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mercoledì 22 febbraio 2012

Le implicazioni delle rinnovate relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita ed Iraq

Importante riavvicinamento diplomatico nel mondo arabo: Arabia Saudita ed Iraq riprendono, infatti, le relazioni diplomatiche interrotte da ventidue anni, quando Saddam Hussein invase il Kuwait e Riyadh accusò Baghdad di volere usare il paese del Golfo Persico, come testa di ponte per attaccare l'Arabia. La notizia rappresenta una volontà di distensione tra i due paesi composti da differenti maggioranze religiose, nella composizione delle rispettive popolazioni. Ma rappresenta anche un investimento dell'Arabia Saudita affinchè l'Iraq non cada nella zona di influenza iraniana, come più volte tentato dalla politica di Teheran; il governo della Repubblica Islamica ha messo al centro della propria politica estera una azione di avvicinamento verso quei paesi a maggioranza scita. In Iraq la pacificazione tra sciti, la maggioranza, e sunniti, la minoranza che con Saddam ricopriva però i ruoli chiave del paese, è ancora lontana dall'essere raggiunta. Su questi contrasti ha fatto leva l'azione iraniana, cercando appoggio negli sciti e portando così ulteriore scompiglio nella già difficile situazione del paese. Per gli USA la divisione dell'Iraq in due o più stati, considerando anche il problema curdo, non ha mai rappresentato una soluzione da condividere, anche se forse sarebbe stata la più logica ed avrebbe evitato i numerosi episodi di violenza accaduti e che purtroppo ancora accadranno. Ma una tale divisione avrebbe significato che la parte destinata agli sciti sarebbe ricaduta completamente sotto l'influenza di Teheran, regalando agli iraniani una zona strategica della regione. La mossa dell'Arabia Saudita va inquadrata, probabilmente anche in questa esigenza dell'alleato americano, che preferisce non agire più in prima persona nelle zone conflittuali islamiche, anche dal punto di vista diplomatico, per non turbare i delicati equilibri presenti. Tuttavia anche per l'Arabia Saudita esistono interessi da tutelare al di fuori di logiche diplomatiche più ampie, come la protezione della minoranza sunnita in Iraq. Quella di proteggere in generale la popolazione sunnita è diventata un fulcro della azione di Riyadh ed è speculare a ciò che Teheran opera per gli sciti; queste politiche uguali e contrarie contribuiscono ad innalzare la tensione tra i due paesi tradizionalmente avversari per la supremazia religiosa e quindi anche politica nell'Islam. Tuttavia la riapertura di una sede diplomatica a Baghdad ha anche il significato della ricerca di una distensione con l'Iraq da parte dell'Arabia Saudita, che non ha mai visto favorevolmente il governo di Al-Maliki, proprio perchè composto in maggioranza da sciti; l'azione, cioè, vuole superare le differenze religiose dando predominanza agli accordi tra gli stati. Tale punto non è secondario perchè arriva a ridosso del prossimo vertice della Lega Araba, che si terrà proprio a Baghdad alla fine di marzo e che si presenta cruciale dopo i rinvii causati dal conflitto siriano e dalla repressione degli sciti in Bahrain. L'intenzione dell'Arabia Saudita sarà probabilmente di assumere un ruolo di guida, all'interno della Lega, che possa portare a risoluzione sopratutto la questione siriana, impedendo sia una deriva in senso favorevole all'Iran, sia che vada in un senso capace di dare un assetto democratico al paese, con il pericolo che tale fatto crei un contagio capace di allargarsi verso i paesi del Golfo, fatto, che forse, per il momento non conviene neppure agli Stati Uniti, che necessitano nella regione di una forte stabilità che ne garantisca la posizione la presenza, sopratutto militare, in vista di un possibile confronto bellico tra Israele ed Iran.

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