecchio continente la produzione industriale materiale, la cui presenza è andata assottigliandosi troppo, impoverendo il tessuto produttivo delle nazioni a favore di una terziarizzazione con poco contenuto e sopratutto incapace di sostenere la necessaria crescita mediante la presenza dei dovuti posti di lavoro essenziali per assicurare uno sviluppo certo e duraturo.

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