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mercoledì 8 febbraio 2012
La complicata situazione diplomatica intorno al caso siriano
Nonostante la continuata repressione del regime siriano, contraddistinta dalla particolare ferocia e sopratutto dalla violenza contro la popolazione civile, la comunità internazionale, seppur sostanzialmente unita contro Damasco, a parte le eccezioni cinese e russa, non riesce a trovare una strategia comune, per porre fine alla stato di violenza che caratterizza il paese. La significativa, anche se tardiva, presa di posizione, attuata in chiave squisitamente diplomatica, effettuata con il ritiro degli ambasciatori di Belgio, Francia, Italia, Olanda, Spagna e sopratutto dei paesi arabi del Golfo, ha seguito la chiusura della rappresentanza di USA e Gran Bretagna. E' un segnale forte, nel linguaggio diplomatico, ma che non basta materialmente a fermare l'azione intrapresa da Assad. Tuttavia l'isolamento siriano appare sempre più evidente e per il dittatore di Damasco non sembra remota l'ipotesi di una incriminazione alla Corte dell'Aja. Molto pesante, in termini internazionali, il ritiro dell'ambasciatore francese da quella che è una sua ex colonia e con la quale Parigi ha sempre intrattenuto un rapporto privilegiato; come è altresi significativa l'espulsione degli ambasciatori siriani da Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che costuiscono il Consiglio di cooperazione del Golfo. Inoltre la UE starebbe per disporre nuove sanzioni economiche contro la Siria, che includerebbero il blocco alle operazioni per la Banca Centrale siriana e la chiusura alle importazioni di metalli preziosi, oro, diamanti e fosfati. Ma nonostante queste misure, l'assenza di una strategia unitaria che permetta una lotta efficace alla repressione, pesa sul reale contrasto che si oppone a Damasco. Senza, infatti, l'ombrello delle Nazioni Unite, ogni misura rischia di essere vanificata per lo spazio di manovra di cui riesce ancora a godere Assad. Ciò è dovuto, è noto, all'atteggiamento di Cina e Russia, che rifiutano di essere coinvolte, per ragioni varie e differenti, ad una risoluzione che parta dal Consiglio di sicurezza dell'ONU, capace di affrontare definitivamente la questione. Anche le voci circolate su di un possibile invio di armi da parte degli USA ai ribelli, sono state smentite da Washington, proprio perchè tale strategia è ritenuta insufficiente ed esporrebbe quindi gli Stati Uniti a problemi internazionali, senza neppure ottenere un risultato apprezzabile. Dove non arriva l'azione diplomatica diretta contro Damasco potrebbe arrivare la paura per la Cina di deteriorare le proprie relazioni con i paesi del Golfo, che Pechino non può permettersi di peggiorare, in quanto il petrolio che importa da tali nazioni è in una quantità rilevante e strategica per la sua economia. La leva energetica potrebbe creare qualche spiraglio nell'atteggiamento cinese, i paesi del Golfo non possono permettersi una propagazione possibile della protesta siriana ed inoltre hanno tutto l'interesse a fare cadere Assad per sottrarre la Siria all'influenza iraniana. Interessi che collimano con quelli americani, che non importano troppo alla Cina, ma che sono nettamente contrari a quelli russi. E' proprio Mosca l'ostacolo maggiore ad una risoluzione condivisa della questione e dietro la sua ostinazione si rivela il timore di perdere un alleato fondamentale come Assad. Proprio per questo la Russia è particolarmente irritata dalla piega diplomatica che si è sviluppata, nettamente contraria alla direzione che intendeva imprimere per proteggere Damasco, tanto da arrivare a denunciare un piano straniero volto a mettere i paesi arabi contro di essa. Ci troviamo di fronte, insomma, ad un balletto diplomatico dove ogni mossa è attentamente studiata dagli attori in scena, in un gioco di pesi e contrappesi che per ora non lascia intravvedere una soluzione della crisi, quando, al contrario, occorrerebbe, almeno, una rapida dichiarazione circa il cessate il fuoco.
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