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lunedì 5 marzo 2012
In Africa la prossima primavera araba?
E' possibile immaginare un movimento simile alla primavera araba in altre parti del mondo, dove, cioè rivolte, nate spesso da episodi scatenanti, ma con una grave situazione stratificata precedente, possano rovesciare i governi in carica? Per qualche tempo si è pensato che la Cina potesse essere protagonista di fatti analoghi, ma la grande forza dell'apparato di repressione giunta alla diffusione di un consumismo capace di anestetizzare le coscienze hanno bloccato quelle che sembravano le prime avvisaglie di ribellione. Certo restano presenti focolai pericolosi per Pechino, come il Tibet, dove vi è però l'elemento della patria negata a funzionare come propellente per rivolte che vengono soffocate con la violenza. Il caso siriano rappresenta una continuazione ideale, sia per l'elemento geografico che politico, della primavera araba, anche se l'affermazione dei gruppi contrari alla dittatura incontra maggiori difficoltà, per la presenza di un regime ancora più sanguinario di quelli della sponda sud del Mediterrano, ed in effetti è difficile ipotizzare una sconfitta di Assad senza un aiuto straniero, ipotesi che per ora, grazie alla presenza di ragioni politico diplomatiche contrastanti, pare ancora lontana. Pur in tutta la sua gravità il caso siriano è comunque circoscritto ad una popolazione ed un territorio limitati e la sua conclusione avrà un impatto senz'altro minore di quanto temuto da Kandeh Yumkella, direttore generale dell'UNIDO, l'agenzia dell'ONU per lo sviluppo industriale. Quello temuto da Yumkella è una primavera araba in versione africana, che prendendo spunto dai recenti disordini avvenuti a Dakar, individua nel territorio subsahariano, una zona ad alto potenziale di rivolta. Come negli stati arabi la mancanza cronica di lavoro e prospettive, qui aggravata da oggettive situazioni di carenza alimentare, potrebbe innescare ribellioni capaci di sovvertire l'ordine costituito. La facilità di accesso ai moderni mezzi di comunicazione, dato il loro basso costo è l'altro dato comune con i giovani arabi, ed è già stato sperimentato con successo in Senegal. Il problema è che una situazione analoga alla primavera araba nei paesi africani potrebbe avere sviluppi ancora più devastanti perchè in territori formati da stati artificiali, composti da etnie spesso nemiche, un po come in Libia, ma moltiplicato almeno per dieci. Un'Africa instabile non è nell'interesse di nessuno, le conseguenze anche per l'occidente possono essere incalcolabili: si andrebbe dall'incremento dei profughi al blocco di interi settori economici che si basano sulle materie prime provenienti dal continente africano. L'allarme del direttore dell'UNIDO non è da sottovalutare, anche perchè le contromisure potrebbero convenire sia ai paesi africani che a potenziali soggetti capaci di prestare le proprie conoscenze per favorire lo sviluppo economico dell'Africa e sopratutto la diffusione di un benessere tale da placare le istanze di rivolta. Un ruolo che potrebbe essere ricoperto dall'Unione Europea, in maniera da placare possibili esplosioni di violenza ma, nel contempo, generare occasioni di sviluppo tali da sviluppare collaborazioni comuni in un'ottica che sappia cancellare il ricordo colonialista, ancora ben presente.
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