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venerdì 2 marzo 2012
L'Iran alle elezioni: un paese rassegnato
L'Iran che si avvia alle elezioni parlamentari è un paese frustrato e rassegnato, dove il sentimento generale di sfiducia nella politica è il fattore dominante. Dopo la repressione seguita alle elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, probabilmente ottenuta con dei brogli elettorali, l'opposizione nel paese è stata praticamente cancellata e questo ha portato come conseguenza l'assenza del dibattito elettorale, punto centrale della democrazia. Quello che si prevede è un calo notevole dell'affluenza al voto, con dati che potrebbero aggirarsi intorno al 40% o al 50%, nelle ipotesi più positive, come valore nazionale, mentre nella capitale si prevede addirittura una partecipazione intorno al 25%; soltanto nelle campagne è sono previsti valori maggiori, con punte fino al 60%. E' chiaro che quella che si presenta è una situazione che vanifica i tentativi del regime di presentare il paese come una democrazia compiuta. Chi è al governo esercita le sue prerogative grazie ad una combinazione di repressione e di frustrazione, che risulta efficace e funzionale ai suoi intenti; infatti mantiene il potere avendo fiaccato i potenziali oppositori inoculando nel sistema politico l'apatia come garanzia della propria permanenza al potere. In questo stato di cose nemmeno l'abbassamento della qualità della vita della popolazione riesce a scuotere le persone dal torpore politico in cui sono cadute. Le sanzioni economiche hanno abbassato il potere d'acquisto e provocato un innalzamento del fenomeno inflattivo giunto ad un calo dei redditi medi del paese, la svalutazione continua della moneta locale costituisce una pericolosa aggravante alla già difficile situazione economica. Tuttavia l'assenza di una alternativa riformista blocca il sistema, che vede vertere la sfida tra correnti conservatrici, simili per ideologia ed anche programmi, ma che si confrontano con il solo scopo di conquistare il potere per la loro fazione, anche in vista delle presidenziali del 2013. Per il regime la bassa affluenza non è vissuta come una protesta, le elezioni parlamentari vengono presentate come meno importanti e quindi meno sentite ed anche il sistema elettorale, che prevede all'elettore attivo di indicare a mano nella scheda i trenta nomi da votare, non facilitano certo la partecipazione. In fondo un risultato elettorale omogeneo può essere presentato al mondo come uno scudo valido contro eventuali pulsioni della piazza tipo primavera araba, rischio, comunque, molto lontano, al momento, per un paese privo di leader e rassegnato al proprio destino. Quello che emerge è un paese dove la frattura tra classe dirigente e popolazione è ormai un solco ampio, ma anche che ciò, per ora, non costituisce pericolo per il regime, che anzichè avere a che fare con una opposizione presente, sfrutta il ripiegamento del paese su stesso come agevole forma di dominio.
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