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venerdì 24 febbraio 2012
In Cina sempre di più i problemi del capitalismo
Nonostante Pechino si fregi ancora della dicitura di paese comunista, l'economia ed i problemi sociali ad essa connessi stanno sempre più prendendo le caratteristiche dei paesi capitalisti. Nonostante continui la più totale assenza dell'assicurazione dei diritti più elementari ai lavoratori, la disgregazione sociale provocata da un mercato interno senza regole inizia a presentare i primi conti di una industrializzazione troppo veloce e senza regolamentazione, provocando effetti negativi che i burocrati di Pechino hanno fatto finora finta di non vedere. E' dalla cima della piramide sociale che inizia ad incrinarsi il rapporto privilegiato con le istituzioni, in Cina si stima la presenza di oltre un milione di persone con redditi milionari ed iniziano a contarsi anche i miliardari: sono il fulcro dell'economia cinese, la classe dirigente economica del paese, ebbene proprio tra questi privilegiati sarebbe in atto una emorragia dal paese verso il Nord America e l'Europa, dove sono assicurati standard di vita qualitativi infinitamente migliori che nella madre patria. Uno dei fattori più rilevanti è l'aspetto dell'inquinamento che afflige il paese cinese e che, probabilmente, vede proprio tra i responsabili le stesse persone che cercano, in altre nazioni, migliori standard ambientali. Un'altro aspetto ricercato dai ricchi cinesi in fuga è il maggiore livello che l'istruzione può assicurare ai propri figli presso gli istituti scolastici ed universitari esteri. Ma oltre gli aspetti che riguardano in senso più stretto la qualità della vita vi è anche l'aspetto del mantenimento della sicurezza finanziaria volta alla protezione del capitale accumulato. In quest'ottica gli USA hanno elaborato una strategia chiamata immigrazione di investimento, che prevede 10.000 visti d'ingresso annui a chi è in grado di portare capitali in grado di creare almeno 10 posti di lavoro; in questo senso la statistica parla chiaro le domande cinesi sono oltre il settanta per cento. Questi segnali, se legati alla situazione interna del debito cinese, rivelano per Pechino l'insorgenza di nuove problematiche legate alla ricchezza del paese, ma completamente disgiunte dalla struttura rigida che ancora caratterizza l'organizzazione della macchina statale. Siamo di fronte, cioè, all'inizio delle prime crepe concrete nella granitica società cinese. Non che la presenza delle manifestazioni di piazza da parte del dissenso non segnalassero i motivi di malessere, ma per l'appunto provenivano dalla massa al di fuori del circuito delle elite del paese. Questi segnali silenziosi e meno eclatanti sono, invece, in un certo senso maggiormente significativi, perchè provengono dalla parte sociale fondamentalmente in accordo con il partito, giacchè è impensabile raggiungere tali livelli di ricchezza senza il beneplacito dell'unico soggetto politico ammesso in Cina. Ma i segnali di una richiesta di cambiamento che provengono dal mercato, seppure rigidamente imbrigliato nelle ferree logiche cinesi, non finiscono qui; oltre le implicazioni sociali vi sono anche quelle più strettamente legate con il mero funzionamento dell'economia. La necessità, oramai pressante, di rilanciare il mercato interno, compresso da una bassa politica salariale e da ingenti quote di debito, impone alla Cina la decisione, difficilmente revocabile, di ridurre la partecipazione dello stato nelle aziende, per recuperare maggiori poteri decisionali in linea con le richieste del mercato e sganciate da logiche politiche centraliste. Sembra una banalità per una qualunque potenza economica mondiale ma non per la Cina, infatti, se ciò si concretizzerà, sarà una rivoluzione, con implicazioni e sviluppi talmente nuovi, che potrebbero alterare i rapporti sociali consolidati. Ma a prescindere dalle riflessioni sulle variazioni della società, questi cambiamenti appaiono necessari per prevenire una crisi economica, ormai pronosticata da tempo per Pechino. Il problema più urgente si chiama debito locale, cioè qule debito contratto dalle amministrazioni locali ed impiegato sopratutto per la costruzione delle infrastrutture, ma tale debito è connesso all'accesso di tali amministrazioni a strumenti finanziari pericolosi ed in grado di innescare fenomeni letali come accaduto in occidente con le tante bolle, poi scoppiate con conseguenze terribili. Pechino teme questi effetti nocivi del capitalismo, che sono diventati vere e proprie patologie del sistema economico globale, ed avverte che lo scollamento con l'economia reale ha ripercussioni sullo sviluppo non omogeneo del paese. In particolare le differenze sempre più accentuate tra città e campagne preoccupano la capitale, che teme un effetto domino della società a causa delle grandi differenze ed ineguaglianze. Non per niente gli investimenti in sicurezza interna del regime cinese sono aumentati in modo esponenziale nell'ultimo anno. Ma ora potrebbero non bastare più se si interrompesse, come sembra stia accedendo, il rapporto fiduciario tra politica e nuovi ricchi, con quest'ultimi impegnati ad attuare la forma di protesta più efficace: la fuga dal paese con i propri capitali.
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