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mercoledì 15 febbraio 2012

Il nuovo attivismo della politica estera dell'India

Nella questione iraniana irrompe l'India. La logica che muove Nuova Delhi pare basarsi su criteri innanzitutto mercantili, ma non solo, mascherati da criteri di opportunità diplomatica. Il paese indiano, infatti, rivendica una propria autonomia dalle sanzioni imposte da USA e UE, ritenendoli soggetti non adeguati a promulgare misure coercitive contro l'Iran senza l'avvallo dell'ONU. E' uno schema che ricalca la posizione cinese, con l'aggravante ipocrita che l'India non ha il diritto di veto di Pechino e quindi si attiene in maniera pilatesca, ad una situazione che va tutta a proprio vantaggio a costo zero. La presenza economica indiana nel paese degli ayatollah, già consistente grazie a diverse collaborazioni con Teheran, mira all'aggiustamento della bilancia commerciale, che ora pende a favore dell'Iran. Grazie alle sanzioni applicate sul petrolio iraniano l'India ha potuto sostituirsi agli acquirenti europei, diventando il primo paese importatore di greggio, per la considerevole cifra di 9.000 milioni di euro a fronte di una esportazione verso Teheran di 2.000 milioni di euro. L'evento delle sanzioni rappresenta quindi una occasione da sfruttare andando a colmare i vuoti lasciati dalle imprese occidentali in settori molto redditizi quali ad esempio le infrastrutture. L'atteggiamento indiano di fronte alla minaccia nucleare iraniana costituisce una sorpresa, sopratutto per gli Stati Uniti, tradizionali alleati, ma significa anche, che nel mondo diplomatico la situazione non è più statica come un tempo ed i cambiamenti possono oramai avvenire in tempi più veloci. Occorre infatti considerare diverse variabili per comprendere la posizione di Nuova Delhi, aldilà delle pur importanti ragioni economiche. Per la propria considerevole crescita, l'India costituisce uno dei più temibili avversari per Pechino, ma rispetto alla Cina, per ora, non ha le velleità di grande potenza globale, che sembrano assillare il governo cinese, questo non vuole dire che non abbia mire sui mercati emergenti e tenda a sviluppare una propria politica estera completamente slegata dalla nuova polarizzazione occidente (USA e UE), oriente (Cina). Sopratutto sulla base regionale, dato il sempre problematico rapporto con il Pakistan, che ha stretto sempre più vincoli con la Cina, l'India è obbligata a cercare nuovi partner e l'Iran rappresenta, per la propria posizione geografica, la nazione ideale con il quale sviluppare legami. Vi è da considerare che a favore di questa strategia gioca anche il progressivo allontanamento di Pechino da Teheran, che pur nel quadro del mantenimento del veto alle sanzioni, ha già ridotto la propria collaborazione con Ahmadinejad, avvenuta sia per ragioni di propria opportunità (non è gradita la presenza di una nuova potenza nucleare ai propri confini), sia per adempiere al sempre crescente ruolo di potenza globale che si è auto imposta. Anche rispetto all'Afghanistan, sopratutto in chiave futura con lo scenario che si presenterà nel paese con il ritiro della gran parte delle truppe USA ora presenti, vi è un attivismo che mira a rafforzare gli accordi con Karzai, facendo leva sull'antagonismo di Kabul con Islamabad, maturato con la presenza delle basi talebane in Pakistan. Qui l'interesse è duplice, oltre a contrastare la politica estera pachistana in Afghanistan, all'India interessa circoscrivere il movimento talebano all'interno della sua attuale zona di operazioni ed impedire che il fenomeno si allarghi entro i propri confini. Come si vede ci si muove in una situazione diplomatica molto fluida che deve tenere conto di diverse variabili e prospettive, ma dove per l'Occidente pare obiettivamente difficile districarsi, per portare a proprio vantaggio le rivalità e le alleanze che si stanno sviluppando. Tuttavia, sopratutto per gli USA, rimane importante mantenere l'amicizia del paese indiano, che resta un punto geopolitico strategico, anche se le mutate condizioni imposte dalla globalizzazione obbligano i governi delle nazioni più potenti ad avere a che fare con paesi sempre più capaci ed intenzionati ad avere una maggiore autonomia nel campo della politica estera.

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