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venerdì 3 febbraio 2012

Più concreta la possibilità dell'intervento unilaterale di Israele contro l'Iran

Si alzano i timori per un intervento unilaterale israeliano contro le installazioni dove l'Iran starebbe costruendo la bomba atomica. Le cause scatenanti di questa decisione sarebbero le conclusioni a cui sono giunte le istituzioni di Tel Aviv, sulla base di rapporti del servizio segreto israeliano, che parla addirittura della probabilità che Teheran sia in grado di costruire ben quattro ordigni atomici in tempi più brevi del previsto, essendo ben più avanti, dal punto di vista tecnologico, di quanto fino ad ora stimato, sopratutto dai servizi USA. Stando così le cose l'attacco israeliano potrebbe verificarsi entro la prossima primavera, scatenando una guerra con conseguenze difficilmente prevedibili. Oltre alle implicazioni militari, infatti, il danno agli equilibri sia della regione che mondiali subirebbero un sovvertimento totale, sconvolgendo, sopratutto le posizioni dei paesi arabi di fronte ad una azione solitaria di Israele, effettuata oltretutto senza l'accordo e l'avvallo degli USA. Sebbene Obama abbia più volte ricompreso l'opzione militare tra il ventaglio delle possibilità, la vera intenzione del Presidente USA è di accedere a questa eventualità come soluzione ultima: in questa ottica si inquadra il grande lavoro diplomatico per coinvolgere la maggior parte delle nazioni ad aderire alle sanzioni contro l'Iran, in maniera di sviluppare anche un fronte internazionale, più o meno compatto, contro lo sviluppo degli armamenti nucleari iraniani. Dal punto di vista squisitamente bellico, Israele ha le capacità balistiche di colpire le installazioni iraniane che si trovano a d oltre 200 metri di profondità, al contrario l'Iran dispone di missili la cui gittata può facilmente raggiungere il territorio israeliano e nonostante la sicurezza ostentata dai vertici di Tel Aviv, sulla propria capacità di difesa, quella che si può innescare è una vera e propria ecatombe su di un lato del Mediterraneo. In ogni caso non sembra possibile che sia Teheran a fare la prima mossa, per l'Iran l'attacco preventivo ufficiale non ha senso, piuttosto la tattica portata avanti dalla Repubblica islamica, peraltro in parallelo con Tel Aviv, è quella di portare avanti una guerra parallela fatta di attentati ed assassini singoli, che non fa altro che aumentare la tensione. Il fatto della sospensione di manovre militari congiunte tra USA ed Israele, nonostante le smentite, ha innalzato i sospetti di un contrasto tra le due amministrazioni proprio sulla questione dell'intenzione dell'attacco preventivo israeliano, sul quale esiste anche una previsione su quando questa azione potrebbe avvenire; la previsione è per la primavera prossima, saremmo quindi a pochi mesi di distanza dal probabile inizio di una nuova guerra. Se si dovesse concretizzare anche il mancato accordo con la mancanza di comunicazione dell'attacco da parte di Tel Aviv a Washington, potrebbe aprirsi una nuova fase circa i rapporti tra i due stati, anche se su questa ipotesi pesa la variabile di chi sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti; in ogni caso appare poco probabile che gli USA abbandonino Israele, anche nel caso dell'attacco unilaterale, tuttavia se l'esercito a stelle e strisce sarà trascinato in una guerra controvoglia le conseguenze sui rapporti diplomatici non potranno non farsi sentire, andando a toccare gli equilibri regionali a sicuro svantaggio di Israele. Peraltro l'opinione pubblica israeliana è sempre più divisa sulla reale convenienza di bombardare gli impianti iraniani, gli scettici, tra cui si annovera il capo dell'esercito, temono le conseguenze per la popolazione civile, nell'immediato, e la difficile collocazione del paese sullo scenario internazionale, dopo un attacco militare non concordato non solo con i principali alleati ma neache sotto l'ombrello delle Nazioni Unite. La questione diplomatica internazionale, pare, infatti, l'ultima preoccupazione del governo israeliano di fronte all'argomento, che continua a farsi forte dei rapporti consolidati con gli USA, senza metterne in conto un probabile deterioramento. Chi propugna l'intervento unilaterale pare ragionare in preda al panico, in un certo modo giustificato, ma non pare soppesare adeguatamente le conseguenze pratiche di una tale azione. Nelle ragioni di chi propende all'intervento occorre però considerare che l'Iran sta avanzando nel suo programma nucleare, malgrado gli effetti delle sanzioni, ed uno o più ordigni atomici in mano ad Ahmadinejad, costituiscono un pericolo immediato per Israele ma che possono essere anche un fattore di condizionamento geopolitico per altri stati, tra cui paesi come l'Arabia Saudita, tradizionale avversario nelle dispute religiose con Teheran. Vedendo la questione da questa angolazione, pur non giustificando la soluzione militare, appare chiaro come sia necessaria una azione che oltrepassi la responsabilità assunta dall'amministrazione Obama, di essere il catalizzatore della pratica delle sanzioni economiche contro l'Iran. Quello che manca è la concreta assunzione di responsabilità di un soggetto sopra le parti come dovrebbero essere le Nazioni Unite, anche se i veti incrociati di Cina e Russia, pongono chiaramente dei freni a questa soluzione. Tuttavia se si verificasse un conflitto di tale portata, sarebbe ai confini dei due colossi, oltre alle ovvie ricadute economiche in un momento in cui la congiuntura appare sfavorevole per il mondo intero. Resta quindi poco tempo per evitare una deriva la cui pericolosità non è circoscritta alla regione e che soltanto una incessante opera diplomatica unitaria può scongiurare.

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