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lunedì 5 marzo 2012
USA, Israele ed Iran e le presidenziali americane
Per Obama la questione iraniana rappresenta l'ostacolo maggiore, per i temi di politica estera, nella campagna elettorale. Il problema coinvolge diversi aspetti: dal rapporto con Israele e con la potente lobby ebraica americana, all'uso delle forze armate a stelle e strisce, che per una parte consistente dell'opinione pubblica USA è stato abusato negli ultimi anni in scenari che alla fine sono stati visti lontani dall'interesse americano, al fattore del conflitto in senso stretto con l'Iran, su cui si hanno ancora meno certezze della conclusione e dei risultati rispetto a situazioni che parevano più sicure come Iraq ed Afghanistan, che si sono poi rivelate molto problematiche. Il Presidente uscente deve usare una tattica che non lo comprometta su posizioni che possano sembrare o troppo morbide o troppo rigide. Probabilmente Obama è sinceramente contrario all'intervento militare e la sua linea è quella di insistere sulla pressione diplomatica, inoltre il risultato elettorale iraniano che ha penalizzato Ahmadinejad, gioca in suo favore; ma la volontà di Netanyahu va nella direzione opposta, perchè non condivide la possibilità che i risultati diplomatici blocchino i progressi sull'ordigno atomico iraniano e propende per un attacco che alcuni analisti danno per sicuro nel giro di pochi mesi. Questo atteggiamento intransigente del governo di Tel Aviv ha obbligato Obama ad una apertura, per la verità piuttosto esplicita, ad una possibile soluzione militare ed al riconoscimento della sovranità israeliana di prendere in modo autonomo la decisione dell'attacco preventivo. E' una concessione logicamente dovuta sopratutto alla potentissima lobby ebraica che più volte ha accusato il Presidente USA di appoggiare le istanze palestinesi a discapito di Israele. In realtà non è mai stato così, l'amministrazione americana, ha sempre appoggiato, per lo meno per quanto riguarda i passi ufficiali, un governo israeliano con il quale però ha avuto spesso profonde differenze di vedute. Nel processo di pace israelo-palestinese non si può non imputare ad Obama una posizione chiara, aldilà delle dichiarazioni di prammatica, che abbia saputo condurre ad una conclusione la pur difficile trattativa. L'impressione è che la massima carica statunitense non abbia mai voluto urtare la lobby ebraica in USA, per non compromettere un giudizio già non positivo. Riconoscere la possibilità di un impiego militare a fianco di Israele o anche consentirne un piano di attacco autonomo può significare l'apertura di una linea di credito notevole, che fino ad ora non vi è stata. Tuttavia non esiste solo la lobby ebraica, Obama deve continuare a rimarcare la sua differenza con le amministrazioni repubblicane per una ricerca spasmodica di un'alternativa pacifica per la risoluzione di ogni controversia. Un candidato democratico che presentasse un attacco militare come unica risoluzione del caso iraniano perderebbe una mole ingente di voti. In quest'ottica Obama cerca di guadagnare tempo, come peraltro fanno gli iraniani, sperando negli effetti delle sanzioni ed ora anche delle divisioni interne all'elitè conservatrice al potere. Ma per le elezioni presidenziali USA mancano ancora otto mesi, difficile, senza risultati importanti, fare desistere israele dai propositi bellici contro Teheran: in caso di guerra tutta la campagna elettorale sarebbe stravolta ed è obiettivamente difficile fare un bilancio preventivo tra i costi ed i benefici di una decisione rispetto ad un'altra. Una via di mezzo sarebbe dare l'appoggio di forze e basi USA senza un coinvolgimento ufficiale diretto, che sarebbe comunque difficile da smentire e che sarebbe interpretato come una decisione pilatesca. Se gli USA dovessero trovarsi in guerra, contro un nemico del calibro dell'Iran, durante la campagna elettorale, a meno di una vittoria istantanea tale da garantire un successo chiaro e veloce, potrebbe prefigurarsi un calo di consensi per Obama, non altrettanto riscontrabile per altri temi, capace di alterare le previsioni fin qui positive per la sua rielezione. Il Partito Repubblicano potrebbe sfruttare questa occasione, grazie ai suoi maggiori contatti con la lobby ebraica, ma soltanto a patto di avere un candidato di una certa forza, cosa che fin qui pare lontana dal verificarsi, tuttavia, sull'onda emozionale di un'eventuale insuccesso, potrebbero aprirsi spiragli insperati per quello che sarà il contendente di Obama.
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