Nella difficile situazione siriana vi è un aspetto che contribuisce ad alimentare la destabilizzazione e la confusione nel conflitto. Sarebbe, infatti, stata registrata la presenza di combattenti stranieri sia da una parte che dall'altra. Già all'inizio degli scontri gli insorti segnalavano la presenza di uomini in uniforme nera, organizzati militarmente, che combattevano al fianco delle truppe regolari, questi irregolari sarebbero stati individuati come facenti parte dei guardiani della rivoluzione iraniani, fatto smentito dal governo di Teheran, che tuttavia, resta il più probabile dei mandanti per le sue dichiarazioni in appoggio alla repressione di Assad. Attualmente esisterebbero anche combattenti stranieri schierati contro il governo ed inviati da Al Qaeda per avviare il paese alla jihad ed indirizzarlo così verso una deriva di islamismo radicale. Questo fatto giustifica il governo a parlare, come in effetti accade, di complotto terroristico internazionale e trovare così una sorta di giustificazione per la repressione in atto. I movimenti democratici, che invece, lottano per un cambiamento verso un passaggio da una forma di governo autoritaria ad una democratica, nono gradiscono questa intromissione in quella che ormai è diventata una vera e propria guerra civile e temono, che con una possibile affermazione dei combattenti radicali, vada ad affermarsi un'altro regime autoritario, questa volta fondato su principi teocratici. Per la sua posizione geografica la Siria è appetita sia dai paesi confinanti che dai movimenti estremisti, entrambi con la volontà di impedire al paese un percorso verso la democrazia che venga a creare uno stato laico ed indipendente, in una posizone chiave della regione. Al confine con il Libano vi sono gli Hezbollah, che sono tradizionalmente alleati dell'Iran, intenzionato a che il paese siriano, resti proprio alleato, o ancora meglio, entri maggiormente nella sua area di influenza. Questo pericolo ha allertato l'Arabia Saudita, che teme Damasco in mano agli sciti, quindi Ryiad conduce la propria battaglia su due tavoli: uno alla luce del sole nella sede della Lega Araba, dove è fautrice di un intervento di pacificazione nazionale mediante l'invio di truppe ONU, ma nell'altro incoraggiando i suoi movimenti radicali ad andare a combattere sul suolo siriano. Nel conflitto hanno poi un ruolo fondamentale le truppe che hanno disertato dalle forze armate regolari e fedeli ad Assad; si parla di intere divisioni che sono dotate di armi e preparazione militare, ma che in caso di vittoria non è chiaro quale indirizzo vogliano dare al paese . Si sta insomma creando un clima da tutti contro tutti, dove le alleanze non sono ben chiare, perchè sono gli stessi contendenti che non sono pienamente definiti.
Frattanto Assad annuncia un referendum da tenersi il 26 febbraio su di una nuova costituzione che mette fine al monopolio del partito Bath ed apre al multipartitismo attraverso il voto, ma vieta la costituzione di partiti religiosi, bilanciando la norma con l'affermazione che la religione islamica è religione di stato e che dalla giurisprudenza islamica debbano derivare le leggi dello stato. La mossa appare da subito ambigua perchè vuole accontentare tutti non accontentando nessuno e sopratutto perchè, di fatto, darebbe la possibilità al presidente in carica, lo stesso Assad, di rimanervi ancora per sedici anni, mantenendo lo status quo. Più che per il fronte interno l'annuncio sembra per quello esterno e pare un chiaro tentativo di guadagnare tempo nei confronti di un'opinione pubblica internazionale e diplomatica che mette al centro la vicenda siriana di una discussione sempre più ampia, anche se non con opinioni uniformi. La sensazione è che, proprio grazie a queste divergenze sui modi di affrontare la crisi, il regime siriano guadagni tempo prezioso per vincere le ostilità e confezioni queste finte aperture democratiche, che costituiscono prove di buona volontà, ad uso e consumo di quei paesi come la Russia, che con il loro atteggiamento, hanno materialmente aiutato alla continuazione dei massacri.
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